Le competenze dei docenti

tra fruizione estetica e osservazione sociale

competenze

"La città nuova inizia"

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Istruzioni per l’uso di un viaggio urbano

Le competenze dei docenti, tra fruizione estetica e osservazione sociale”

In attesa di perfezionare gli accordi con “Italia Nostra” tramite un Protocollo d’ intesa e stilare il programma del corso, pubblichiamo il contributo di Claudia Petrucci su una tematica molto affine a quello che vorremmo fosse l’ oggetto della nostra proposta di formazione, e che potrebbe anche servire come canovaccio per il previsto laboratorio. Infatti vi emergono, tra l’altro, alcune competenze che gli insegnanti dovrebbero poter attivare in un rapporto consapevole con un territorio di pregio.

 

Claudia Petrucci

ISTRUZIONI PER L’USO DI UN VIAGGIO URBANO

viaggio urbanoDato che ciascuno di noi è un po’ sedentario e un po’ nomade, il giudizio su un viaggio, qualsiasi viaggio, è sempre ambivalente. Ogni viaggio sembra sempre un po’ la piccola versione casalinga della solenne alternativa- archetipo, quella tra “il debito amore” delle cure familiari e “l’ardore”che ci manderebbe in giro per il mondo.

L’essere donne mette un giro di vite in più. Ci possiamo davvero permettere questo viaggio? Saremo capite o saremo fraintese ? E il fantasma virtuoso del pellegrinaggio di conoscenza, quello degli spaesamenti antropologici significativi e degli incontri di cultura e arte, continua a sovrapporsi con il fantasma un po’ riprovevole della vacanza edonista e consumista, in versione di massa o di lusso. Saremo fraintese, senza alcun dubbio.

A scuola, poi, si affollano anche altri fantasmi . Il viaggio scolastico può venir considerato in sala docenti come una faticosa routine, fondamentalmente estranea ai nostri compiti ma “che non si può non fare”, e quindi venir costruito al ribasso, in una logica paradossale di “riduzione del danno”, con mete ovvie, pernottamenti quasi a zero, affollamento di più classi per ridurre i prezzi, gioco del cerino tra i possibili accompagnatori. Può essere nello stesso tempo desiderato da studenti e famiglie come un momento di autonomia (per i figli, ma anche per i genitori che restano a casa) e avversato per il prezzo comunque importante, per le possibili implicazioni goliardiche, per i molti impegni collaterali che occupano la vita dei nostri studenti (dallo sport, al recupero delle insufficienze, all’aiuto in casa). A volte, sull’onda del mito sociale negativo della scuola come luogo di incompetenze e perdigiorno, il viaggio di classe può venire perfino denigrato come cedimento opportunistico degli insegnanti . Le conseguenze di questa rappresentazione bugiarda possono essere davvero distruttive e snervanti sulle aspettative e sui rapporti personali di tutte le componenti.

La verità è che i viaggi bisogna proprio farli, e non per routine, ma perché sono una delle poche occasioni in cui la scuola mette il capo fuori dalle sue aule forse scalcinate ma sempre protette. Anche e soprattutto nell’epoca dell’esperienza virtuale, solo il mondo esterno, la realtà come aula, può mettere davvero alla prova competenze e cognizioni.

Il viaggio deve offrire una sponda esterna e non pretestuosa a temi e argomenti che si trattano a scuola (il solo scopo della socializzazione non basta a giustificarlo), e mostrare come contenuti culturali afferenti a discipline diverse ci aiutino a capire un pezzo di mondo.

Questo può tradursi in varie formule. C’è il percorso itinerante in una regione d’Europa o d’Italia di cui abbiamo studiato, o studieremo a breve, l’importanza storica e culturale. C’è lo scambio di classe o lo stage formativo che mettono a confronto realtà sociali diverse. C’è il campo di osservazione, e magari di lavoro, naturalistico e ambientale. C’è la visita a un centro di ricerca scientifica. Ma il viaggio urbano c’è quasi sempre, o dedicato in esclusiva, o emergente a lato di altre finalità e destinazioni scelte come prioritarie: possiamo “andare a vedere”, intenzionalmente, Parigi o Roma o Venezia, ma anche far sosta a Pisa tornando dalle oasi WWF di Orbetello, o magari “inciampare” in Ginevra andando a visitare il CERN. La città farà sempre capolino. Del resto, in un mondo che per il 60% abita in città piccole e grandi, il viaggio urbano è un’esperienza inevitabile.

La sosta in una città, di qualche giorno o di poche ore, richiede qualche accortezza per non trasformarsi in una pausa – autogrill o in una transumanza estenuante da un museo all’altro. “Vedere”, anche se superficialmente, una città mette in moto sistemi di competenze complesse, che però non si attivano da soli. Proviamo ad elencarne alcuni:

  • Le competenze dello spazio, l’orientamento, la comprensione della forma urbis

  • Le competenze di valutazione e uso del tempo: la storia sottintesa nei muri e nei monumenti, ma anche il tempo degli spostamenti e delle visite urbane, il “quanto ci si mette a …” e il “ quanto ci si metteva a…” quando quelle strade e quegli ambienti urbani furono progettati

  • Le competenze della fruizione estetica, saper osservare e apprezzare paesaggi urbani, monumenti, opere d’arte

  • Le competenze dell’osservazione sociale, saper percepire le priorità degli abitanti, gli usi del territorio, gli spostamenti del giorno e della notte

A seconda del tempo e della situazione, si potrà lavorare su uno o più sistemi di competenze, sapendo però che l’esperienza urbana ha comunque un carattere ricorsivo: le strade, la gente, i monumenti sono lì, e si impongono alla nostra percezione quale che sia la nostra meta o intenzione iniziale.

Fondamentale è il confronto con quanto caratterizza la propria città. Il viaggio, breve o meno breve, va preparato a casa, esercitando almeno alcune di queste competenze nell’osservazione di un territorio familiare. Potremo poi deciderne al ritorno gli sviluppi ulteriori, ma il confronto tra le esperienze urbane di casa e di fuori deve far parte del progetto fino dall’inizio.

 

  1. Lo spazio, l’orientamento, la comprensione della forma urbis

Genova è verticale, lunga e stretta, e si infila nelle valli di fiumi quasi sempre imprevisti; Roma dilaga policentrica sui rilievi, come un arcipelago di isole urbane; Venezia è il celebre “pesce”, all’amo nella laguna fragile; Brescia si allarga ai piedi del castello in semilune concentriche, ma sono ancora visibili nelle piazze i nuclei, conservati o ritrovati, delle diverse fasi della città. A Milano invece le testimonianze del passato sono state quasi tutte intenzionalmente cancellate, fino alla recentissima invasione in centro di grattacieli alla Dubai, che ha sfondato la residua dignità fine Ottocento di strade borghesi ed enclave operaie e artigiane.

Per leggere la città serve Google, ma serve anche una mappa tradizionale, di carta. Google ci darà la zoomata progressiva, e forse anche micro percorsi consigliati, ma poi servirà la carta, da tenere con noi e consultare ogni tanto, per non perdere la visione dell’insieme. Il navigatore è utile nei dettagli del labirinto urbano, ma la percezione complessiva e l’insight sono facilitati dalla carta. E non va dimenticata la bussola, anche se nei percorsi urbani non servono tutte le abilità dell’orienteering.

La modalità google - satellite, e meglio ancora qualche foto a volo d’uccello e qualche mappa un po’ sofisticata graficamente, ci potranno dare preziose informazioni sul rilievo in cui la città è collocata. Sarà bene informarsi sulla presenza e sull’accessibilità di un punto di osservazione dall’alto, che ci possa servire come affaccio iniziale per renderci conto delle estensioni e della morfologia. Non è necessario un belvedere in collina, spesso lontano o difficile da raggiungere: può bastare un campanile, o un rilievo modesto. Dalla Cupola di San Pietro la vista vale la fatica, e tutti si stupiranno di non vedere emergere, dalla sua valle, il Colosseo. A Genova, ricchissima di celebri punti di osservazione verticali (la spianata di Castelletto cantata da Caproni, il Bigo di Renzo Piano, ecc.), c’è una prospettiva parziale e assai meno imponente, ma verificata come didatticamente efficace. Dall’inizio del ponte di Carignano, con le spalle alla basilica, ecco gli sventramenti e le discutibili architetture degli anni 70, i rilievi superstiti del centro storico, il porto, la salita progressiva della città fino ai santuari sui crinali dei monti.

Se la città è di mare, e ci sono vaporetti di linea che permettano di seguirne i profili costieri, bisogna approfittarne assolutamente: lo sguardo dal mare rivela i confini fisici e la loro modifica spesso violenta, con le espansioni del limite, i tombamenti, le bruttezze (ma anche le possibili bellezze) nascoste, invisibili e inaccessibili via terra, i luoghi perduti per sempre e quelli che si potrebbero recuperare e restituire alla città.

Molti dei manuali turistici presentano ormai carte storiche delle città, o delle parti di città, che descrivono. Sarà bene procurarcene qualcuna, e confrontare i cambiamenti nel tempo dell’estensione e della morfologia urbana .

Dall’esperienza delle diverse prospettive sarà possibile far emergere molte domande . Il rapporto tra estensione urbana e numero degli abitanti, le tendenze dell’espansione e dello sprawl, i dati inquietanti sul consumo di suolo emersi dall’ultimo censimento, significheranno forse qualcosa di più concreto se confrontati con una visione di città reale vista dall’alto o dal mare.

Dopo, ma solo dopo, converrà confrontare quel che dicono i poeti. La voce dei poeti è talmente autorevole che finisce spesso con l’appiattire le percezioni e le impressioni possibili, che vale invece la pena di far emergere e registrare , magari come piccolo gioco di società (“subito, in cinque minuti, dieci aggettivi da trovare”) Altrimenti Trieste sarà sempre e solo la “scontrosa grazia”, e Genova la “ litania infinita” di “salite e di scale”, magari con l’ovvia presenza delle “graziose” agli angoli delle strade.

Alla fine dell’esperienza complessiva della città proviamo a introdurre il concetto di “paesaggio sensibile urbano”. Il termine è mutuato dalla campagna “ paesaggi sensibili” di Italia Nostra, dedicata nel 2009 ai paesaggi urbani “ Cinquant’anni dopo la carta di Gubbio non possiamo dimenticare che i paesaggi urbani non sono fatti solo di pietre e di fisicità, ma anche di uomini vivi: anzi, di società. Gli uomini hanno bisogno di storia e di bellezza (perciò si vive meglio nei quartieri antichi), ma anche di spazi in cui essere società: nei quali incontrare, scambiare, frequentare il vicino e il simile ma anche il lontano e il diverso, il forestiero”. Spazi di storia, di bellezza, e in cui essere società. A noi basterà forse sollecitare, magari con lo strumento del circle time, una descrizione di sintesi: da quali elementi potrebbe essere costituito il “paesaggio sensibile” della città che abbiamo visto oggi?

Dopo di che, per un giorno, basta così

 

  1. Il tempo della città, il tempo di chi la percorre

Da visitatori, ci muoviamo in genere solo in un pezzetto di centro storico. Di tutta l’estensione urbana, ci interessa in definitiva solo quel quadratino denso di cose antiche, percorribile a piedi perché formatosi ben prima che i motori cambiassero la vita degli umani. Insieme ai monumenti, anche le distanze e il tempo necessario a percorrerle fanno parte della percezione storica della città. La consapevolezza della distanza temporale si forma anche attraverso quella delle distanze spaziali. Se a scuola si studia latino (anche pochissimo!), si impara da subito che i complementi di tempo e di luogo condividono gli stessi casi e le stesse preposizioni per indicare le funzioni della direzione, della provenienza, dello stato, dell’attraversamento…

E’ importante camminare. E per distanze più lunghe usare i mezzi pubblici, perché la piccola scomodità del percorso ci può rendere più consapevoli di tutto quel che c’è in mezzo tra un luogo d’interesse e un altro. Nel bus privato si chiacchiera o ci si addormenta. Ma sul mezzo pubblico, preferibilmente di superficie, devo stare attento a dove vado, a dove devo scendere, mi rendo conto delle distanze e delle dimensioni, dei punti di riferimento. Poi, quando scendo e cammino, e faccio la somma delle distanze, capisco, per esempio, quanto potesse essere impegnativo un pellegrinaggio fino a un santuario dall’altra parte della città antica. O un corteo dai sobborghi operai ai palazzi del potere. O riconquistarsi a Brescia il castello dominante e ostile. O quanto passare un fiume implicasse nei rapporti tra quartieri, tra classi sociali, a volte tra poteri di stato: la Riva Destra e la Riva Sinistra; l’Oltretorrente che Italo Balbo non riuscì a espugnare a Parma; lo Stato e la Chiesa che si fronteggiano di qua e di là dal Tevere…

 

  1. Paesaggi urbani, monumenti, opere d’arte

Primo, non esagerare. Senza scomodare la sindrome di Stendhal, sappiamo quanto sia labile l’attenzione dei nostri studenti e quanto sia raro che monumenti imponenti si impongano da sé. A volte addirittura la celebrità gioca contro, e lo spirito provocatorio sempre presente anche negli adolescenti più saggi può spingere alla temuta litania del “tutto qui?”.

Se c’è poco tempo la scelta è obbligata: le classiche vedute da cartolina, magari presentate proprio così, con un po’ di ironia: “ abbiamo tempo solo per le vedute da cartolina, quelle che già conoscono tutti”. Che cosa ci aggiungiamo noi? L’esperienza cenestesica, la strada per arrivarci, il traffico, il tatto, gli odori e i colori della giornata, belli o brutti che siano, che non coincidono quasi mai con l’immagine dello stereotipo. Il resto sta già nei blog. Dato che quell’immagine la conosciamo già tutti, per favore, il cellulare in tasca. Si fotografa dopo . Dopo, assolutamente, se ne darà lo spazio e l’agio, ma qualcuno degli studenti, a turno, sarà stato incaricato di fotografare scorci urbani e monumenti (altrimenti tutti riporteranno solo le facce gli scherzi e i lazzi del gruppo). E’ bene che gli incarichi non durino più di una mezza giornata, o meglio ancora un quarto di giornata. Questa è l’unità temporale che funziona meglio, ritagliata sulle esigenze didattiche di un percorso dedicato a un aspetto tematico o a un quartiere.

Presentato come un intenzionale esercizio di originalità, in genere si riesce a far vedere le cose che contano prima di trasformarle in prestazioni di protesi tecnologiche.

Parlo qui soprattutto di Roma perché l’ho molto e volentieri usata come “aula” da fine ciclo scolastico. Vi ho accompagnato, per anni, giovanissimi intellettuali sofisticati e travolgenti tamarri, ragazzini di terza media e studenti grandi di quinta liceo. Alle pendici del Campidoglio, indifferenti all’Ara Coeli, li ho spesso visti colpiti dal Vittoriano, che una classe di qualche anno fa identificava entusiasta come l’autentico Palazzo Imperiale del Gladiatore di Ridley Scott, e forse non aveva tutti i torti. Dopo di che, ristabilito un minimo di verità storica, si sale alla balconata candida (da qualche anno fortunatamente si può) e si indicano le strade, le piazze e gli edifici a vista. Poter salire alla terrazza democratizza quello che era stato pensato probabilmente come una montagna del potere, da guardare un po’ intimiditi dal basso. Sarà possibile qualche paragone architettonico tra l’antico rifatto e l’antico recuperato che vediamo dall’alto. Sarà possibile rendersi conto dei cambiamenti e degli sventramenti, del passaggio di funzioni di luoghi ed edifici nel corso del tempo e dei contesti a cui rimandano. Quando scendiamo (e allora sì che faremo con attenzione il percorso lungo, dalla piazza del Campidoglio alla vista sui Fori), andremo a vedere da vicino almeno alcuni di quei luoghi e di quegli edifici.

Quanto questo lavoro sia utile l’ho verificato di fronte ad un’altra celebre e discussa “intrusione aliena” nel panorama archeologico romano, il museo dell’Ara Pacis di Richard Meier . Ho visto più volte gli studenti confrontare spontaneamente le due fabbriche monumentali . Le rare volte in cui questo non accadeva, un confronto era indotto da noi insegnanti, ma dibattito e conclusioni si lasciavano ovviamente a loro . Nel confronto era sempre il colosso di Piazza Venezia a vincere. Dalla discussione, spesso veniva fuori che il Vittoriano apriva un panorama, mentre L’Ara Pacis sbarrava con un muro candido e un po’ carcerario una piazza alberata che avrebbe dovuto invece aprirsi verso il fiume. Si può essere d’accordo o no sul verdetto, ma è probabile che, se l’accesso alla terrazza del Vittoriano fosse stato chiuso al pubblico, l’idea di mettere a confronto due diverse organizzazioni dello spazio non sarebbe proprio venuta in mente a nessuno: avrebbero, al massimo, confrontato i due edifici come oggetti isolati, come grossi giocattoloni bianchi.

La città è una struttura ricorsiva, e bisogna ricordarlo sempre. Se abbiamo più giorni, sarà bene seguire percorsi tematici, anche a costo di saltare qualcosa che resta per via, o di tornare sulle stesse strade. Avremo la mezza giornata dell’Antico, quella del Medioevo, del Barocco, dell’Era Industriale, e sempre con l’occhio anche a chi frequenta questi luoghi e percorsi, alla gente per la via. Che non è fatta solo di turisti, e anche i turisti non sono tutti uguali. Questo può essere un compito specifico di osservazione sociale: in molti antichi palazzi signorili delle nostre città d’arte i ragazzi del luogo vanno a scuola; un androne rinascimentale ospita un supermercato; a un passo dalla cattedrale la stazione riversa fiumi di pendolari. A volte gli accostamenti sono clamorosi: accanto all’Arco di Gallieno e alla chiesa paleocristiana che vi si appoggia, una sala di preghiera bengalese e un centro culturale polacco segnano la realtà del centralissimo e multietnico quartiere romano dell’Esquilino.

Nell’osservazione sociale tornano le competenze di valutazione e uso del tempo: il tempo che ha cambiato percorsi e destinazioni; il tempo di chi nei luoghi vive, di chi li visita, di chi li attraversa e li usa e perché.

Per questi aspetti, un contatto locale vero, non solo una guida turistica, è importante. Può essere una classe in un programma di scambio, ed è l’ipotesi ideale, ma può essere anche un parente, un amico, un ex collega ricontattato e disponibile. O magari anche una guida, che però accetti di lavorare sull’incrocio reciproco delle prospettive. Da ospiti ci accorgeremo di quel che le guide non dicono, da indigeni riscopriremo aspetti straordinari che diamo per quotidiani e scontati. Tutti andremo oltre gli stereotipi.

Le città vanno sfruttate nelle occasioni della quotidianità. Sceglieremo la mezza pensione con pasto serale (e l’albergo lo cercheremo, anche se modesto, in centro), perché il pranzo conviene farlo in giro, per esempio al baretto, o se il tempo è bello ai giardini, dell’Università, dove sostano gli studenti locali. Se il tempo è brutto si può andare una sera al cinema, e senza troppi moralismi perfino un giro di shopping in centro può rivelarsi utile. Se la domenica un gruppo di cattolici vuole andare alla messa, benissimo: che lo faccia a San Luigi dei Francesi. Poi ricomporremo la classe davanti al San Matteo investito dalla luce di Cristo e del Caravaggio. Notiamo a margine che questo a Roma si può fare; in altre città d’arte, invece, no, perché nelle chiese l’area gratuita della preghiera è separata dall’area della fruizione estetica, ovviamente a pagamento obbligatorio. Non sappiamo se sia un peccato, certo tradisce l’itinerario spirituale pensato dagli artisti che a quelle chiese lavorarono.

La città d’arte non è la somma dei suoi musei. Che si vedranno a partire almeno dal terzo giorno, DOPO i percorsi tematici che li riguardano, e sempre con un occhio anche agli edifici che li ospitano, che a volte costituiscono un contesto importante di per sé. L’esperienza del museo è però spesso quella di oggetti d’arte importanti e decontestualizzati, che bisogna ricollocare nell’origine, nelle vicende e nelle scelte di un’esposizione. In un viaggio di più giorni, a meno di esigenze particolarissime e motivate, ho visto funzionare bene solo dosi molto caute: un museo/mostra al giorno, meglio se a giorni alterni.

La visita al Museo va SEMPRE preparata. E che tutti sappiano che non è un obbligo, è una scelta aristocratica, ed è il gioco duro che solo i duri sanno giocare. Sceglieremo di farci impavidi la fila d’ingresso lungo i poderosi bastioni Vaticani, e scommetteremo di riuscire ad orientarci anche senza la visita guidata. Quando entreremo alla Sistina saremo in grado di NON confonderci con le tribù ignare che scattano di straforo quello che si può vedere già, e molto meglio, sul web... e prima avremo apprezzato come merita la straordinaria galleria delle carte geografiche , dove si può abbastanza tranquillamente uscire dal flusso e trovare il paese dei nonni nelle diverse regioni verdi e azzurre.

 

  1. Per finire : la responsabilità non è solo burocrazia, ma serve a vivere meglio

Un viaggio è un esercizio di responsabilità. La responsabilità entra in diversi aspetti : per esempio, tutti devono avere le mappe e i riferimenti e dimostrare di saperli usare. Ed è importante prevedere un reportage finale, che entri a tutti gli effetti (anche per la valutazione) nel lavoro scolastico, e che va costruito affidando, per esempio, relazioni e immagini (foto e video, certo, ma anche, per esempio, disegni…) a gruppi divisi per tematiche.

E anche i possibili aspetti spinosi del viaggio vanno affrontati con consapevolezza, costruendo con studenti e famiglie, prima della partenza, un rapporto abbastanza chiaro e solido da sfidare il fascino delle goliardate e delle spacconate, reali o virtuali che siano.

Una strategia che in genere funziona è quella della formula di condivisione delle responsabilità, da far firmare a studenti e genitori in fondo al programma del viaggio. L’ esempio che diamo qui è piuttosto perentorio nel linguaggio ma se non altro è chiaro nel mettere in evidenza il legame tra gli scopi e le regole: al di là dello stile, l’importante è che nel documento da firmare questo legame venga percepito senza equivoci da studenti e famiglie. Una riunione prima della partenza, in cui si condividano le finalità, le esigenze e i vincoli, eviterà molte preoccupazioni. Qui servirà invece moltissimo la trasparenza, la gentilezza e l’empatia comunicativa. Anche questo fa parte del viaggio. Perché saremo, giovani e adulti, compagni di viaggio, ed è una cosa bellissima.

Claudia Petrucci


Esempio “perentorio” di lettera di condivisione delle responsabilità, da far firmare insieme al programma

 

ATTENZIONE !!!!

Il tempo non è molto e le cose da vedere e fare sono tante. Quindi bisogna:

  • essere puntuali e rispettare gli orari,

  • dormire la notte e lasciar dormire gli altri

Motivi assicurativi ci impongono di tenere il gruppo insieme . Gli spazi di tempo libero a disposizione degli studenti sono quindi limitati a……………………..(da precisare ).

RICORDIAMO CHE NEGLI SPAZI DI TEMPO LIBERO NON SI POSSONO UTILIZZARE AUTO (o moto) PRIVATE , NEMMENO SE DI PARENTI

Il successo di un viaggio dipende dall’impegno di tutti nel mantenere rapporti di fiducia reciproca. Bisogna quindi assolutamente evitare scherzi stupidi e comportamenti potenzialmente pericolosi o che implichino rischi di perdita di controllo. Non intendiamo fare irruzioni militari, ma è ovvio che in camera non si fuma , non si consumano alcoolici o simili , non si usano in modo improprio arredi e strutture dell’albergo. Non verranno quindi tollerati atteggiamenti irresponsabili, che potrebbero avere conseguenze serie : un comportamento poco corretto potrebbe essere causa di rientro anticipato di tutto il gruppo.

Certissimi che non ci saranno problemi, vi chiediamo di sottoscrivere (l’accettazione è richiesta anche da parte dei genitori di studenti maggiorenni)

Gli Insegnanti Accompagnatori……………….

Il Dirigente Scolastico ………………………..

 

FIRMA PER ACCETTAZIONE DEL PROGRAMMA E DELLE REGOLE

Il familiare responsabile ……………………………………………

(per lo studente ……………………… …)

 

 

Le competenze dei docenti, tra fruizione estetica e osservazione sociale

 

 

L’idea di fondo

Da una collaborazione tra “Italia Nostra” e “SISUS”, due associazioni che in diversi ambiti e con finalità diverse e tuttavia convergenti si occupano di educazione e formazione, è nata la proposta di promuovere una serie di iniziative per coinvolgere il mondo della scuola in un progetto di “cittadinanza attiva e responsabile”. L’idea di fondo è di “occupare” lo spazio che (solo nominativamente!) si è assegnato nella scuola alla “Educazione alla cittadinanza” con attività vere e concrete, capaci di coinvolgere in prima istanza i docenti e poi gli studenti, senza distinzione alcuna tra ordini e gradi di scuola.

Possiamo constatare, infatti, come le Istituzioni – in primo luogo il MIUR, che se ne dovrebbe assumere il maggiore onere – pur con proclami e dichiarazioni d’intenti di tutto rispetto nulla hanno fatto di concreto per dare alla scuola reali occasioni di lavoro in questi ambiti, al di là del solito appello allo spontaneismo e alla buona volontà dei docenti, e ad un richiamo all’autonomia delle scuole, che fa molto comodo quando si concretizza nel delegare loro ogni iniziativa senza alcun supporto che sia finanziario o di altro genere! Sappiamo che l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, dopo essere stato indicato come “materia” con un proprio spazio nel curricolo in una prima bozza Gelmini, successivamente è stato riassorbito in un limbo indefinito, ancorché dotato di Linee Guida che ne delineano obiettivi e competenze connesse. Né sorte migliore è toccata all’ Educazione ambientale: anche in questo caso esaurienti Linee Guida, prodighe di suggerimenti e addirittura di schede di approfondimento … ma mai un impegno finanziario che si rispetti!

Peraltro il terreno delle “educazioni” – molto pubblicizzato nella scuola, ma non sappiamo quanto correttamente praticato – richiede un approccio trasversale, che risulta purtroppo ancora ostico a tanti docenti, proprio per le difficoltà che si frappongono alla sua applicazione. Non si tratta infatti di negare le discipline, né di annacquare tutto in un indistinto e malinteso “multidisciplinarismo”, bensì di andare proprio alla sostanza dei saperi per capire quanto e come ognuno di essi concorre alla comprensione di un problema. Nel nostro caso, il rapporto con il territorio diventa un punto di partenza per interrogarsi sugli sguardi e le prospettive che vi convergono e permettono di “leggerlo”.

Il mondo del volontariato, da sempre impegnato a supplire laddove le carenze del pubblico si manifestano più evidenti, si propone anche in questo caso di fare qualcosa di utile, per quanto poche e limitate possano essere le nostre forze in campo.

 

Il progetto

Il progetto vuole prendere le mosse da un corso di formazione snello e operativo, di pochi incontri che si vorrebbero partecipati e interattivi: quattro sessioni di lavoro, possibilmente concentrate in tre date, se si riuscirà a sfruttare una giornata intera con lavori seminariali alla mattina e laboratori pomeridiani. I docenti coinvolti – di ogni ordine e grado di scuola – concluderanno il corso con attività laboratoriali nelle quali si auspica sia possibile stilare progetti per gli studenti da avviare nel prossimo anno scolastico.

In altri termini, si vuol dare un esempio concreto di quel circolo virtuoso che si dovrebbe sempre creare tra formazione dei docenti, operatività e attività didattica, partendo da territori ben individuati (in questo caso si tratterà di Messina e del suo mare, ma ci auguriamo che il progetto sia esportabile in altre realtà locali) e ponendo docenti e studenti di fronte a laboratori in cui mettere in gioco le competenze acquisite e maturarle per conquistarne poi di nuove.

 

I contenuti

Coniugare fruizione estetica e osservazione sociale è parso agli estensori del progetto  un obiettivo che consentirebbe di operare realmente alla luce di quella “trasversalità” che è la sostanza stessa di tutte le “educazioni” di cui la scuola è più o meno esplicitamente invitata a farsi carico. L’occasione l’abbiamo mutuata da una campagna di Italia Nostra, dedicata nel 2009 ai paesaggi urbani:

 

«… i paesaggi urbani non sono fatti solo di pietre e di fisicità, ma anche di uomini vivi: anzi, di società. Gli uomini hanno bisogno di storia e di bellezza (perciò si vive meglio nei quartieri antichi), ma anche di spazi in cui essere società: nei quali incontrare, scambiare, frequentare il vicino e il simile ma anche il lontano e il diverso, il forestiero» .

 

Di  conseguenza ci vorremmo interrogare sui sistemi di competenze che si possono mettere in atto, ad esempio, in una tra le esperienze più comuni e purtroppo meno correttamente inquadrate nella vita scolastica, quella del viaggio: competenze dello spazio, di valutazione e uso del tempo, della fruizione estetica,  dell’osservazione sociale (a partire dalla osservazione della nostra realtà urbana).

Siamo convinti che le  attività e le  metodologie dell'educazione ambientale, inserita come parte integrante del curricolo, possono contaminare positivamente tutti gli ambiti di apprendimento e contribuire alla costruzione delle competenze di cittadinanza.
Perché essa.....

  • Affronta problemi concreti legati al territorio
  • Attiva percorsi trasversali alle discipline
  • Privilegia la didattica laboratoriale ed il lavoro sul campo
  • Promuove il protagonismo dei ragazzi
  • Richiede collaborazioni con altre agenzie formative
  • Favorisce l'individuazione delle relazioni indispensabili per affrontare consapevolmente i problemi

Sulla base di queste considerazioni, quindi, auspichiamo di tessere un dialogo fecondo dapprima con i docenti che vorranno non solo seguirci ma costruire insieme a noi un percorso fattivo e produttivo, e poi anche con i loro studenti, nella consapevolezza che solo operando sulle giovani generazioni possiamo sperare in un domani migliore.