Il Liceo delle Scienze Sociali e le prospettive post-diploma (Settembrini)

 

IL PUNTO DI VISTA DEGLI STUDENTI  (a cura di Franca Settembrini e Guido Ghiselli)

Presentazione slideshow (clicca sulle due freccette in basso a destra per vedere a tutto schermo):

 

Università degli Studi di Pisa http://www.unipi.it

Dipartimento di Scienze Sociali http://www.dss.unipi.it

 

Abstract

Per acquisire alcuni elementi conoscitivi sul grado di soddisfazione degli studenti rispetto al corso di studi intrapreso - il Liceo delle Scienze Sociali (LSS)- e sulle loro prospettive post-diploma, un gruppo di docenti del Liceo “Fermi” di Cecina (LI), coordinato da D. Bottazzoli e I. Marmina, ha elaborato un questionario strutturato, che nella primavera del 2006 è stato somministrato alle classi quarte e quinte di sette LSS toscani. Questa ricerca è parte di un più ampio progetto, nato nell’ambito delle attività di collaborazione tra scuola secondaria e Università promosse dalla Convenzione-quadro stipulata tra il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Pisa e alcuni LSS[1].

Il questionario utilizzato è suddiviso, nella sua versione più ampia, quella destinata alle classi quinte, in 4 sezioni, relative ai dati anagrafici (A), all’esperienza scolastica (B), agli orientamenti riguardanti la prosecuzione degli studi (C), ai timori e alle aspettative in merito al mondo del lavoro (D)[2].

La somministrazione dello strumento di indagine e l’immissione nella matrice dei codici numerici corrispondenti alle risposte delle domande a scelta multipla, nonché del contenuto delle risposte alle domande aperte, è stata curata dalle stesse scuole: l’esito di questo lavoro è costituito da 378 questionari immessi sui 480 previsti (78,7%). La percentuale risulta comunque ampiamente significativa delle linee di tendenza generali, soprattutto perché riguardanti la totalità di un’area, ovvero la costa toscana. Il Dipartimento di Scienze Sociali ha poi curato l’elaborazione statistica dei dati così raccolti, che sono stati sottoposti ad analisi mono e bivariata con l’ausilio del software S.P.S.S.

I dati anagrafici dei nostri soggetti confermano la ben nota prevalenza della componente femminile (oltre 80%) nei LSS ed evidenziano la sostanziale regolarità del percorso di studi, con il 90% degli alunni di quarta e l’85% di quinta che si suppone - in base all’età dichiarata - non abbiano subito bocciature. I genitori degli studenti coinvolti nell’indagine hanno per lo più conseguito il diploma di scuola secondaria inferiore (oltre il 40% per entrambi) o superiore (il 38% dei padri e il 40% delle madri), mentre solo una piccola minoranza risulta in possesso di una laurea, oppure priva della licenza media inferiore. Tra i padri, la classe occupazionale[3] prevalente è quella operaia urbana (33,5%), seguita dalla classe media impiegatizia (27%), mentre molte madri sono casalinghe (oltre il 40%) o impiegate (31%).

La maggioranza degli allievi, ricostruendo il processo decisionale compiuto al momento della selezione della scuola superiore, si attribuisce la principale responsabilità (“una decisione del tutto personale”) e riconduce la propria scelta a un interesse specifico per le discipline di indirizzo, anche se non mancano casi in cui la motivazione è stata la presunta maggiore facilità di questo tipo di liceo. La percentuale di studenti che dichiarano di aver acquisito a scuola una buona capacità di analisi critica della realtà è elevata (oltre il 70% di risposte “abbastanza” o “molto”), sostanzialmente analoga nelle classi quarte e quinte e nel complesso maggiore della quota di coloro che reputano che il liceo abbia soddisfatto le loro aspettative iniziali: in questo caso coloro che si dichiarano soddisfatti sono circa il 60% del totale, ma con una significativa diminuzione nelle classi quinte. Un’analoga differenza nel livello di soddisfazione emerge nelle risposte alla domanda che invita a fare un bilancio complessivo dell’esperienza compiuta nella scuola superiore: di nuovo, i più critici sono gli studenti di quinta. Da rilevare che il grado di soddisfazione è significativamente associato alle motivazioni originarie della scelta: tra gli insoddisfatti sono molto più numerosi coloro che hanno scelto “per ripiego”, oppure perché indotti dalle pressioni familiari, o nella speranza di intraprendere un corso di studi più facile di altri, oppure ancora perché attratti dalla possibilità di trovare più facilmente lavoro grazie al conseguimento di quel diploma. I soddisfatti, invece, prevalgono tra coloro che hanno scelto sulla base dell’interesse per le discipline di indirizzo, o con l’aspettativa di costruirsi una buona base di cultura generale. Anche tra questi studenti, comunque, vi sono alcuni “delusi”.

La maggiore delusione sembra riguardare - sia pure con rilevanti differenze tra una scuola e l’altra - le attività di stage: molti ragazzi lamentano, infatti, un basso grado di integrazione di tali attività sia con le discipline curricolari che, soprattutto, con la realtà lavorativa e formativa del proprio territorio. L’associazione con il livello di soddisfazione “globale” è statisticamente significativa: questo dato non autorizza certo a istituire alcun rapporto causale, ma sembra comunque suggerire di dedicare un’attenta riflessione sul ruolo che gli stage possono avere nel consolidamento, oppure nell’attenuazione, di atteggiamenti di fondo, relativi all’istituzione scolastica e al proprio percorso formativo, già maturati dagli studenti nel corso del biennio. Merita altresì di essere presa in considerazione l’ipotesi che tra gli allievi siano diffuse aspettative non realistiche sugli stessi stage, in particolare la convinzione che essi dovrebbero avere carattere schiettamente professionalizzante.

L’interesse per le scienze sociali risulta comunque nel complesso molto alto, anche in chi ha espresso valutazioni negative sul corso di studi intrapreso; la prospettiva disciplinare preferita è quella psicologica, seguita a distanza da quella pedagogica e sociologica. Invitati a esprimere il loro parere sui possibili miglioramenti dell’offerta formativa del Liceo, gli studenti seguono le preferenze prima ricordate, dimostrando invece scarsa consapevolezza dell’importanza delle discipline giuridico-economiche e di quelle matematiche-scientifiche: relativamente a queste ultime, bisogna rilevare che nelle classi quinte tale consapevolezza aumenta in modo significativo, pur rimanendo minoritaria.

Riguardo agli orientamenti per il futuro (sez. C), gli studenti delle quinte si dividono in due gruppi di uguale consistenza numerica: una metà sostiene di avere ricevuto informazioni sufficienti, mentre l’altra lo nega. In ogni caso, più del 70% dichiara di voler proseguire gli studi, ma molti di questi, oltre il 44%, escludono di iscriversi a facoltà in cui le scienze sociali abbiano un ruolo di rilievo. Degno di nota è il fatto - peraltro prevedibile sulla base delle ricerche sulle istituzioni formative e sulla mobilità sociale nel nostro paese - che la probabilità di intraprendere un percorso universitario dopo il diploma è una delle poche caratteristiche associate significativamente al titolo di studio, ma non alla classe occupazionale, dei genitori.

Verso quali facoltà universitarie si orienta la scelta dei nostri studenti? Le risposte si distribuiscono in maniera abbastanza omogenea tra i corsi appartenenti all’area artistica e umanistica (24,2%), quelli delle scienze sociali (29,7%) e quelli dell’area giuridico-economica (25,8%); l’area delle scienze mediche e infermieristiche e quella delle scienze naturali e matematiche risultano invece meno apprezzate. La richiesta di classificare in ordine di preferenza alcuni corsi universitari[4] ha prodotto una graduatoria guidata da Scienze della Formazione e seguita a piccola distanza da Psicologia, Scienze della Comunicazione, Sociologia e Scienze Politiche (a pari merito). La graduatoria si modifica, però - e non sempre in base a una percezione realistica - quando si tratta di valutare la spendibilità delle diverse lauree all’interno del mercato del lavoro: al primo posto, infatti, c’è Giurisprudenza, che gli studenti ritengono offra molte più opportunità lavorative rispetto ad altre lauree, tra cui anche quella in Economia.

Nella sez. D, relativa alle prospettive sul futuro e al concetto di flessibilità, sono di gran lunga più numerosi i quesiti a risposta aperta, i cui risultati sono stati sottoposti ad analisi di contenuto e trattati in alcuni casi anche secondo una logica quantitativa. Il concetto di flessibilità viene associato dai più a significati di ordine positivo, quali l’autonomia, l’adattabilità, l’indipendenza e la mobilità, anche se resta ambigua l’accezione precisa in cui quest’ultimo termine viene inteso. Precarietà, disoccupazione e mancanza di certezze prevalgono invece nelle interpretazioni negative. Tra le esigenze più sentite per la tutela del lavoro ‘flessibile’ gli studenti indicano la previdenza e la salute, seguite da stabilità, sicurezza economica e sussidi in caso di disoccupazione. Poco consapevoli appaiono, invece, rispetto alla necessità di un concreto aiuto nell’accesso al credito. Secondo la maggioranza degli studenti, le politiche governative e sindacali non riescono a dare efficaci risposte a queste problematiche, tanto che la maggiore risorsa cui affidarsi per il proprio nel futuro lavorativo è riposta nell’iniziativa e nella determinazione dell’individuo.

È diffusa negli studenti la percezione che il lavoro sarà una componente essenziale della loro esistenza, sia nel periodo propriamente lavorativo che in quello della pensione, su cui le prospettive sembrano molto fosche. È altresì presente la consapevolezza di essere una generazione meno fortunata rispetto a quella dei loro genitori, nonostante le più ampie possibilità di studio e di scelte che sono loro offerte (ma molti sono convinti del contrario). Molte delle argomentazioni risultano generiche e poco elaborate, ma non mancano osservazioni interessanti, soprattutto sul ruolo ambiguo dell’istruzione, sempre più necessaria ma anche fonte di false speranze e di aspettative deluse. Le principali conseguenze negative sono lo scoraggiamento e la demotivazione, che colpiscono per lo più a livello del singolo e non spingono all’aggregazione politica. Gli studenti restano comunque abbastanza ottimisti sul loro futuro, nella convinzione che dipenderà quasi tutto da loro stessi. Sui modi concreti di affrontare i problemi legati al lavoro ‘flessibile’ esiste però grande incertezza ed emerge l’aspettativa che siano le agenzie formative o i poteri pubblici, nelle loro varie articolazioni, a farsi carico delle conseguenze della precarietà.

 

Per maggiori informazioni sulla ricerca, si prega di contattare Franca Settembrini

franca.settembrini@sp.unipi.it

 


 

[1] Tale iniziativa ha avuto origine nel 2004. Nel dicembre 2006 avevano aderito alla Convenzione i seguenti Licei e Istituti: “Fermi” – Cecina (LI), “Pascoli-Rossi” – Massa; “Montessori” – Carrara (MS);”Rosmini” – Grosseto; “Chini” – Lido di Camaiore (LU); “Niccolini-Palli” – Livorno; “Forteguerri-Vannucci”- Pistoia; “Montale”- Pontedera (PI); “Peri”- Arcidosso (GR). La presente ricerca si inserisce altresì all’interno del P.R.I.N. Flessibilità e prospettive di vita, di cui è coordinatore scientifico il Prof. M. A. Toscano.

[2] La redazione di quest’ultima sezione è stata curata direttamente dal Dipartimento di Scienze Sociali.

[3] Secondo la definizione proposta da Antonio Cobalti e Antonio Schizzerotto in La mobilità sociale in Italia, Il Mulino, Bologna 1994.

[4] In questo caso, dunque, gli studenti non dovevano esprimersi sulla totalità dei corsi universitari disponibili, ma solo su un piccolo numero di essi (11), che sono stati selezionati in quanto, in sede di progettazione del questionario, sono stati ritenuti quelli più spesso scelti dai diplomati dei LSS. Questa ipotesi, come abbiamo visto, ha trovato riscontro nei risultati ottenuti attraverso l’analisi dei dati: circa l’80% dei soggetti ha riferito che nella scelta universitaria si orienterà verso facoltà appartenenti al gruppo umanistico, sociale, oppure giuridico-economico.