La presentazione di Sergio Todesco

Sergio Todesco è ben noto a Messina, e non solo, per la sua profonda competenza nel campo dei beni culturali ed etno antropologici che ha espresso sia nell’ insegnamento universitario sia come dirigente presso il museo di Messina, poi come direttore appunto del settore etnoantropologico presso la Soprintendenza e infine come direttore del museo etnoantropologico Cocchiara di Mistretta, nonchè in numerosissime pubblicazioni.

Non riusciamo purtroppo a pubblicare il video della sua bella e ricca presentazione; ci avvaliamo comunque di una fedele seppur stringata sintesi, a cura di Claudia Petrucci.

 Attraverso esperienze di educazione alla lettura dei percorsi urbani, come quelle praticate nelle scuole di Messina , è possibile realizzare un'educazione permanente dei cittadini al retaggio culturale.

Educazione permanente sia perché lascia tracce durature in chi vi partecipa, sia perché mette in circolo la consapevolezza acquisita tra tutti i soggetti che sono coinvolti dentro e intorno alla vita scolastica (studenti e famiglie, insegnanti, altre figure sociali e professionali). In modo che tutti abbiano gli strumenti per innamorarsi e far innamorare del luogo in cui si vive. 

Nel lavoro di queste scuole ci sono molti aspetti importanti su diversi piani.

Queste esperienze sono una contestazione implicita del rigido assetto disciplinare che così spesso mortifica la scuola e la formazione. Si collocano infatti nell'orizzonte della "decima epistemologica"raccomandata da Edgar Morin, il dieci per cento del tempo da dedicare a progetti comuni . Nei progetti comuni ogni disciplina deve confrontare con le altre la propria lettura della realtà.

Si fa così giustizia di quelle caricature dello specialismo, legittimate dai vecchi luoghi comuni sul contrasto tra le "due culture", che sono solo gabbie mentali e hanno tanta responsabilità nel disamore e nella percezione di artificialità che guasta il rapporto tra i giovanissimi e l'apprendimento scolastico.

Gli oggetti di indagine, i luoghi scelti come territorio di lavoro evocano questioni fondamentali e insieme problematiche della storia e della vita della nostra città : il rapporto ambiguo con il mare, i luoghi centrali gloriosi e mortificati come il Tirone e le mura di Carlo V, i "quartieri" che sono in realtà antichi centri storici dimenticati. Il territorio viene scoperto nella sua realtà polisemica di "palinsesto", fatto di stratificazioni e tracce di inclusioni successive.

Le finalità del lavoro non sono solo quelle di un recupero di conoscenza storica (historia rerum gestarum) ma si muovono sul terreno della historia condenda, un futuro della città da costruire insieme riconoscendo i "genii loci", decriptando i segni occultati nei beni materiali e immateriali, nelle costruzioni, nelle strade, nelle conoscenze, nelle tradizioni. Per educarsi a coglierne anche le battute d'arresto, le sacche di emarginazioni e i conflitti non riconosciuti.

Ernesto de Martino ci insegnava come, diventando consapevoli di avere una "patria culturale", un "villaggio dell'anima", si possa mediare attraverso quella esperienza il proprio rapporto col mondo.

Se abbiamo "luoghi del cuore" di cui ci sentiamo responsabili possiamo diventare capaci di gestire in modo aperto e senza paura anche le multiappartenenze che caratterizzano il nostro mondo. Altrimenti un posto vale l'altro, è solo spazio da occupare, magari in competizione con altri, o teatro turistico da consumare. Cittadini e viaggiatori, rischiamo tutti di diventare solo utenti irresponsabili di non-luoghi. Il retaggio culturale è fatto di contesti, e non solo di "monumenti", è fatto di ecosistemi, e non solo di emergenze di picchi e vette.

Come nella poesia di Bertold Brecht sulle domande del lettore operaio, bisogna conoscere chi costruì con le mani e con la testa le grandi torri di Tebe, e non solo i re che sopra vi scrissero il proprio nome.

Si tratta di trovare le ottiche giuste per mettere a fuoco le persistenze rimosse (e le risorse da rivalutare) della geografia fisica, le relazioni e le esigenze dimenticate di quartieri per troppo tempo ammutoliti, le architetture nascoste da riscoprire.

Dei luoghi del cuore vogliamo salvare le caratteristiche senza schiacciarci nè sulle esigenze della persistenza fossile né su quelle del mutamento acritico.

Ogni mutamento va ridefinito insieme, da cittadini consapevoli che non ci sono mai singole grandiose piramidi da cristallizzare o periferie irrecuperabili da bonificare dall'alto, ma solo tessuti molteplici da ricostruire.

Su queste basi si fonda oggi un movimento culturale diffuso in tutto il mondo, che promuove l'esperienza degli Ecomusei, e invita i cittadini a esplicitare, attraverso la costruzione di "mappe di comunità" (parish maps), le mappe mentali e fisiche dei luoghi del cuore, dei significati, dei terreni comuni (common ground) materiali e immateriali su cui si costruiscono le identità.

Il lavoro delle scuole sembra inserirsi a pieno titolo in questo movimento e in questa corrente.

Ne fa parte per l'impostazione e gli strumenti dell' osservazione partecipante che ristabilisce una coesione simbolica tra i ricercatori, adulti e giovanissimi, e i cittadini.

E ne fa parte anche per la sequenza rigorosa delle sue diverse fasi, la preparazione in sede, il lavoro sul campo, l'elaborazione dei dati e, alla fine, la restituzione alla comunità.

Per creare il desiderio che la città sia percepita come un territorio condiviso, un bene comune, un patrimonio davvero di tutti.