Nell'ombra di un inquieto respiro

Dalla Casa Circondariale di Lodi parole e suoni per un labirinto
percorso di scrittura creativa e teatro
in collaborazione con
Liceo Statale Maffeo Vegio di Lodi
 
10 APRILE 2015
ore 21.00
TEATRO ALLE VIGNE
 

labirinto

Sullo sfondo dell'antico racconto del Labirinto cretese, la Casa-Prigione del Minotauro, evocata da Ovidio nelle Metamorfosi, lo spettacolo  porta in scena le voci di chi, privato temporaneamente della libertà d'azione, in un luogo di pena, si incontra e si scontra con ciò che ancora forse possiamo chiamare 'anima'.  Nello spazio di un labirinto simbolico, metafora di differenti forme di carcerazione, si inseguono  i pensieri e le emozioni dei detenuti della Casa Circondariale di Lodi, che dagli inizi di dicembre ai primi di marzo  hanno  condiviso con sette giovani liceali un percorso di riflessione scaturito da una domanda provocatoriamente ingenua: c'è l'anima? come si manifesta?

Una scenografia nuda, essenziale, come s'addice ad un'ambientazione carceraria,  accoglie una quotidianità densa di rimorsi, attese, memorie, sogni, rivelazioni, sguardi, scandita da perquisizioni, conte, notifiche, colloqui. Tra le pareti del carcere-labirinto definite dalla presenza in scena di celle-sgabelli  (non c'è nelle nostre carceri arredo che possa meglio di uno sgabello caratterizzare l'ambente della cella) si sviluppa una fitta trama narrativa che attraverso i traumi, i sintomi e le immaginazioni dell'anima percorre il tragitto che lungo i meandri e le strettoie della vita può condurre un'esistenza a ritrovarsi in prossimità di se stessa, più  consapevole dei giochi del destino, più libera, se non anche talvolta poeticamente purificata.

Nel dialogo a più voci, nato dalla trascrizione dei pensieri dei detenuti (provenienti da Albania, Italia, Marocco, Romania e Tunisia), entra potente la testimonianza di un'altra forma di detenzione, quella della voce riversata  in scrittura  di un corpo immobilizzato e silente sin dall'infanzia. Impossibilitato a superare le barriere architettoniche  della Casa Circondariale un giovane diversamente abile ha condiviso a distanza il laboratorio di scrittura creativa producendo altri testi confluiti nella redazione finale delle partiture messe in scena, sostenute qua e là dall'incursione di altre voci di grandi Maestri (Sant'Agostino, Jung, Hillman...) che rafforzano la verità drammatica di pensieri distillati nel tempo sospeso della detenzione.

Con Raffaele Ciaramella, già Comandante delle Guardie Penitenziarie della Casa Circondariale di Lodi, Amir Feguiri, rappresentante del gruppo di detenuti aderenti al progetto, e Federico Leone Bonifati, il giovane diversamente abile coautore dei testi prodotti nel laboratorio di scrittura, partecipano, provenienti dal Liceo Statale Maffeo Vegio di Lodi, Valentina Accetta, Youzsra Aazam, Maria Baratto, Giovanni Beatrisini, Carlotta Capella, Cristian Colombo, Emanuele Forzani, Noemi Grazioli,  Ylenia Laino, Giusj Longo,   Bogdan Rapeanu,  Federica Uras, Monica Vitali, Simona Zeffiro, Enada Zenelay.

Allo spettacolo, ideato da Giacomo Camuri con la consulenza di Angelo Visigalli per il laboratorio di scrittura creativa, hanno collaborato per il coordinamento artistico Alberto Braida e Marco Pepe  e per l'impianto scenico Sabrina Inzaghi, Laboratorio degli Archetipi. I professori Alessandro Pontremoli, Storico della danza presso l'Università di Torino, e Silvano Petrosino. Filosofo dell'Università Cattolica di Milano, hanno offerto un prezioso contributo allo sviluppo finale degli incontri in carcere sull'enigma dell'anima, discutendo del rapporto tra anima e corpo nella danza e della relazione tra scoperta dell'anima  e nascita della Filosofia.

Hanno partecipato al progetto ''Labirinti dell'Anima'': Abdessamad Barkaioui, Taoufik Boudlani, Amir Feguiri, Khamis Massoudi, Cosimo Milani, Michele Minutiello, Leonard Nardi, Luigi Nasti,  Abderahman Oubaha, Mohamed Riahi, Manuel Testa (Casa Circondariale di Lodi) e Valentina Accetta, Maria Baratto, Federica Benedetti, Nikita Benedusi, Bogdan Rapeanu, Federica Uras, Simona Zeffiro (classe 5B Liceo delle Scienze Umane, Maffeo Vegio Lodi).

 

Scuola: 

Contributo di Giacomo Camuri

 

NELL'ABBRACCIO DELLA TERRA

Giacomo Camuri
(responsabile coordinamento didattico-scientifico Teatro Scuola
)

 

Scavati lungo le pendici delle alture, sulle montagne  dell'entroterra o sulle colline costiere che degradano al mare, gli antichi teatri  attestano, nella forma  architettonica delle cavee, una lunga storia spirituale concepita nell'abbraccio della Terra. Prevalentemente edificati in prossimità di luoghi dalle forti caratterizzazioni sacrali – basti pensare ai teatri di Dodona presso l'oracolo di Zeus, di  Delfi sede delle profezie della Pizia, sacerdotessa di Apollo, di Epidauro centro di culto e di cura dedicato al dio della medicina Asclepio, o dell'isola per antonomasia sacra, di Delo –   gli antichi teatri  hanno dato di volta in volta voce, per le movenze e i canti dei cori e per le parole degli attori, ai misteri tremendi della Terra o  alle disposizioni misericordiose e accoglienti di certi suoi ambienti capaci di lenire  dolori e sofferenze.

Per migliaia di spettatori assiepati in occasioni di pellegrinaggi, di feste e di grandi giochi atletici gli spalti ricurvi degli antichi teatri hanno costituito per secoli  la cornice ideale dell'incontro con la compagine unitaria di un mondo multiforme, cangiante, vivente. La Physis, la Natura di cui i primi filosofi della Ionia hanno indagato i principi, è apparsa verosimilmente tangibile rivelazione nel gioco geniale degli echi e dei riflessi creati nell'incavo degli edifici teatrali:  là dove lo spazio centrico dell'orchestra, il focus convergente di tutti gli  sguardi, segna, quasi bocca eruttiva di un vulcano, il varco che congiunge l'oscura e feconda nudità della Terra  alle luci del sole e degli astri notturni, alla potenza dei venti e degli altri agenti atmosferici, alle fiamme delle fiaccole e dei fuochi rituali, alle acque che sgorgano o che corrono nelle vicinanze o ancora alle onde  del mare che gli occhi lambiscono  in lontananza

Ancor prima che Francesco d'Assisi, il giullare, sullo sfondo di una più che millenaria confessione di fede nel Creato,  mettesse mano in modo mirabile alla tessitura del Cantico  con  quella laude a sora nostra matre Terra che “produce fructi con coloriti flori et herba”, la storia del Teatro più e più volte ha messo in scena la Terra, i suoi molti volti così ineludibilmente legati al destino degli uomini, alle loro identità culturali, alle storie dei loro spaesamenti e delle loro nostalgie.

Vi è una familiarità con la Terra, sora e matre, che ci costituisce e cresce con noi  sin dalla prima infanzia in quei lembi di terra,  i nostri paesaggi familiari, in cui, così scriveva il grande poeta friulano Andrea Zanzotto in un breve saggio del 2006 Il paesaggio come eros della terra, si incardina “la serie interminabile di tentativi (tattili, gestuali, visivi, olfattivi, fonatori...) compiuti dal piccolo d'uomo per giungere ad  esperire le cose come si verificano”. Così  Ernesto de Martino, il padre dell'antropologia italiana, non avrebbe potuto altrimenti annotare,   diversi anni prima,  negli scritti preparatori all'incompiuta La fine del mondo, a commento delle prime missioni spaziali che “anche gli astronauti, da quel che se ne dice,  possono patire di angoscia quando viaggiano negli spazi, quando perdono nel silenzio cosmico  il rapporto con quel campanile … che è il  pianeta terra  e il mondo degli uomini: e parlano, parlano  senza interruzione con i terricoli, non soltanto per informarli del loro viaggio, ma per non perdere il senso della loro terra”. E di questo radicamento della parola nella Terra, così ben testimoniato dai significati che si raccolgono  attorno alle idee  di  terra patria o di madre patria,  è il Teatro primariamente simbolo con quell'incessante meditazione ora tragica ora lirica  che le grandi opere dal mondo greco all'età romantica e via ancora  presentano attorno all'umana esperienza dell'essere al mondo, in mondi che collassano allorché vengono meni i nessi con i suoli d'origine.

In un tempo così fortemente  segnato dai drammi della perdita di terre patrie, dall'oblio  del senso identitario di interi territori divenuti preda dell'abusivismo e del traffico illecito di rifiuti, ma nel contempo anche proiettato verso la riconquista di un rapporto filiale con il pianeta, si pensi a “Nutrire il pianeta” il tema stesso di EXPO 2015, il Teatro, vissuto nella sua dimensione propriamente antropologica e formativa,  non può che far emergere  la consapevolezza di una memoria che impegna tutti, attori  seppur piccoli o adolescenti e pubblico, a gesti di responsabilità etica. Non è inutile a tal proposito tener ben presente che agli albori della storia d'Occidente la mitologia greca stabiliva la discendenza di Mnemosine, la Memoria madre delle Muse, da Gea, la Terra “dall'ampio seno, sede sicura, eterna, di tutti gli immortali che abitano le nevose  vette d'Olimpo” (Esiodo, Teogonia, 116-8).