Addio a Lio Bettin

 

Una triste notizia ha colpito la 'famiglia' di SISUS: è scomparso Leonello Bettin, Lio per tutti noi.

Rimpiangeremo la sua lucida intelligenza, la sua profonda cultura, il suo rigore unito alla sua grande umanità.

Ricordiamo i suoi interventi nei convegni nazionali della Rete "Passaggi", in particolare a Messina nel 2008, dove con grande competenza e lucidità ha parlato de L'epistemologia delle Scienze Sociali: coniugare radici e mutamento, una riflessione tuttora validissima, a dieci anni di distanza (puoi rileggerne la sintesi cliccando qui).

Lo vogliamo ricordare sorridente in una pausa conviviale di quei giorni in riva allo Stretto (insieme a lui Josette Clemenza, Alberto Facchini, Guido Boschini) .

Da tutti noi un sincero e forte abbraccio ai suoi familiari

“Leonello, leone scolastico”: il ricordo di Paolo Cinque

Leonello Bettin – per me semplicemente “Leonello, leone scolastico” – impersonava il nostro sogno di scuola. Così vividamente che gli altri sogni apparivano più sbiaditi, pur non essendo affatto meno profondi: in quel suo sogno, però, potevano più facilmente confluire anche i sogni scolastici degli altri. Cosa difficilissima se si segue il detto di Eraclìto secondo cui ciascuno sogna per conto proprio, a differenza del mondo “da svegli” che è comune a tutti.

Questo sogno però ha sostanziato anni di riflessione e di azione comune, di progetti e di comunicazione di esperienze. Come ciò fosse possibile ciascuno può forse narrarselo guardando alla “mappa” che lui è stato capace di tracciare per il nostro lavoro. Non era necessario essere sempre d’accordo con lui: era comunque immissione di idee-progetto, di idee-mappa per la navigazione tra gli stretti della retorica scolastica, delle prassi autoreferenziali, della semplificazione brutale di ciò che è complesso e complesso deve rimanere (in analogia con l’immagine del “labirinto” che ci venne suggerita da Giacomo Camuri); tutte insidie ed equivoci di cui si alimentano (e si inquinano) l’arcipelago e il mare della scuola.Leonello era capace di tracciare le rotte concettuali che contribuivano potentemente alla nostra navigazione a bordo di così fragili navicelle scolastiche.

Leonello dimostrava, con chiara e raffinata eleganza concettuale, che si può lavorare nella scuola senza essere meri “travet” dei programmi ed esecutori di circolari de-responsabilizzanti. Rivendicava, con ciò – in modo schivo e riservato, a tratti perfino scostante per la ritrosia a mostrarsi – la dimensione del docente come intellettuale a tutto tondo. Era facile cedergli il passo, in questo: non tanto per un riconoscimento di superiorità di idee (sempre e comunque di grande qualità e argomentate in modo invidiabile) quanto soprattutto perché molto meglio e più immediatamente di molti di noi faceva trasparire questo modello di insegnante come intellettuale “organico”, in cui cioè si compiva la mediazione fra “cultura” (l’essere colti) e l’antropo-poiesi attraverso l’istruzione e la formazione (“acculturazione”). Leonello trasmetteva un modello ed un’esigenza etico-professionale, molto al di là dei singoli contenuti, che non sono stati pochi e sono stati spesso decisivi per i nostri orientamenti nella sperimentazione scolastica.

È a gente come Leonello che dobbiamo, sostanzialmente, l’introduzione dell’antropologia nella scuola italiana: non come singola materia d’insegnamento curricolare ma come modo di pensare, come “disciplina”. Senza la quale il nostro lavoro come “riciclati” da pedagogia, psicologia, filosofia e quant’altro, si sarebbe ridotto a mero esercizio funambolico da arrampicatori sui vetri, nella realizzazione di un programma purchessia. Senza la quale abbiamo oggi, per esempio, un liceo fagocitato in una propedeutica aziendalistica, con una surreale “alternanza scuola-lavoro”.

Nell’ambito di questo suo impegno, indipendentemente dalle riflessioni e decisioni personali di ciascuno, chi di noi non si è sentito coinvolto nel condividere il compito di evitare gli “equivoci” di un antropologismo male inteso? Questo allarme critico proveniva proprio da chi, come lui, propugnava appassionatamente la necessità di sostenere un “asse storico-antropologico” come “albero maestro” su cui issare le vele per la navigazione della sperimentazione di un Liceo mai visto prima. Chi non ha potuto ri-vedere la distinzione – così fondamentale nella formazione curricolare di un Liceo delle Scienze sociali – tra “guardare” e “osservare”? Una distinzione non originale ma che Leonello sottolineava con particolare enfasi, perché non si esaurisce in comprensione concettuale ma si rinnova sempre, ogni giorno di ogni anno scolastico, differenziandosi per ogni caso.

Sono sempre stato orgoglioso (e oggi sono commosso), di aver sentito vibrare siffatte affinità intellettuali con un uomo così, di averne percepito, attraverso di esse, un senso di fraterna amicizia, sebbene a quella inevitabile ed essenziale distanza di cui si sostanziava il nostro personale riserbo e il suo stile di contatto (niente affatto privo di senso dello humor e dello “scherzo” letterario). Una distanza che l’intellettuale “a tutto tondo” porta inevitabilmente con sé e che alimenta l’attenzione degli affini. Gli sono grato per aver percepito un aiuto chiarificatore e solidale nel pensare il mio posto nella scuola, non importa quanto valorizzato. Ho sentito la familiarità d’essere un suo “fratello minore”, per quel senso di supporto – di “vela” – che riusciva a trasmettere alle idee degli altri, così faticosamente coltivate in un contesto scolastico generalmente poco benevolo (e gli esiti della sperimentazione lo mostrano impietosamente) e pure così capaci di rinvigorirsi nelle mitiche occasioni dei convegni e delle giornate di studio sulle “scienze sociali”. Non sono state poche le volte che, nel lavoro con i miei studenti, ho potuto pensare anche a lui come ad uno degli ispiratori di quel che andavo facendo. Chissà quanti aspetti del mio lavoro per i quali potevo essere considerato un insegnante “originale”, derivano in realtà dall’influsso di gente come Leonello!

Penso spesso ad alcuni insegnanti “speciali”, che ho avuto la buona sorte di incontrare da giovane. Non avrei mai pensato, però, che la serie sarebbe continuata anche da adulto e fino alle soglie della pensione: non ho alcuna difficoltà a riconoscere che Leonello è stato uno degli ultimi maestri che ho incontrato. E oggi so che questo riconoscimento non è solo un gesto cognitivo: si sostanzia anche di un’emozione che è solo pallidamente contenibile in uno scritto.

È con fraterna riconoscenza che oggi lo ricordo, seppellendolo nella mia memoria intenerita per fargli ancora più posto.

Paolo Cinque

Giacomo Camuri e Antonio Ronco ricordano Bettin

 

Ancora due amici che già dai tempi della rete "Passaggi" conoscevano e apprezzavano Leonello Bettin.

Giacomo Camuri rievoca il formatore, il docente di altissime competenze ... e ... il misterioso Passaggio che l'ha accolto...
Antonio Ronco ci offre un piccolo 'spaccato' di vita: in un momento 'ufficiale' un flash: una casa di campagna, un prato, una quotidianità serena e riservata...
 

 

Un'immagine e un pensiero tornano con insistenza in queste ore. L'immagine del nostro primo incontro: a Venezia in un'aula della scuola navale Francesco Morosini.

Seduto tra i partecipanti del seminario nazionale che avrebbe dato vita al grande progetto del Liceo delle Scienze sociali ho ascoltato la lezione magistrale di Leonello Bettin. Mi avevano colpito la passione e il rigore della sua articolata esposizione di quel sapere che ancora nella scuola italiana era rimasto relegato ad una incomprensibile marginalità. L'Antropologia culturale non è stata per Leonello solo un prezioso campo dove esercitare ricerca e insegnamento. In lui l'Antropologia aveva messo radici profonde: non solo conoscenza ma disposizione dello spirito, stile di vita, apertura di orizzonti.

Del suo insegnamento (ci siamo incontrati altre volte in occasione dei seminari a Ferrara o dove la rete ci convocava) mi è rimasto il pensiero che ritorna da quando sabato in giornata ho saputo che Leonello aveva lasciato il suo antico mulino. Che significa fare corpo a corpo con l'Antropologia se non mettersi alla prova, cimentarsi con una non facile lotta per scardinare categorie e avere il coraggio di elaborarne di nuove frutto di un sincero incontro con le mentalità degli altri. Quali categorie ci potrebbero aiutare a comprendere l'ultimo nostro atto vitale, quando tutto il nostro corpo è nella massima concentrazione di un salto nell'oltre?

Più che alla morte vorrei tornare a quel concetto che ha unito molti di noi: i passaggi si riuniscono nell'ultimo Passaggio attraverso la grande Porta del Mistero che solo stupidamente la cultura dominante dell'Occidente cerca di dimenticare.

Giacomo Camuri

 

Roma 25 sett. 2007 ore 18

Palazzo Marini
presentazione del libro
"Nuovi Saperi per la Scuola Le Scienze Sociali trent'anni dopo"
Per gli uomini è obbligatoria la giacca

 

L. - Ciao Antonio vieni mettiamoci a sedere qui nell'ultima fila.

A. - Sì queste due sedie centrali vanno bene. Vedo che anche tu sfoderi una giacca di tutto rispetto.

L. - Certo alla nostra età abbiamo anche imparato ad allinearci e non solo a trasgredire.

A. - L'ultima volta che sei venuto a Lucca per quel tuo incisivo intervento a scuola mia avevi promesso di tornare per piacevoli momenti campagnoli.

L. - Hai ragione ma adesso sono impegnato nella ristrutturazione di una casa in campagna nelle Marche. E' un luogo molto bello. Davanti casa c'è un grande prato che declivia verso il bosco e lì posso concedermi un nuovo respiro di gioia e serenità. In ogni stagione il prato assume sempre un fascino diverso, cambia ma rimane sempre il prato di casa mia.

A. - Iniziano - diamo ascolto