APPELLO PER LA SCUOLA PUBBLICA: la nostra opinione

Lo scorso 23 dicembre è stato pubblicato sul sito di ROARS (Return on Academic Research) un "Appello per la scuola pubblica"  promosso da otto docenti, e che a tutt'oggi ha raccolto circa 7000 firme, tra cui molte di autorevoli personaggi del mondo della cultura. Segno inequivocabile che, malgrado la coltre di indifferenza che sembra coprire, a livello di opinione pubblica, tutto quello che sa di scuola, tuttavia il problema è sentito, e in modo pressante.

All'interno del Comitato Tecnico Scientifico di SISUS si è aperta una discussione molto ampia e variegata, scevra di pregiudizi ma non esente dall'autoriflessione critica. 

Condividiamo molte tra le osservazioni e le critiche contenute nel documento, ma riteniamo che la scelta di aderire o no all'appello sia una scelta delle persone, e non possa essere espressa, in un senso o nell'altro, come Associazione. Vorremmo tuttavia sottoporre alla riflessione di tutti, firmatari e no, alcune considerazioni che ci sembrano importanti e che abbiamo deciso di riassumere nel documento 'Appello per la scuola pubblica : qualche considerazione in merito'.

Abbiamo deciso altresì di rendere pubbliche sul web le nostre considerazioni con l'obiettivo di ampliare la discussione e di approfondire proprio quei punti che, a nostro avviso, meriterebbero attenzione ulteriore piuttosto che drastiche prese di posizione.

Invitiamo quindi tutti a partecipare al nostro forum e contribuire in tal modo ad un proficuo scambio di idee, nella certezza che posizioni franche e motivate fatte nell'interesse della scuola pubblica non possono che giovare, oggi, al suo 'precario' stato di salute!

 

Appello per la scuola pubblica : qualche considerazione in merito

Riflessioni condivise del Comitato Tecnico Scientifico di SISUS

 

L'Appello degli " otto insegnanti", che ha rapidamente raccolto molti nomi della cultura e molte adesioni via web e reti amicali, è al tempo stesso importante e discutibile. La maggior parte delle critiche alla legge 107 si possono senz'altro condividere, e la moratoria richiesta dall'appello potrebbe forse davvero dare un po' di respiro a scuole, studenti e colleghi investiti in modo spesso caotico e contraddittorio dai provvedimenti attuativi.

Uno degli aspetti più importanti dell'Appello è la denuncia dei rischi di destrutturazione dell'educazione pubblica. L'educazione pubblica, in una società che è insieme liquida e irrigidita, avrebbe più che mai bisogno di recuperare senso e motivazioni condivise, e invece viene facilmente sottoposta a strattoni contraddittori, mascherati da necessarie palingenesi. E dato che, almeno nella scuola italiana, le macerie degli incompiuti delle mode precedenti (suggerimenti culturali o strutture organizzative che siano) tendono a restare lì, e tocca scavalcarle e strisciarci in mezzo, è indispensabile riportare l'attenzione sul centro e sugli scopi profondi delle istituzioni educative. Come appunto fa l'Appello.
Fin qui, tutto bene.

Più discutibili appaiono invece quegli spunti del documento che riportano i rischi di destrutturazione a un disegno mondiale autoritario operante da tempo ai danni della scuola pubblica e della democrazia. Presentare l'ultima e mediocre "riforma" della scuola come "l'apice di un processo pluridecennale" di espropriazione culturale, pare una narrazione un po' estrema e forse anche esposta a demoralizzazione e disimpegno, dato che il compito di resistere a questa visione totalizzante sembrerebbe affidato alle sole e fragili forze di una comunità educante tutta da verificare e spesso da costruire. Forse l'evoluzione del rapporto difficile tra educazione e modernità andrebbe letta non tanto come l'esplicitarsi di un disegno compatto, quanto piuttosto come una storia di tentativi ed errori, che sarebbe più utile cercare di ricostruire nelle sue svolte e contraddizioni, e nei molti tentativi di rispondere, magari in modo effimero o controproducente, ai problemi che pone il vivere in un mondo sempre più interconnesso ma sempre più diseguale e lanciato verso orizzonti di sviluppo non sostenibili.

Non proprio nell'appello, ma nel dibattito sul web che lo ha accompagnato, spicca la denuncia della neolingua che infesta i documenti ministeriali con termini vagamente anglo modernisti. Difficile non essere d'accordo. Forse, però, invece di spedirli in blocco alla gogna, basterebbe provare a tradure questi termini dall'orrido formazionese all'italiano normale, per capire quali realtà evocano, e quindi distinguere i problemi veri, le ricette più o meno utili, gli eufemismi retorici e le importazioni di mode inventate. Per esempio, la "Peer education" è una cosa seria, un progetto di cooperazione da sperimentare tutte le volte che si può. Il "Byod", invece, rimanda alla solita tragicommedia del portatevi tutto da casa perché tanto qui non c'è niente ( e meno male che ora ci sono gli smartphone, in altri anni ci si portava da casa l'episcopio...),

I sette temi per un 'idea di scuola proposti a studenti, genitori, insegnanti, e cittadini, sui quali l'appello invita a riflettere, sono veri e importanti , ma è difficile affrontarli nel modo ultimativo e perentorio in cui sono espressi, soprattutto quando si parla di ambiti fondamentali come il rapporto tra conoscenze e competenze, tra lezione e laboratorio e tra scuola e lavoro.
Sui primi due l'argomentazione viene addirittura organizzata tramite la struttura oppositiva del versus. E questa formulazione stride, dato che (al di là dello spessore semiotico della preposizione versus) il lettore normale, studente, genitore, insegnante e cittadino, la intende come un invito a prendere partito, o di qua o di là. O competenze di cittadinanza o conoscenze disciplinari. O teoria o pratica.
L'invito alla contrapposizione è davvero infelice: avrebbe più senso criticare il carattere unilaterale e spesso velleitario delle proposte ministeriali, promuovendo invece un intreccio più meditato tra conoscenze e competenze, lezione e laboratorio, tra quello che si impara e la capacità di metterlo in uso in modo socialmente responsabile.
L'archivio delle esperienze delle scuole che su questo terreno si sono spese per decenni è ricchissimo, e non promette bene il fatto che nemmeno gli estensori dell'appello ne abbiano tenuto conto.
Tra l'altro, non è nemmeno detto che la cittadinanza sia, come recita l'appello, competenza unica e trasversale, e quindi passi, e possa svilupparsi, agevolmente nel tempo e in tutti i contesti della comunicazione affettiva e cognitiva di cui è fatto il vissuto scolastico. Sembra invece che alcuni modi di interazione, e alcuni contenuti e contesti di apprendimento, possano servire più di altri a esercitare i diversi aspetti dell'essere cittadini. La possibilità, e la motivazione, di accedere a queste interazioni e a questi contenuti attivatori di competenza non avviene nella stessa maniera, sugli stessi temi, e negli stessi tempi, per tutti gli individui e in tutte le discipline, che dovrebbero quindi essere chiamate a un gioco di squadra, o almeno di staffetta, non come viatico per il futuro ma su terreni comuni di collaborazione individuati già a scuola, da subito.
 
Trattando di conoscenze, il documento sposa senza remore l'accezione che vede come uniche conoscenze legittimate quelle organizzate in singole discipline, elencate con i nomi familiari delle materie scolastiche: letteratura, matematica, arte, scienze, storia, geografia, filosofia, ma non dice nulla sulle strategie di collaborazione necessarie a trasformare i saperi disciplinari in contesti che generano cittadinanza. Nè si pronuncia sulle strutture organizzative che questa collaborazione dovrebbero reggere e facilitare. (i tanto maltrattati consigli di classe, per esempio).
 
La solitudine dell'insegnante viene data per scontata.
E questo è davvero un peccato, perché ripropone l'antico fardello delle conoscenze disciplinari come filiere separate, con il lavoro di ricomporle tutto a carico degli studenti, e con una complessiva valenza civile e di senso che solo al termine del lungo apprendistato scolastico apparirà compiuta e finalmente chiara. Non è mica detto che vada così. Capita invece abbastanza spesso che letterati e filosofi giust ifichino guerre, che ingegneri costruiscano dighe solide ma su paleofrane ignorate. O che architetti famosi nell'universo delle loro discipline stravolgano, insieme con i paesaggi urbani, la convivenza civile di belle città.

 

A quanto pare, l'appello contro la didattica per competenze, trova terreno fertile tra gli scontenti della Buona Scuola. 

Per riflettere su questa, a mio avviso inspiegabile, escalation che ha portato la petizione a raggiungere 10mila firme (https://www.orizzontescuola.it/no-didattica-competenze-la-petizione-ragg...) consiglio l'equilibrata e lucida riflessione di Maurizio Muraglia (https://mauriziomuraglia.com/2018/02/08/mandategli-il-link/#more-3746)