Dispositivo educativo (Mario Schermi)

Strutture ed altro, nel con-venire e nell’inter-venire della responsabilità educativa

Mario Schermi (metodologo del Patto educativo dello Stretto)

 

Premessa: educare irriflessivo, riflessivo e pre-riflessivo

L’educare irriflessivo è l’educare che poco sa di sé e, in un certo senso, poco vuole sapere, giacché senz’altro sa quanto preziosa sia la propria “ignoranza”, come condizione della propria esistenza. Nella penombra dell’irriflessione, l’educare può così incontrare l’altro e “attendere alla crescita” come quotidiano darsi alla vita, dell’uno per l’altro, dall’uno all’altro… [Nancy, 1992], quasi fosse naturale. Solo accidentalmente l’uno e l’altro possono scoprirsi educatore e educando: accade quando l’altro si scopre cresciuto, senza capire come, e ringrazia l’uno che, a sua volta, “senz’altro” credeva d’essere preso in qualcos’altro. Educare è innanzitutto una “cosa così”: un accadere misterioso, nascosto, carsico… eppure incessante nel suo costruire e ricostruire il mondo, fra tradizione e tradimento.

L’educare riflessivo, invece, è in costante esercizio di interrogazione. È attento nel riconoscere l’accadere educativo e, spesso consapevole del suo “mistero”, sa farsi attorno, alla ricerca dei significati e dei sensi che in quel particolare “spazio-tempo” prendono a realizzare l’esperienza del “crescere”. L’educare riflessivo, soprattutto, svolge due funzioni: una “critica” [Cambi, Cives, Fornaca, 1991] e l’altra “ermeneutica”. La prima è volta a smascherare gli irrigidimenti, le violazioni, i percorsi obbligati, le riduzioni… delle diverse pedagogie non di rado mimetizzate nelle pratiche dell’educare irriflessivo. La seconda, cercando riparo da qualsiasi nomografia, prova a seguire le “tracce” di ciascuna esperienza educativa colta, idiograficamente, nella sua unicità alterante, di “differenza” che si fa “differente” nel dialogo con il mondo. È questo un educare che sa di sé, ma che, anche, rischia di voler sapere troppo, violandosi o capovolgendosi: violando il mistero dell’educare o capovolgendo il proprio agire (…educativo) in attività conoscitiva.

L’educare irriflessivo è come se fosse “quasi” immerso nell’accadere educativo. L’educare riflessivo, invece, sembra seguirlo e attenderlo di là dal suo accadere, per poterlo raccogliere, raccontare e, infine, interpellare. L’educare pre-riflessivo, allora, precede l’accadere educativo e, in un certo senso, l’anticipa, non senza la presunzione di poterlo anche determinare. In questo suo poter stare “prima”, l’educare pre-riflessivo è impegnato a scorgere gli orizzonti e a intenzionare l’agire educativo, prevedendo, orientando, progettando, programmando… Gli orizzonti rivelano che l’educare non è mai “neutrale” e “tradiscono” che non può non essere normativo, sia pure con tutte le comprendibili premure antiautoritarie. In quest’altra direzione, l’educare pre-riflessivo, “torna” a ribadire che l’educazione non è solo un affare dell’educando, ma che riguarda (e non poco) lo stesso educatore, interpellandone “il senso”. Educativamente, allora, il crescente non è solo [deludendo Rousseau], non è libero [deludendo Tolstoj] ed ha pur sempre una scuola [deludendo Illich]. Così come, venire al mondo è una esperienza compromettente: non è cadere sulla “terra”, ma essere con-segnato alla storia ed esserne un nuovo inizio. È compito dell’intenzione sgombrare il campo dalla speranza positivista e neo-positivista di un accadere educativo come “fatto puro”.
 

 

1. Dell’educare irriflessivo: lo “spazio educativo diffuso” e il “tempo educativo intimo”

L’educare non è un mestiere. Anche se può diventarlo. Nel suo cerchio più “largo” finisce per comprendere tutti gli uomini e le donne. È qui che, gli uni e le altre, sono comunque intenti a prendersi cura di esperienze rivolte al crescere. Accade così che ciascuno può (deve…) farsi “ausilio” dell’evento del crescere, e divenire, nell’incontro con il crescente, educatore… nel senso più “largo”.

Il “cerchio più largo” è la sede, la casa… dell’educare diffuso. Non si tratta di un educare intenzionale, formale, tecnico, professionale…; non contempla riflessioni, progettazioni, strategie… ma, semplicemente (si fa per dire!) accade e informa di sé il mondo d’intorno, a partire dall’esercizio “quotidiano” della responsabilità educativa, esercitata in ogni gesto, anche minimo, in cui ciascuno, con osservazioni, premure, parole… si prende cura del “crescere” dell’altro. Fare un gesto d’accoglienza, prestare ascolto, offrire protezione, segnalare un pericolo, ribadire una regola, comunicare un valore… sono “gesti educativi quasi spontanei” di cui sono disseminati molti dei comportamenti di coloro che incontrano crescenti. Bidelli, genitori, allenatori, barman… sono, così, agenti quasi inconsapevoli di un “educare ingenuo” [in-gīgnere, che viene da dentro], implicito, talvolta cifrato…. Tanto più numerosi e intrecciati sono gli agiti educativi ingenui, tanto più, questi, saranno capaci di dare vita a “spazi educativi diffusi”, densi di occasioni di crescita, anche se educandi ed educatori hanno soltanto una contezza lontana di tutto l’educare che sta lì accadendo.

Se lo “spazio educativo diffuso” è il cerchio più largo presso cui possono trovare esperienza le occasioni del crescere, il “tempo educativo intimo” è forse il suo cerchio più stretto. Si tratta ancora di un educare irriflessivo, per lo più “ingenuo”, quasi un “incidente educativo” che circoscrive un tempo riservato all’uno e all’altro, all’educatore e all’educando. È un “tempo sospeso”. Uno stare “quasi” sopra il mondo, ma temporaneamente. Il maestro e l’allievo, il padre ed il figlio, l’insegnante e lo studente, il barista ed il ragazzo, il mastro ed il giovane… secondo il tempo che l’educare darà e “quasi” per caso, saranno presi l’uno dell’altro, nell’impresa comune del “crescere”, rinnovata dall’incontro nello “scarto” tra crescente e cresciuto. È un’esperienza intensa. Richiede intensa cura e intenso affidamento. Complicità. Intesa. Stima reciproca. E, insieme, senso del limite (dell’altro) e desiderio di oltrepassamento (della situazione…).

 

2. Dell’educare riflessivo: esercizi di valutazione educativa

Tocca tornare sulle cose per poterle interrogare. Nel loro primo passare sanno di stupore, di meraviglia, di orrore… Ma fin qui, sono solo le cose da una parte e le nostre passioni dall’altra. Le cose che passano, ed il nostro sentirle e, talvolta, inseguirle. Le cose indifferenti e la nostra “differenza”. È allora che tocca rallentare, fermarsi… per ritrovarsi in sé e nel mondo. Per ricomporre, a nostro modo, il componibile. È il momento del “valore”, il momento del “m’importa”, delle cose “per me e per te”.

Educare, nella sua forma più riflessiva, è anche riuscire ad interrogare, volta per volta, storia per storia, ciò che “importa”. È poter dire delle “cose”, dei “qui-ed-ora”… colti nella loro attesa: come di cose… nella tensione inestinguibile di un orizzonte. Escatologia. È ciò che accade ogni volta che ci si interroga circa il “senso”. E la domanda sul “senso” è intrinsecamente pedagogica. Il “valore”, quasi come misura del “senso”, però, non è disponibile, attingibile… ma “riguarda” il nostro discorsivo farci attorno alle “cose del mondo” e scoprirle nel “senso del crescere”. Senza questo ritrovare e ritrovarsi, senza poter dire cosa “importa”, “a che vale…” …l’educare non saprebbe, letteralmente, dove andare o, peggio, non saprebbe neppure, criticamente, dove è andato, giacché c’è pur sempre un “senso”, anche se nascosto, implicito, eterodiretto…, in quell’andare tra gloria e rovina.

Il lavoro del “valutare l’educare”, altro che appendice, adempimento docimologico, inutile indugio di teorici, esibizione autoritaria del giudizio… è l’educare stesso che ritrova il suo possibile senso (modificato, alterato…) ogni volta nell’incontro con l’altro crescente. In questo senso, la responsabilità educativa, oltre che “iniziare”, è soprattutto chiamata a “finire” l’educare. E l’educare, così definito, potrà essere riconosciuto e interpellato, giacché non tutto è educativo e non tutto l’educativo è riconoscibile nel senso dell’educare critico e condiviso (valore pubblico). Ci si potrebbe ad esempio ritrovare con iniziative senz’altro non-educative, nella misura in cui, nonostante le intenzioni, non riescono a raggiungere il crescente; oppure si potrebbero scoprire imprevisti esiti dell’educare, di molto distanti dalle attese condivise.

Perché, intanto, il lavoro dell’educare possa essere riconosciuto nel suo “specifico”, occorre dedicare spazio e tempo ad un costante “esercizio di valutazione educativa”, che insieme al riconoscimento delle necessità dell’educare sappia elaborare metodi e strumenti, capaci di sostenerne l’”esercizio” e di garantirne la rigorosità.

 

3. Dell’educare pre-riflessivo: le strutture dell’agire educativo

Lavorare sul crinale delle “differenze”, tra un contenuto ed un altro, tra un modello ed un altro, tra…, può apparire un semplice espediente didattico, utile a veicolare e favorire l’apprendimento. Tuttavia, per alcuni saperi, per alcune competenze si è chiamati a superare la semplice dimensione dell’espediente, giacché, dentro quelle differenze, si annida la possibilità di qualificare, in termini di efficacia, le idee che si pensano e le azioni che si fanno.

In alcune professioni, poco codificate da mansioni e procedure, come quelle a forte implicazione relazionale, provocatoriamente, tutto sembra lo stesso. Perché possano darsi ulteriori apprendimenti volti a sostenere un agire più attento, più efficace e …responsabile è opportuno dedicare del tempo al riconoscimento ed alla riflessione circa le diverse posizioni, le diverse azioni… senza, per ciò stesso, precipitare in specialismi pericolosi e fuorvianti [Schön, 1983], ma semmai per consentire alle singole dimensioni di riconoscersi, di definirsi e, infine, aprirsi a produttive “contaminazioni”.

Tradizionalmente i mestieri dell’educare si sono avvalsi di modelli d’intervento ora “programmati” (strutturati per sequenze di contenuti ed esercizi) ora “attivi” (destrutturati e orientati ingenuamente- creativamente); ovvero, modelli sostanzialmente irriflessivi, come se l’educare non fosse sostanzialmente pensabile o, al più, fosse “somministrabile” per contenuti ed esercizi. Negli ultimi decenni, sotto la spinta di una maggiore ricerca d’efficacia nell’azione educativa [Pavone, Tortello, 2002] e per una certa enfasi accordata alle “speranze cliniche”, tra “programmazioni” e “attività”, hanno preso ad essere diffusamente sperimentate (…non senza eccessi e accanimenti) forme di “progettazione educativa individualizzata”.

Mentre, però, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, la “progettazione educativa individualizzata” e la “progettazione educativa programmata” conoscevano il loro massimo sviluppo, si registrava un costante e inesorabile cedimento della “tenuta educativa” più diffusa (delle comunità, dei territori, delle famiglie, delle chiese, dei partiti…). Come dire che mentre l’educazione formale ed intenzionale si specializzava, l’educazione informale e inintenzionale [Tramma, 2003] arretrava, senza che le “efficienze” della prima potessero supplire le “deficienze” della seconda. Tocca dire, qui forse un po’ troppo perentoriamente, che l’educare informale, irriflessivo… non è semplicemente un educare “non ancora formalizzato” ma, letteralmente, “un altro educare”, non surrogabile, a cui, con maggiore attenzione, occorrerebbe dedicare una rinnovata attenzione pedagogica, troppo frettolosamente liquidata come “ignoranza” o troppo sbrigativamente riscoperta in qualche “ginnastica dell’efficacia”.

Bene, quando l’educare non è più così diffuso, né così disposto ad intercettare e occasionare esperienze di crescita, e, invece, prova a costituirsi come discorso pedagogico disposto ad orientare l’agire educativo o a pre-disporre l’intervenire educativo presso ogni singola storia, ecco che prova a farsi “prima”, a proporsi come pensiero dell’educare, disposto a scegliere investimenti, obiettivi, strategie, strumenti… e, infine, a farsi. È questo l’educare pre-riflessivo. E non si tratta di avere semplicemente un pensiero prima: già da sempre l’educare è agire “un pensiero pedagogico” tanto esplicito, quanto implicito. Fin qui, infatti, non si sarebbe molto oltre l’educare irriflessivo. L’educare pre-riflessivo, invece, prova ad organizzare pensieri per l’educare e lo fa avvalendosi di due “strutture dell’agire educativo”: il progetto educativo ed il dispositivo educativo; il primo, volto ad inter-venire nelle storie e nelle geografie… per raggiungere obiettivi educativi; il secondo volto a sviluppare un diffuso e coerente agire educativo per costruire ambienti e favorevoli condizioni di crescita.

C’è una premessa ineludibile, quasi un principio, che deve precedere qualunque pre-disposizione educativa e che attiene al concetto di educabilità [Nosari, 2005]: esiste una concreta, mondana ed esistenziale, possibilità di promuovere, di provocare e di aver cura di cambiamenti a contenuto educativo, con lo scopo di incontrare i bisogni di crescita di ciascuno. Il progetto educativo, in un certo senso, interpreta e prova a realizzare quella possibilità di crescita rivolta al crescente, in un dato tempo e in un dato luogo. Mentre – come già accennato – il dispositivo educativo, è una struttura educativa orientata a costruire ambienti, promuovere occasioni, favorire la comunicazione dei significati educativi, divenire pratica diffusa, “quasi” automatica… il progetto educativo punta alla realizzazione di obiettivi educativi, ora centrati su emergenze educative [disagio, disadattamento, devianza…] ora centrati su particolari “speranze” educative [favorire esplorazioni, sostenere espressioni, orientare acquisizioni…]. Del progetto già molto è stato scritto [Zonca, 2004], adesso si provi a tracciare un primo disegno del dispositivo educativo.

 

3.1. Il dispositivo educativo

Tra la responsabilità educativa e l’agire educativo dedicato, contestualizzato… occorre mettere in cantiere meccanismi, mediatori, dispositivi… capaci di sintetizzare i processi e di operazionalizzare le intenzioni. Sì, dispositivi. E, tuttavia, soltanto dispositivi, ben al di qua dagli infiniti rinvii dell’educare. Sì, dispositivi, capaci di esplicitare anche soltanto gli orientamenti generali dell’educare o di produrre prime coerenze nel plurivoco agire educativo. Dispositivi, soltanto dispositivi, e non il tutto dell’educare.

A volerne cercare il dettaglio, un dispositivo si presenta come “un groviglio, un insieme multilineare” [Deleuze, 1999], un marchingegno di intrigate corrispondenze, pronto a funzionare per azioni programmate. A volerne cercare anche un senso più ampio, allora, dispositivo è letteralmente qualunque cosa abbia in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi [Agamben, 2006, p. 22]. È così che il dispositivo organizza e efficientizza/efficacizza, “quasi” desoggettivizzando, l’agire alterante degli uomini, volto a “domesticare” [De Martino, 1977] la realtà. Ed è, parimenti, così che il dispositivo può reclamare un suo possibile “uso pedagogico”, in sé senz’altro alterante (già, comunque, diffusissimo in ogni educazione implicita …e non si sa, poi, quanto inintenzionale).

Ora, perché possa darsi un educare pre-riflessivo, occorre che “premesse”, “modi” e “sensi” dell’educare abbiano a riconoscersi presso un contesto e, in dialogo con questo “ancoraggio”, possano intercettare bisogni educativi situati e assicurare proposizioni, gesti, condotte… coerenti. Insomma, sia pure in una forma che poco dovrebbe richiamare soluzioni pianificate, progettate…, generalmente quando si tratta di mettere in opera un “dispositivo educativo”, questo non può non prendere la forma di un “dispositivo educativo situato”. È questo che inaugura una sintesi possibile tra diverse attese e diversi bisogni di crescita, per poi decidere un “modo”, un “metodo”… attraverso cui indeterminarsi nell’incontro con le biografie singolari e plurali, singolari-plurarali [Nancy, 1996] e, eventualmente, a quali azioni e strumenti affidarsi. Di volta in volta il dispositivo, sulla soglia cruciale dell’”incontro”, deciderà se affidarsi ad un agire educativo “quasi” informale o se strutturarsi in “progetto”.

Ecco così che il dispositivo, sulla scorta di un condiviso ripensamento dei “principi dell’educare”, si definisce nel riuscire a pre-ordinare coerenze di comportamenti, stili, atteggiamenti, attenzioni, pratiche, routine, riorientamenti… ora costantemente “in azione”, ora “pronti ad agire” a certe condizioni, in certe occasioni…. Così, mentre il “progetto” mette in ordine azioni e strategie in vista di obiettivi da raggiungere, il “dispositivo” lavora nel quotidiano interagire educativo, quasi senza obiettivi, e regolando processi, esperienze… in vista di fini.

 

3.2. La matrice del dispositivo educativo

La matrice di un dispositivo educativo, si compone di “disposizioni esterne” e di “disposizioni interne”. Le “disposizioni esterne” fanno da impalcatura al dispositivo e ne garantiscono la costituzione ed il mantenimento. Queste esplicitano i “principi”, gli “orizzonti”, le “responsabilità” e le “regolazioni”. Le “disposizioni interne” definiscono una area particolare dell’agire educativo, presso cui insiste il dispositivo. Queste altre possono essere riconosciute: negli (s)nodi, nei contenuti, nelle interazioni, nei predicati e negli strumenti. Qui di seguito si presenta il “disegno” della matrice, mentre in nota si forniscono alcune indicazioni per la sua costruzione [1].

 

 

 
Orizzonti
Regolazioni
Responsabilità
 
Interazioni
 
 
Predicati
 
(s)nodi
 
Strumenti
 
 
Contenuti
 
 
Principi
 
  

3.2.1. I principi

I principi sanciscono le premesse, i fondamenti, le idee originarie… su cui si costruisce il dispositivo. La loro esplicitazione, per quanto a tutta prima ridondante, consente un chiaro orientamento del DE intorno ad un’area dell’educare (e non intorno al tutto dell’educare!), e, qui, consente altresì, come non trascurabile esito secondario, di riprendere “parole e pensieri” intorno a questioni di fondo, altrimenti percepite distanti o assunte acriticamente.

 

3.2.2. Gli orizzonti

Se i principi sanciscono “gli inizi”, gli orizzonti provano a definire “i fini”. Il DE, dentro questo orizzonte, individua alcuni dei “sensi” dell’educare e prova a corrispondere alla sua escatologia. Gli orizzonti custodiscono le idee di “uomo” e di “mondo” che si intendono realizzare anche attraverso l’educare, nonché i desideri e le ansie che in quelle idee hanno provato a comporsi. Come per i principi, occorre ribadire che la esplicitazione degli orizzonti aiuta a riprecisare alcuni elementi di quadro, a forte rischio di generalizzazione e di astrazione, tanto che talvolta – quegli elementi – sembrano ancora lì, anche quando non ci sono più.

 

3.2.3. Le regolazioni

Le regolazioni del DE servono al mantenimento dello stesso. Sono cioè tutte quelle regole di funzionamento utili a “favorire” il rispetto dei principi, l’orientamento verso “i sensi”… ed a “vincere” le resistenze (psicologiche, sociali, organizzative…) che, eventualmente, potrebbero frapporsi. La loro sottovalutazione o la loro assunzione “a-critica”, potrebbe mettere a repentaglio il “sistema operativo” (la sua virtù “quasi automatica”!) del dispositivo, riducendolo a semplice enunciatore di principi… o, con esiti non molto dissimili, costringendo ad una estenuante e continua regolazione. 

 

3.2.4. Le responsabilità

Delle “disposizioni esterne”, quella delle responsabilità rappresenta la disposizione che sancisce la nascita di un dispositivo educativo, in quanto “struttura operativa dell’educare” pre-riflessivo. Il dispositivo non educa! Qualunque dispositivo non educa! Semmai ammaestra, addestra, manipola… Ma in questo caso, non sarebbe neppure un dispositivo educativo, nel senso sin qui tracciato. Educare è un’esperienza delle soggettività in relazione e il dispositivo educativo non può non essere un “fatto” inter-soggettivo. Dalla parte di chi educa, pertanto, è necessario che le soggettività coinvolte siano chiaramente identificate, poiché sarà soprattutto loro la responsabilità dell’educare che, anche attraverso il DE, andrà via via componendosi come esperienza di crescita.

 

3.2.5. Gli (s)nodi

Gli (s)nodi rappresentano i nodi/snodi intorno a cui si puntella/sviluppa il dispositivo. Sono i punti, i nessi, le chiavi… in cui si traducono i principi regolatori, ma anche i vincoli, le necessità che tocca tenere in considerazione. In termini educativi gli (s)nodi tematizzano le “questioni del crescere” intorno a cui esercitare attenzioni e cure educative o, detto altrimenti, …gli (s)nodi sono intese possibili tra attese educative e bisogni di crescita, contestualmente letti e localmente orientati.

 

3.2.6. I contenuti (contenitori?)

I contenuti sono il medium, le “cose” (piuttosto che le “parole” degli s-nodi), attraverso cui transitano le intenzioni educative e si materializzano, incorporandosi. E sono le massime, le discipline, le regole, le norme, le storie, i libri, i film, gli oggetti, i prodotti, le canzoni… insomma, tutte le “cose” che si fanno portatrici di un contenuto educativo. Da questo punto di vista, pertanto, più che di cose-contenuti, sarebbe opportuno parlare di cose-contenitori, ovvero di cose con “capacità” educativa, nella misura in cui ciascuna “cosa”, nel dialogo del crescere, finisce per custodire un “che” di educativo. È così che ciascun contenuto del dispositivo (o contenitore dell’educativo) proverà nutrire le esperienze del crescere di materialità educativa [Barone, 2006], in quanto pur sempre esperienze quotidiane, concrete, fattive…

 

3.2.7. Le interazioni

Le interazioni di un dispositivo educativo provano ad esplicitare l’elemento “caldo”, relazionale… dell’agire educativo. Esse provano a dare indicazioni circa le premesse (credenze, epistemologie, tradizioni, biografie…), le identità e le posizioni dei diversi attori dell’educare. Dalle soggettività in crescita e dal loro incontro discendono: l’opportunità o l’inopportunità di certi stili, la disponibilità a certi atteggiamenti, la regolazione di certe posizioni di potere, i contributi alla formazione del clima, dell’ambiente… emotivo presso cui accade l’educare. Detto altrimenti, c’è una prossemica educativa che, accanto, prima, oltre… i contenuti stessi, è già discorso educativo e partecipa direttamente alla formazione dei significati e dei “sensi” utili al crescere.

 

3.2.8. Le azioni/reazioni

Le azioni di un dispositivo educativo hanno il compito di promuovere i sensi ed i significati dell’educare, indicati dagli (s)nodi, e di animare i contenuti che quei sensi ed quei significati custodiscono. Sono le azioni che muovono l’educare e lo portano sulla soglia dell’altro crescente. In questo senso, nelle immediate vicinanze di un incontro educativo, le azioni non sono mai “sole”, ma costantemente in dialogo, in inter-azione [3.2.7.] con le re-azioni, i ritorni, i rinvii, i richiami… dell’altro. È, in fondo, di questo accadere in crescita, di azioni e contenuti, nel “mezzo” dello spezio-tempo delle interazioni, che si costruisce l’educare, ovvero un certo modo di essere… e di essere al mondo.

 

3.2.9. Gli strumenti

Gli strumenti di un dispositivo educativo “servono” le azioni, in quanto “mezzi operativi” capaci di attivare, di far funzionare, di mantenere… secondo le intenzioni delle azioni e le finalità del dispositivo. Al riparo dal rischio di facili “strumentalizzazioni”, è possibile affermare che gli strumenti da soli non fanno il “dispositivo”, né possono sostituirsi al alcuno dei suoi elementi. Tuttavia, strumentare opportunamente il DE, consente di tradurlo in esperienza operativa, di superare gli ostacoli, di garantirne, passo passo, i risultati.

 


  

Bibliografia

 

Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali. Einaudi, Torino 1977.

Franco Cambi, Giacomo Cives, Remo Fornaca, Complessità, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia, Firenze 1991.

Gilles Deleuze, Che cos’è un dispositivo?, in Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori, Ombre Corte, Verona 1999.

Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Roma 2006.

Jean-Luc Nancy (1996), Essere singolare plurale. Einaudi,Torino 2001.

Jean-Luc Nancy, La comunità inoperosa, Cronopio, Napoli 1992.

Marisa Pavone, Mario Tortello, Individualizzazione e integrazione, La Scuola. 2002.

Paola Zonca, Progetto e persona. Percorsi di progettualità educativa, SEI, Torino 2004.

Pierangelo Barone, La materialità educativa, Unicopli, Milano 2006.

Riccardo Massa (a cura di), La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Unicopli, Milano 1988.

Sara Nosari, L’educabilità, La Scuola, Brescia 2005.

Sergio Tramma, L’educatore imperfetto, Carocci, Roma 2003.

Donald. A. Schön (1983), Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica, Dedalo, Bari 1993.

 

Marzo 2007

 


 

[1]

 

Disposizioni esterne

Principi: almeno tre premesse, fondamenti, questioni irrinunciabili e non negoziabili… su cui costruire il DE.

Orizzonti: almeno tre finalità, obiettivi a lungo termine… capaci di orientare il “senso” del DE.

Regolazioni: almeno tre azioni utili a far funzionare (favorire comunicazione, con-vincere resistenze, promuovere motivazione) il DE.

Responsabilità: individuazione ed esplicitazione delle diverse responsabilità soggettive (individuali e/o collettive), sulle quali ricadono i compiti e le funzioni indispensabili perché il DE si costruisca (secondo i principi), si mantenga (secondo le regolazioni) e si orienti (secondo gli orizzonti).

 

Disposizioni Interne

(s)nodi: “nessi” (elementi, questioni, tasti…) educativi su cui si costituisce l’impianto della proposta educativa. Ciascuno (s)nodo, in particolare, si definisce, nella sua capacità di coniugare i bisogni del crescente con le attese sociali.

Predicati: esprimono le azioni occorrenti perché gli (n)nodi realizzino la loro efficacia educativa.

Contenuti: esplicitano le “cose” che materialmente, fisicamente… provano a “contenere” sensi e significati dell’educare e che, esperienzialmente, permettono l’incontro educativo.

Interazioni: offrono le “chiavi interpretative” coerenti delle relazioni educative in gioco nel DE.

Strumenti: sono gli ausili tecnici, capaci di permettere e/o facilitare il lavoro dei predicati.