La sperimentazione nelle Scienze Umane e Sociali: un laboratorio di esperienze di autonomia

lezione

Intervento di Annamaria Ajello

Le scienze sociali come contributo all’acquisizione di diritti di cittadinanza

Anna Maria Ajello

Nella seconda metà degli anni Settanta, era molto vivo il dibattito sulla riforma della scuola secondaria di secondo grado e in quel periodo si avvicendavano progetti di riforma rivisti e rimaneggiati dai vari partiti.

In questo clima si colloca la proposta del Consiglio Italiano per le Scienze Sociali di inserire nel curricolo della scuola secondaria di secondo grado quattro “blocchi problematici”, ciascuno in un anno di questo livello scolare. Ecco come motivavano gli autori la necessità di far entrare le scienze sociali nei curricoli:

Le scienze sociali devono perciò diventare una componente autonoma della cultura scolastica..Esse soltanto sono in grado di offrire al giovane una base adeguata per l’analisi e la comprensione del mondo contemporaneo” (CSS, 1977, p.18)

Questa proposta non è stata recepita per diverse ragioni, che vanno dalla difficoltà di un inserimento così lontano dalla pratica tradizionale (blocchi problematici e non “materie”), alla necessaria formazione dei docenti per questa funzione nuova, alle resistenze anche ideologiche che una cultura idealistica di matrice gentiliana opponeva alla funzione formativa generale di quelle discipline.

Questo se vogliamo considerare le ragioni sul piano concettuale; accanto ad esse ci sono state anche quelle più concrete e legate a specifici interessi. E’ il caso della resistenza degli istituti magistrali ( di cui una quota non piccola erano scuole paritarie) che sentivano a rischio la propria stessa esistenza se si fossero realizzate innovazioni di quel tipo che avrebbero richiesto altri e diversi investimenti sui docenti. Questa resistenza era rappresentata dalla stessa querelle sulla dizione “scienze umane” e non “scienze sociali” poichè la prima permetteva di limitare l’insegnamento alla pedagogia e alla psicologia secondo i modi tradizionalmente presenti.

Il riconoscimento di quel bisogno formativo che era all’origine della proposta del CSS negli anni successivi è stato largamente e sostanzialmente disatteso anche se tentativi di introduzione di contenuti sociali sono stati di tanto in tanto avanzati.

E’ il caso dell’educazione finanziaria che, su iniziativa di organismi e fondazioni bancarie, oltre che della stessa Banca d’Italia, è stata proposta, già nella primaria e soprattutto nella scuola secondaria di primo e secondo grado, con attività extra-curricolari gestite in prevalenza da esperti del settore.

E’ opportuno riflettere su queste proposte per la loro impostazione e per gli effetti prevedibili in termini di formazione delle nuove generazioni.

L’inserimento di contenuti economico-finanziari, come per esempio, la moneta, le banche, i prestiti, i muti, gli investimenti etc, hanno avuto il pregio di squarciare il velo, per così dire, e mostrare l’accessibilità di aspetti largamente estranei alla cultura scolastica e più in generale alla cultura civica diffusa.

Si tratta in vero di una funzione compensativa che quegli organismi hanno rivestito rispetto ad un compito evaso dalla scuola o piuttosto da chi ha avuto responsabilità di proposte e innovazioni nel campo dei curricoli.

D’altra parte l’accesso a quei contenuti si è reso via via più necessario proprio per i cambiamenti radicali che si sono avuti nel mondo produttivo e più in generale nella società civile: si pensi, per fare un solo esempio, all’importanza di avere una visione prospettica rispetto al proprio futuro pensionistico per ciascun lavoratore, una volta che sia cessata la prospettiva del “posto fisso” per tutta la vita professionale.

Da un diverso punto di vista tuttavia si può considerare la questione dell’approccio teorico che è implicito nell’ introduzione di questi contenuti che sfugge completamente alla consapevolezza diffusa dell’opinione pubblica e spesso anche dei docenti e che è invece oggetto di dibattito intenso in sede specialistica (cfr JSSE, 2013, Davies, Lundholm, 2012).

Se consideriamo la prospettiva da cui muove l’educazione finanziaria infatti, è evidente la finalità Informativa/formativa del cittadino potenziale acquirente di prodotti finanziari che deve essere così tutelato da rischi (e talora da raggiri) quando compie delle scelte economico-finanziarie importanti che possono talora pregiudicare il proprio futuro. Un simile obbiettivo è altamente apprezzabile e direi insostituibile.

C’è però un elemento che ripensando proprio alla proposta di inserimento delle scienze sociali nei curricoli viene alla luce; si tratta del fatto che i fenomeni complessi che riguardano l’economia, come ad esempio, l’inflazione o i diversi tipi di crisi economica, non si possono comprendere con le sole nozioni economiche, perché si deve far riferimento anche ad altri aspetti che sono psicologici, sociali, culturali e politici.

In altre parole, se ci si limita ai soli elementi economici molti fenomeni non sono compresi.

E’ quanto è stato dimostrato da alcuni ricercatori finlandesi (Lofstrom, van den Berg, 2013) che hanno esaminato i modi con cui i manuali in uso nelle scuole spiegavano la crisi economica. Proprio l’atteggiamento, per così dire neutrale e asettico, senza implicazioni politiche, con cui la crisi veniva presentata, faceva sì che si riducessero le possibilità di comprensione da parte degli studenti finlandesi che solitamente invece raggiungono alti punteggi nelle prove standardizzate internazionali.

E’ interessante far riferimento alla crisi economica che ha caratterizzato dal 2009 le vicende di molti paesi occidentali, perché consente di mettere in luce caratteristiche comuni nelle concezioni dei giovani; tali aspetti solitamente non sono indagati in modo cross-culturale per la loro forte connotazione contestuale che ne oscura la possibilità di confronto.

Sarebbe molto lungo riassumere le diverse percezioni della crisi da parte dei giovani che sono state ricavate dalle ricerche condotte in questi anni; preferisco accennare ad alcuni elementi che possiamo trarre da alcune ricerche condotte con gli studenti della scuola secondaria di secondo grado. Vorrei sottolineare che tali ricerche contrariamente al solito, dove si usano questionari a scelta multipla, sono state condotte con un questionario a risposta aperta. Ciò ha complicato l’individuazione dei sistemi di analisi, ma ha reso evidenti dei tratti non emersi in precedenza.

 

Si chiedeva a studenti (di 2° e 4°classe) di licei e di istituti tecnici in cui era presente l’insegnamento dell’economia di indicare le cause della crisi economica, i rimedi possibili, i riflessi sulla loro vita quotidiana e le fonti delle loro informazioni in merito. Per quanto riguarda le risposte, in generale si nota una diffusa ignoranza sulle cause della crisi, ma soprattutto si rilevano modalità di elaborazione piuttosto primitive, nel senso ad esempio di indicare un solo elemento come causa della crisi ( “il governo”, “i politici incompetenti o ladri” “le banche” genericamente intese) come se la spiegazione di un fenomeno sociale potesse ricondursi ad un solo fattore che lo genera.

Nella proposta dei rimedi si rilevano diffuse concezioni ribellistiche esposte a soluzioni populistiche o autoritarie, senza un’articolazione temporale degli interventi, o con riferimenti ad aspetti istituzionali.

Di seguito propongo un esempio che fa riflettere:

D. Secondo te, quali sarebbero le contromisure che il nostro governo dovrebbe adottare per fronteggiare questa crisi economica?

R. “Allora, tra le prime sicuramente dovrebbero abbassare gli stipendi dei politici, perché comunque secondo me gli stipendi non vengono dati in base al lavoro che uno fa perché comunque tipo gli operai faticano maggiormente di chi sta seduto a fare il politico, ma prendono molti meno soldi e questo secondo me è una cosa impensabile e ingiusta e quindi sicuramente questa è la prima cosa che devono fare…” (Viola, 5° anno liceo)

Questa concezione per cui il reddito da lavoro dovrebbe rispecchiare “la fatica che si fa” la possiamo ritrovare con parole diverse nell’intervista seguente (cfr Berti, Bombi 1981:132):

“D. Se il giornalaio paga i giornalini a 400 lire dopo a che prezzo potrebbe venderli ?

R. 200

D. A meno?

R. Eh sì D. Come mai a meno?

R. Perchè glieli dà a 400 quello lì che li fa e costa di più farla, una roba, glieli fa e glieli dà e dopo lui vende a meno

D. Non ho capito bene vuoi spiegarmi meglio?

R. Li vende a meno perché..

D. Mi dicevi che quello li fabbrica…

R. Sì perché lui fa, scrive, fa la carta, scrive là e fa le figure, fa tutto quello che deve andare nel giornalino..

D E mi dicevi che lui prende più soldi del giornalaio?

R. Sì D. Perché R. Perché lui fa ..e .. è una roba, è difficile farlo; il giornalaio, se glieli dà non è difficile a venderli” Giorgio (7; 8 )

E’ evidente che Giorgio incontri le maggiori difficoltà nel rispondere ad una questione che forse non si è mai posto, così come Viola probabilmente non ha mai riflettuto, né le è stato proposto di farlo, sulla crisi economica, ma stupisce che sia analogo il richiamo al reddito da lavoro come legato alla fatica e alla connotazione (tipica certo dell’anti-politica attuale) del lavoro del politico come “stare seduto” .

 

Ci sono molti altri esempi di questa evidente ignoranza del funzionamento dei meccanismi non solo economici ma istituzionali, ci basta qui sottolineare per brevità che la carenza che si indicava nel 1977, come fondamento per l’inserimento delle scienze sociali nei curricoli della scuola secondaria di secondo grado, ha già prodotto i suoi danni.

Quello che si riconosce infatti, con tutta evidenza, è un diffuso analfabetismo civico, nel senso di esprimere una profonda ignoranza dei meccanismi di funzionamento istituzionale che mette in una luce sinistra lo sviluppo democratico del nostro Paese, in cui una larga parte di giovani, alle soglie dell’esercizio del diritto di voto, indipendentemente dallo studio a scuola dell’economia, mostra concezioni così primitive da essere più esposti ai canti delle “sirene” che potrebbero manifestarsi sulla scena politica.

 

Riferimenti bibliografici

A.E. Berti A.S. Bombi (1981) Il mondo economico del bambino Firenze La Nuova Italia

Consiglio Italiano per le Scienze Sociali (CSS) 1977 Scienze Sociali e riforma della scuola secondaria Torino Einaudi

P. Davies, C. Lundholm (2012) Students’ understanding of socio-economic phenomena: Conceptions about the free provision ofgoods and services. In Journal of Economic Psychology,Vol 33, 78-89

J. Lofstrom, M. van den Berg (2013) Making sense of the financial crisis in economic education: An analysis of the upper secondary school social studies teaching in Finland in the 2010’s. In Journal of Social Science Education, Vol 12, Number 2, p. 53-68

Journal of Social Science Education, Vol 12, N.2 (2013) Crisis and Economic Education in Europe

Intervento di Antonio Ronco

 Lo Stage

Antonio Ronco

 

Don't worry! , dice il sottotitolo, non preoccuparti, perché si può fare, può essere una buona esperienza formativa e chi la fa da anni sostiene che poi è molto difficile rinunciarvi.

Perché? Perché lo stage formativo è dotato di potenza intrinseca: riesce a coniugare insegnamento e apprendimento, la scuola e il territorio, il tempo e lo spazio, i saperi e l'esperienza, l'organizzazione scolastica e i percorsi formativi, le diverse sfere della personalità, cognitiva, affettiva e sociale, insomma è un pezzo di formazione a cui ogni studente, ma anche ogni insegnante deve avere l'opportunità di accedere.

E si può fare con gradualità, cominciando con quel che si ha a disposizione, persone, strutture, denaro, ecc...

Don't worry! dunque!

 

Questa è la sintesi, in quarta di copertina, di questo volumetto edito dal M.I.U.R. nel lontano 2001 a cui era giunto il gruppo di lavoro del Liceo delle Scienze Sociali. Risulta subito evidente come lo stage non fosse un momento in aggiunta al curriculum ma la componente strategica dell'autonomia.

Lo stage veniva pensato da noi tutti come momento di discontinuità da una scuola ripetitiva, lontana da azioni di senso e da fonti di passione.

Lo stage veniva pensato, proposto e realizzato in molte realtà della "Rete di scuole Passaggi" non come momento di "apprendistato" ma come"percorso di formazione" per giovani e adulti, alunni e docenti e figure esterne al mondo scolastico facenti parte di quel tessuto civile-sociale della comunità territoriale della scuola.

Questo percorso, pensato come formazione in itinere, era ritenuto, ed ancora oggi lo può essere, come un percorso per tutti dove nel "fare cooperativo" è possibile cogliere e costruire quei saperi alla base delle conoscenze e quelle riflessioni di senso sulle trasformazioni della contemporaneità.

Stage quindi come opportunità per accompagnare i giovani in situazioni e realtà esterne alla scuola dove poter cogliere le problematiche del mondo sociale contemporaneo con la riflessione sulle teorie e studi socio-storici-antropologici.

Ritenevamo e riteniamo che questa fosse e sia la strada per comprendere e cogliere i punti di forza e di debolezza sul mondo di oggi.

Per questo nella breve esperienza, ma intensa e piena di entusiasmo, sono stati realizzati stage in convenzione con Enti pubblici e privati come Comuni, Provincie, Camere di commercio, Ass.Industriali, Istituti penitenziari, Sindacati, Teatri, Case Editrici, Scuole, Università, scuole di Danza, di Musica, Ass. di volontariato, Emergency, Libera, Reti Televisive, Redazioni di quotidiani, Supermercati, Centri per gli Immigrati, Centri Missionari in zone di guerra, scambi culturali col mondo arabo e tanti altri ancora.

Questi scambi, questi percorsi di conoscenza, di saperi e di sviluppo di competenze sono solo alcuni fra i tanti e li cito come esempio per evidenziare la ricchezza del fare scuola in quel "modello" di liceo che Anna Sgherri ci stimolava a realizzare. Oggi è opportuno ricordare come tanti siano stati i motivi che hanno determinato la fine di questa esperienza. Motivi che non sto qui ad analizzare ma che non posso tacere fra questi la nostra incapacità ad allargare le nostre esperienze a più scuole possibili.

Questa presa d'atto non distoglie, però, la nostra convinzione di quanto lo stage sia un percorso formativo e di conoscenza dei saperi dove le singole e diverse "discipline" necessitano di un loro ripensamento e così gli insegnanti addetti, sia sul piano dei contenuti che della loro realizzazione didattica. Una buona organizzazione degli stage diventa un momento dove il "fare lezione" significa sempre più entrare in relazione con singoli individui, siano essi alunni che soggetti esterni alla scuola, dove il fare, il conoscere e l'apprendere è sempre momento di scambio reciproco e così successivamente il momento del "valutare" significa fare insieme una diagnosi per poter formulare e verificare ipotesi corrette di lavoro.

 

In ultimo voglio ulteriormente chiarire quanto lo stage sia lontano da quella infelice affermazione "alternanza scuola lavoro", affermazione impropria in una visione didattica pedagogica.

Oggi, la normativa dello stage, previsto dalla ultima legge, nelle classi terze di ogni tipologia di scuola, può e ci auguriamo che diventi la chiave per organizzare un nuovo modo di "fare e vivere la scuola". Una scuola fatta per "promuovere", una scuola basata su rapporti di cooperazione scientifica, su conoscenze, capacità e competenze per tutti noi cittadini.

Lo sforzo per noi di Passaggi, e per chi ha vissuto quei momenti, è stato quello di praticare una educazione civica dove si lavorava con gli studenti e non per gli studenti, dove il respirare in un luogo di libertà ci permetteva di sbagliare e di compiere errori. Dove l'apprendimento era continuo e frutto di partecipazione di tutti, dove le relazioni, senza mai far venir meno la responsabilità educativa, erano di soggetti, ciascuno con le proprie caratteristiche, in ricerca.

Per concludere oggi penso che lo stage formativo, a cui noi abbiamo lavorato, sia un momento di scuola di tutti e per tutti e che sia anche una concreta sintesi nel solco della migliore tradizione pedagogica didattica del 1900. Quella tradizione che raccoglie le esperienze delle Scuole Nuove, l'organizzazione ragionata montessoriana, l'idea dell'alunno attivo e pensante, i suggerimenti pratici del fare insieme di Freinet, del rigore e dello sforzo di una scuola di Barbiana, di una organizzazione autonoma ed di laboratorio come quella di Scuola Città Pestalozzi e come l'esercizio finale del corso di studi di staineriana memoria.

Queste sono solo alcune delle voci di riferimento a cui voglio aggiungere la pratica di ricerca nei laboratori adulti del Movimento di Cooperazione Educativa.

 

Grazie Anna per averci dato l'opportunità di realizzare, per quel poco tempo che è stato possibile, un liceo con aspirazioni europee (oggi aggiungerei nella positività delle aspirazioni di questa comunità) e modello di riferimento per tutta la scuola italiana.

L'educazione, come la partecipazione democratica, richiede tempi lunghi e noi siamo fiduciosi che tutto ciò avverrà.

Intervento di Giacomo Camuri

Autonomia e curricolo. L'esperienza del Liceo delle Scienze Sociali un modello per una Buona Scuola

Giacomo Camuri

 

Non è facile restituire il profilo di un'esperienza che nell'arco di pochi anni ha attraversato con il fremito dell'innovazione un considerevole numero di Scuole secondarie. Non lo è per la varietà delle istituzioni scolastiche coinvolte e per la particolarità del processo che ha accompagnato la creazione di un sistema reticolare che, sorto dapprima attorno all'attivazione ministeriale di Scuole Polo, si è poi sviluppato autonomamente, generando altre reti di Scuole, la rete Passaggi con i suoi Convegni e via via reti più circoscritte a specifici ambiti territoriali. La semplificazione risulterebbe rischiosa sopratutto a fronte dei risultati prodotti dalle sperimentazioni locali.

Parafrasando il titolo di un fortunato saggio pubblicato negli anni Quaranta da una filosofa americana, Susanne Katherine Langer, Philosophy in a new Key, si potrebbe asserire che l'opera collegialmente compiuta nei tempi e nei luoghi designati dall'esperienza del lavoro in rete rappresenti l'espressione più genuina e originale di un'idea di “formazione in una nuova chiave”. Se il “simbolismo” costituiva per Susanne Langer la cifra comune alle più diverse manifestazioni della mente indagate dalla logica e dalle scienze umane e pertanto la categoria fondante d'ogni possibile interpretazione dei comportamenti collettivi, il “contemporaneo”, quale categoria della complessità, tema scelto per il Convegno di Sezze del 2006, una complessità colta a tutti i livelli dell'esperienza e del sapere, diviene per Anna Sgherri e per chi ha con lei condiviso l'invenzione del disegno epistemologico del Liceo delle Scienze Sociali, l'idea portante di un percorso formativo che negli scenari di un “oggi” soggetto a cambiamenti rapidi e tumultuosi ha come fine il raggiungimento di una piena autonomia di conoscenze e di azioni.

Da qui l'urgenza di non disperdere le molte sperimentazioni in atto sopratutto negli Istituti Magistrali e di convogliarne le risorse, una volta venuta meno la loro mission istituzionale, verso la costruzione di un indirizzo di studi che, facendosi carico di implementare l'offerta culturale della Scuola italiana, fosse nel contempo capace di ripensare sia in ambito di riflessione teorica che in contesti di didattica laboratoriale, i grandi temi che innervano il “presente” di ogni assetto sociale: l'identità e i mutamenti, la comunicazione e i linguaggi, la stabilità e i conflitti, la normalità e le devianze, l'apprendimento e i sistemi educativi, il lavoro e l'imprenditorialità, l'economia e le risorse, la legalità e i diritti, la cittadinanza e le politiche. Un progetto, quello del Liceo delle Scienze Sociali, che mai avrebbe potuto realizzarsi senza la partecipazione attiva e diretta della compagine degli insegnanti chiamati a mettersi in gioco e a mettere in gioco competenze e conoscenze professionali in relazione con l'emergere di nuovi bisogni educativi, con il delinearsi di adolescenze irrequiete e incerte, con il venire innanzi di mondi, da una parte, tecnologicamente innovativi e affascinanti per le frontiere della ricerca, ma, dall'altra, geopoliticamente mutevoli per le guerre in corso, per gli squilibri delle risorse, per i grandi flussi migratori. La formazione all'autonomia in un tempo di processi di globalizzazione forse irreversibili non poteva e non può tuttora che richiedere da parte delle singole istituzioni scolastiche, dei collegi docenti, dei dipartimenti, dei consigli di classe - pur sulla base di linee guida condivise a livello nazionale - l'assunzione di capacità di progettazione autonoma di percorsi curricolari aperti e solidamente orientati.

Non per caso nel concetto di “Passaggi” si è riconosciuta la prima rete dei Licei delle Scienze Sociali costituitasi su un ampio tratto del territorio nazionale all'indomani della cessazione da parte del Ministero dell'Istruzione delle Scuole Polo e ben definito è risultato fin dall'inizio il suo programma di lavoro e di studio:“la società in classe”. Nell'impianto del Liceo delle Scienze Sociali centrale è sempre stato il ruolo assegnato alla classe nell'insieme delle sue componenti: non più luogo di trasmissione di saperi codificati in discipline isolate entro canali comunicativi rigidi e gerarchizzati ma laboratorio di apprendimenti condivisi e costruiti nella progettualità e nella valorizzazione delle capacità e delle competenze dei singoli, studenti e insegnanti, tutti diversamente ubicati, come recitava il Convegno di Trieste del 2010, “Sulla soglia” di un futuro già in parte presente e decifrabile nel quadro di una puntuale “Lettura della contemporaneità”, come ancora ricorda il tema dibattuto a Perugia nel Convegno del 2005.

Nell'ottica di una didattica laboratoriale disposta a misurarsi con il “presente” della vita adolescenziale, con i problemi imposti dalle trasformazioni sociali, con le acquisizioni tecnico-scientifiche e con le risorse offerte dai territori il Liceo delle Scienze Sociali ha saputo far emergere in tanti momenti di quotidianità scolastica la dimensione metodologica delle discipline stimolando un approccio propositivo a conoscenze altrimenti percepite come serbatoi di nozioni chiuse in se stesse, aridamente incapaci di dialogare con gli interessi e le ragioni di chi potrebbe imparare con piacere ad apprendere.

“Innovare nella Scuola si può”, si diceva nel Convegno di Messina nel 2008, creando contesti di senso, come suggeriva il sottotitolo “Da un'esperienza di frontiera un paradigma di scuola possibile”, pianificando azioni di ricerca concreta nei luoghi e negli spazi dove l’incontro con le “storie del presente” mobilitano narrazioni che aiutano i giovani a sentirsi protagonisti della propria formazione. E' difficile pensare a classi, giunte al termine del quinquennio del Liceo delle Scienze Sociali, amorfe, demotivate. All'inizio .dei primi anni si era soliti incontrare gruppi classi spesso fragili, disorientati, ma la strategia del coinvolgimento in una pratica dell'apprendere per poter apprendere ha sempre innescato processi virtuosi di motivazione alla collaborazione e alla fruibilità di apporti personali forieri di nuove conoscenze.

Con lo spostamento del baricentro, non solo ovviamente le discipline in classe ma, come si è venuti a rimarcare a Latina nel Convegno del 2013, “la società in classe”, l'intero comparto degli insegnamenti è stato indotto ad aprirsi, pur con qualche naturale difficoltà e resistenza, a una visione sistemica del curricolo che ha comportato aperture e convergenze di punti di vista, confronti e sinergie interdisciplinari, incremento e rivisitazione dei contenuti dei saperi posti in gioco: saperi che hanno di volta in volta stimolato l'incontro con altre professionalità reperibili nei mondi della ricerca, del lavoro, delle istituzioni e del terzo settore.

L'attenzione posta sul “contemporaneo”, la società nel suo declinarsi di istituzioni, modelli cultuali, risorse energetiche, capacità produttive, patrimoni culturali, innovazioni scientifiche, ha richiesto sin dai primi passi del Liceo delle Scienze Sociali la ridefinizione di una prospettiva di fondo, di un'angolazione teorica che potesse rispondere all'esigenza di una lettura “critica” della contemporaneità. Come educare al “contemporaneo”, come esserne “contemporanei” senza correre il rischio di divenire oggetto di troppe e facili fascinazioni?

Il Convegno di Ferrara, con cui nel 2004 si veniva a costituire la rete “Passaggi”, rilanciava al centro della riflessione didattico-pedagogica la questione fondativa per un Liceo della contemporaneità, il problema cruciale per Anna Sgherri: “l'asse storico-antropologico”. Una prospettiva che nel saldare la Scuola secondaria ai risultati più recenti e innovativi di alcuni ambiti della ricerca, per altro poco frequentati negli studi liceali, come la sociologia, la psicologia, le neuroscienze e l'antropologia culturale ha saputo far attecchire nel circuito di una didattica progettata per connessioni interdisciplinari ed esperienze sul campo, secondo il modello di uno “stage formativo”, lo stile cognitivo proprio di un'interpretazione de-costruzionista del “presente”. Si potrebbe dire con le parole di Giorgio Agamben tratte da un breve saggio del 2008, Che cosa è il contemporaneo?, che il Liceo delle Scienze Sociali ha fatto propria la lezione di “coloro che hanno cercato di pensare la contemporaneità” e che “hanno potuto farlo solo a patto di scinderla in più tempi, di introdurre nel tempo una essenziale disomogeneità”. Scrive Agamben, “chi può dire: 'il mio tempo', divide il tempo, iscrive in esso una cesura e una discontinuità; e tuttavia attraverso questa cesura, questa interpolazione del presente nell'omogeneità inerte del tempo lineare, il contemporaneo mette in opera una relazione speciale con i tempi” (pp. 22-3). La contemporaneità, questa la definizione proposta da Agamben che ben restituisce il senso del lavoro compiuto dalle Scuole in rete, “è una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze”, vi aderisce “attraverso una sfasatura e un anacronismo”. L'attenzione posta, anche grazie all'attività di stage, alle “storie del presente”, rivelatrici della problematicità del quotidiano, delle tensioni, delle fratture, dei paradossi, dei contrasti e delle contraddizioni, è stata, e lo deve essere ancora, una componente fondamentale dell'educazione alla contemporaneità, che altro non è che formazione all'autonomia, perché, dice ancora Agamben, “coloro che coincidono troppo pienamente con l'epoca, che combaciano in ogni punto perfettamente con essa non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere lo sguardo fisso su di essa” (9-10). Uno sguardo che necessita di mediazioni, di attraversamenti, di confronti, di dialogo, di sconfinamenti, come hanno a più riprese e a diverso titolo messo a fuoco i Convegni di Lucca (“Vedere attraverso … con le scienze nel cuore”, 2007), di Giovinazzo (“La Scuola davanti alle emergenze del sistema”, 2009), di Verbania (“Crescere, apprendere partecipare. I nuovi adolescenti: studenti digitali e futuri cittadini europei”, 2011), di Rovereto (“Il Liceo delle Scienze Umane. Un nuovo dialogo tra umanisti e scienziati”, 2012).

Intervento di Lucia Marchetti

Un laboratorio di esperienze di autonomia

Lucia Marchetti

 

Nel cercare di ricostruire e delimitare il campo di lavoro di Anna nell’ambito delle scienze umane e sociali mi sono avvalsa prevalentemente di un suo scritto del 2007 dal titolo "Un processo verso l’autonomia": le tappe a livello ministeriale in cui si traccia il percorso, direi parallelo, che a partire dai primi Anni Settanta ha caratterizzato sia l’affermarsi delle scienze sociali come saperi necessari per la formazione generale di un cittadino sia l’autonomia come processo che doveva derivare dalla sperimentazione di nuovi curricoli e doveva innovare profondamente la scuola.

“Gli anni ’70 hanno prodotto nella società italiana in generale, e specificatamente nella scuola, non solo una potente spinta al cambiamento, ma anche una genuina esigenza di riallacciare i rapporti con il proprio passato e con esperienze culturali innovative che il lungo predominio dell’idealismo gentiliano aveva bruscamente interrotto. P.212

“A mio parere, l’aspetto più significativo e importante dell’indirizzo, infatti, è da ricercare nella costruzione paziente e meditata, passo per passo, dell’autonomia, intesa come ipotesi di cambiamento radicale del concetto stesso di scuola; comprendendo in questo termine sia i processi culturali che vi si attivano, sia le modalità di relazione interpersonale che si propongono, sia il rapporto con la società in genere, sia, infine, il modello organizzativo e didattico improntato alla consapevole partecipazione dei soggetti e alla flessibilità nell’uso degli strumenti adottati per realizzare gli obiettivi culturali e di formazione umana e civile degli studenti. Il Liceo delle Scienze Sociali, sotto questo punto di vista, è stato fin dall’inizio un vero e proprio Laboratorio di esperienze di autonomia." Pp.211-212 .

Il ruolo che Anna assegna alle Scienze Umane e Sociali e poi nel Liceo prima delle Scienze Umane e Sociali (la sperimentazione che nasce in alcune scuole nel 1974) e poi nel liceo delle scienze sociali del 2001 è proprio quello di essere un Laboratorio di esperienze di autonomia. In questo quadro individuo tre direzioni di analisi del suo lavoro che mi sembrano rappresentare la cifra della sua azione, sempre fortemente intrecciate:

  • La riflessione sui saperi
  • La costruzione del curricolo e di un modello organizzativo, cioè di un possibile modello di scuola secondaria rinnovata
  • La diffusione di buone pratiche di protagonismo degli insegnanti

Sul tema dei saperi parlerà Annamaria Ajello che ha partecipato alle fasi di discussione nei primi Anni Settanta quando il Consiglio Italiano per le scienze Sociali insediò una commissione che elaborò un progetto per l’introduzione delle scienze sociali nel quadro della riforma della secondaria e pubblicato da Einaudi nel 1977 con il titolo "Scienze sociali e riforma della secondaria"; gli autori erano personalità prestigiose della cultura del tempo e Pietro Rossi individuava “nell’assenza delle scienze sociali, una delle carenze fondamentali della formazione culturale fornita dalla secondaria e affermava che un’ipotesi di inserimento doveva collegarsi a una riforma complessiva tanto della struttura quanto dei contenuti”

Dice Anna nello stesso nel testo citato: “In sostanza,l’inserimento non doveva risolversi in un’operazione di carattere aggiuntivo, ma doveva avvenire nell’ambito di una riorganizzazione complessiva del patrimonio culturale che si intendeva trasmettere alle nuove generazioni. Nonostante il lungo tempo trascorso, il messaggio lanciato allora dal Consiglio italiano delle scienze sociali non appare per nulla appannato”. p.213

Una seconda via che ha visto Anna impegnata in prima persona riguarda la costruzione di un curricolo relativo alle scienze umane e sociali e del contestuale modello organizzativo. Questa via percorre sia i processi (altalenanti) della sperimentazione di struttura (Decreto.419) che fin dal 1974 introduce nella secondaria un indirizzo di Scienze Umane e sociali e affida alla comunità del collegio docenti la possibilità di elaborare un curricolo non coincidente con quello in ordinamento, sia l’avvento dei Programmi Brocca della fine degli Anni Ottanta che tentano di ricondurre le diverse sperimentazioni ad un quadro unitario, sia le trasformazioni della Scuola magistrale e dell’istituto magistrale, sia i processi dell’autonomia.

Anna ha percorso tutte queste strade con un ruolo di stimolo e di raccordo e rilancio di progetti e di idee, ma ciò che risalta dalle sue azioni e dal suo scritto è l’attenzione costante ai processi di rinnovamento degli statuti disciplinari e delle modalità della didattica ma, soprattutto, la rilevanza che attribuisce alla collaborazione tra scuole e Ministero, una collaborazione non sempre lineare, nella quale Anna spesso si batte per far valere le acquisizioni e le richieste delle scuole. Ma per circoscrivere il campo al lavoro fatto sul curricolo di Scienze Sociali dalla fine degli Anni ’90: non si parla più da tempo di studi sociali per tutti, ma di un indirizzo, anzi di un Liceo di Scienze Sociali che viene collocato tra gli altri licei secondo l’ipotesi organizzativa prevista dalla Legge di riordino dei cicli predisposta dal ministro Berlinguer e viene offerta agli ex istituti magistrali la possibilità di chiedere la sostituzione dei corsi in ordinamento con questo curricolo considerato come una sperimentazione autonoma assistita.

Al proposito dice Anna:

“Come si può osservare analizzando attentamente il curricolo e l’abbondante materiale prodotto in questi anni dagli insegnanti, il Liceo delle Scienze sociali non è frutto di coincidenze casuali,seppure felici ,ma l’esito di un lungo cammino di studio e di ricerca cooperativa in cui sono confluiti più elementi, di riflessione teorica,di esperienza sul campo, di attenzione ai mutamenti sociali e culturali,di comparazione con gli analoghi processi in atto nell’Unione Europea,infine di attrazione per una scuola diversa, dove si fa cultura e non solo la si studia passivamente”. P.224-225

Nel 1999 il Ministero, su richiesta del Consiglio Italiano per le Scienze Sociali, istituisce un Gruppo di lavoro nazionale per elaborare un profilo formativo e gli assi culturali del nuovo indirizzo di Scienze sociali, il cui oggetto è la società complessa la cui chiave interpretativa viene identificata nel taglio storico-antropologico. Il documento che ne risulta discusso e approfondito negli Anni 2000 in Conferenze di servizio e in seminari in tutto il paese organizzati attorno a scuole-polo. Era questo un modello organizzativo che preludeva alla costituzione delle Reti. Nel 2004 nasce la Rete Passaggi che avrà un ruolo fondamentale nella costruzione del curricolo e nella formazione dei docenti. Di questa esperienza bella e fruttuosa parleranno Giacomo Camuri e Antonio Ronco, Giacomo sul curricolo e il suo rapporto con l’autonomia, Antonio sul ruolo strategico dello stage.

Dal 2004 al 2013 la Rete organizza convegni i cui titoli danno la misura delle problematiche che vengono affrontate.

Di essi Anna (con Clotilde) è l’anima che sostiene con costanza e sollecitudine le fatiche dei docenti e ne sostiene le scelte in modo dialettico.

Dice Anna nella conclusione dello scritto sopra citato:

“Al centro dell’attenzione sono state poste le risorse umane rappresentate dai docenti, dalle loro capacità progettuali e dalle buone pratiche che hanno cominciato a circolare on line e in presenza ,in occasione di micro-Seminari organizzati da alcuni Istituti opportunamente dislocati sul territorio nazionale

La rete di scuole pertanto ha messo in atto un modello nuovo di cooperazione professionale e di crescita individuale che ha continuato ad esistere e a produrre effetti positivi, anche quando il Ministero ha interrotto il flusso dei finanziamenti .

Nonostante che le prospettive per il futuro istituzionale del Liceo delle Scienze sociali siano ancora incerte, esso rappresenta un modello di scuola a misura degli studenti e dei docenti, di coloro cioè che costituiscono la forza e la vitalità di una comunità educativa, prima di tutto autonoma e responsabile delle proprie scelte, in grado di interagire con la società, ma anche di usare la ragionevolezza nell’azione didattica. Ed esso ha rappresentato anche un momento di intesa e di collaborazione tra centro e periferia ,tra Ministero e scuole che vorremmo rivedere presto operante”. Pp.226-227

Le cose sono andate in modo un po’ diverso, ma non è qui il caso di approfondire.

Qui vogliamo onorare una dedizione alla scuola di una persona che ha interpretato la sostanza del senso civile, la responsabilità del proprio compito, la passione per i temi della formazione e della cultura e una grande curiosità per gli altri, per gli insegnanti e per il loro sapere.

 

 

I convegni

  • Ferrara 2004 L’ASSE STORICO-ANTROPOLOGICO COME RIFERIMENTO EPISTEMOLOGICO DEL CURRICOLO DI SCIENZE SOCIALI Rivisitazione teorica e pratica in classe
  • Perugia 2005 LA LETTURA DELLA CONTEMPORANEITÀ Trasversalità dei saperi e dimensione formativa nelle scienze umane e sociali
  • Sezze 2006 LA CATEGORIA DELLA COMPLESSITÀ Questioni di confine tra scienze sociali e riforma della scuola
  • Lucca 2007 VEDERE ATTRAVERSO...con le scienze nel cuore. Desiderio di sapere e linguaggi scientifici
  • Messina 2008 INNOVARE NELLA SCUOLA. SI PUÒ Da un’esperienza di frontiera un paradigma di scuola possibile
  • Giovinazzo 2009 LA SCUOLA DAVANTI ALLE EMERGENZE DEL SISTEMA Storia, esperienza e riflessioni nel Liceo delle Scienze Sociali
  • Trieste 2010 SULLA SOGLIA Il dialogo educativo tra scuola e territorio
  • Verbania 2011 CRESCERE, APPRENDERE, PARTECIPARE I nuovi adolescenti: studenti digitali e futuri cittadini europei. Metodologie e strumenti per affrontare il cambiamento
  • Rovereto 2012 IL LICEO DELLE SCIENZE UMANE UN NUOVO DIALOGO TRA UMANISTI E SCIENZIATI Saperi e linguaggi nelle pratiche educative
  • Latina 2013 LA SOCIETÀ IN CLASSE Esperienze a confronto per una cittadinanza attiva e responsabile