L'alternanza Scuola-Lavoro - Maria Teresa Santacroce

L’alternanza scuola lavoro è uno degli strumenti per rompere con il modello tradizionale di fare scuola fondato prevalentemente, ed in alcuni casi esclusivamente, su una didattica trasmissiva.

Essa è elemento centrale e strategico del nuovo fare scuola.

Per lo studente si tratta di un’esperienza che cambia radicalmente il suo modo di intendere lo studio, in particolare lo aiuta ad analizzare i problemi VERI della realtà da diverse prospettive, lo abitua alla prudenza, alla pratica del dubbio e questo è un esercizio che modifica anche la relazione con l’insegnante e con i saperi che vengono interrogati per quanto hanno da dire nell’interpretazione della realtà.

Il rapporto tra il dentro e il fuori della scuola è stato ed è un elemento strutturale e fondante il curricolo. L’obiettivo è far entrare i giovani nelle maglie complesse della vita della comunità e contestualmente far interagire le istituzioni con i giovani, chiamarle a mostrarsi, a spiegare che cosa fanno, guidando gli studenti alla comprensione dei problemi di governo della città.

Questo si può realizzare all’interno di patti educativi in cui scuola, istituzioni e famiglie vengano coinvolte concretamente, ma soprattutto in cui i giovani abbiano la possibilità di essere protagonisti, di vedere direttamente e di mettersi in gioco.

Data la dimensione curricolare dell’attività di alternanza, le discipline sono necessariamente contestualizzate e coniugate con l’apprendimento: ciò comporta l’analisi delle condizioni di praticabilità di esercizio dell’autonomia scolastica di adeguare i contenuti alle esigenze del contesto.

Questi aspetti sono determinanti per le proposte e le attività dei Dipartimenti.

La progettazione di un curricolo che riconosca come uno dei suoi pilastri l’alternanza deve ben tenere presente il valore orientante e professionalizzante dei saperi, in modo da considerare l’esperienza pratica come un valido riscontro di contesti teorici. In prima istanza, occorre che i docenti dell’intero consiglio di classe individuino nelle aree disciplinari di riferimento quei nuclei fondanti, quei contenuti che possono coinvolgere e interessare lo studente, in quanto risultano traducibili in esperienze concrete e in contesti di realtà sperimentabili.

Il valore aggiunto per il Consiglio di Classe che si impegna nel percorso di Alternanza Scuola Lavoro sta:

  • Nella progettazione integrata di più discipline,
  • Nella modifica dell’organizzazione didattica,
  • Nel rapporto con il territorio,
  • Nell’applicazione dei saperi in contesti nuovi (competenza)

Per chiudere vorrei sottolineare che i temi dell’ inter e trans-disciplinarità, della laboratorialità, del rapporto con il territorio, di una nuova organizzazione didattica, sono da moltissimi anni all’attenzione dei docenti prima del Liceo delle Scienze sociali e poi dei Licei delle Scienze umane e dell’opzione economico sociale. Abbiamo cercato di comprendere quali siano i nuclei fondanti di ciascuna disciplina e quale poteva essere l’asse portante di questo tipo di licei che in Italia, a differenza di altri Stati, ha bisogno ancora di trovare una sua identità ben definita.

In questi anni abbiamo sperimentato percorsi innovativi legati alla contemporaneità, al territorio, allo sviluppo di competenze, all’integrazione delle discipline e dei saperi. Abbiamo insegnato ai nostri studenti a riconoscere e a saper affrontare le categorie della contemporaneità e della complessità.

 

Consulta le slide allegate

L'intervento di Claudia Petrucci

Proprio quando l' Alternanza Scuola Lavoro viene fatta bene, e la scuola non la delega ad altri , ma la accompagna e la inserisce in un progetto formativo condiviso, appaiono i nuovi problemi. Problemi di competenze e problemi di organizzazione.

Gli studenti si calano in un'esperienza professionale di cui l' insegnante ha in genere solo conoscenze di seconda mano, e magari antiche e vaghe, e a cui rischia addirittura di non poter partecipare da vicino: tutti gli insegnanti hanno molte classi e ogni momento eventualmente libero dall'impegno in una di esse è indispensabile per affrontare le mille emergenze della vita quotidiana di un istituto. Insomma, i ragazzi vanno e noi stiamo qua.

Potrebbe sembrare addirittura una metafora “fisiologica” dell'educazione, ma così non è. Se la chiamiamo “alternanza“ non stiamo parlando del momento in cui i giovani lasciano il nido. Stiamo parlando invece di quello “stare sulla soglia” su cui si fondavano, fin dall'inizio, le esperienze di stage formativo : un processo di andate e ritorni da seguire, accompagnare, su cui e a partire dal quale sollecitare rielaborazioni critiche.

Quindi nell'alternanza gli insegnanti dovrebbero “esserci” il più possibile, anche per essere in grado di accorgersi se c'è qualcosa da aggiustare o qualche occasione da sfruttare meglio. Superare gli ostacoli organizzativi è importante , ma forse è ancora più importante superare quelli culturali, che vedono prevalere nella scuola le spinte della separatezza tra esperienze, competenze e discipline. Con l' idea diffusa quanto arbitraria che solo un corso di laurea interamente dedicato a una sola disciplina e alle sue articolazioni, e una mono-abilitazione ad esso strettamente congruente, siano i requisiti validi culturalmente (e quasi “moralmente”) per insegnare. C'è invece bisogno di affermare che anche per insegnare bene una materia non si può essere solo insegnanti di quella materia. Bisogna anche provare a fare i conti con tutto quello che c'è intorno, con i mestieri e le esperienze umane che coinvolgono quell'ambito di conoscenze, o che ne vengono illuminate.

E questo non vale solo per le materie cosiddette professionali ma per tutte.

Lo splendido resoconto didattico di Franco Lorenzoni I bambini pensano grande ci fa vedere come per insegnare qualsiasi contenuto sia indispensabile fare esperienze concrete e perfino fisiche e manuali. Una figura limitata e sedentaria che si trincera dietro il suo cosiddetto specialismo non convince nessuno, e men che meno i ragazzi.

Nella mia formazione ho avuto due esperienze privilegiate. La prima fu quando, con un gruppo di scout e compagni di scuola, dentro Firenze alluvionata, scoprimmo che la cultura e l'arte non erano le astrazioni che ci facevano soffrire in classe, ma erano un motore concretissimo che organizzava lavoro manuale, chimica, fisica, filologia e capacità di decidere. I turni di lavoro alla Biblioteca e al Vieusseux ci mandarono a caricare e stendere le pagine come in un opificio tessile, a pulirle e asciugarle come in una lavanderia, a proteggere con i fogli di carta assorbente i testi antichi, a spruzzare disinfettante in tenuta da Ghostbuster, a portare, come in una bottega artigiana,attrezzi e pennelli ai restauratori veri, che erano ragazzi poco più grandi di noi ma che sapevano dove mettere le mani.

La seconda , proprio agli inizi del mio lavoro di insegnante, fu una stagione da un fotografo, in cui imparai a usare gli strumenti delle immagini: senza di quello, anche far passare gli strumenti della parola e della scrittura mi sarebbe stato molto più difficile.