Percorso di alternaza scuola-lavoro con il carcere. Due testimonianze

 

È stata una grande opportunità per noi ragazzi e ragazze del “Maffeo Vegio” quella di poter scoprire la vita all'interno del carcere.

Un grazie infinito va al prof. Camuri, alle prof. Astorri, Franceschin e Peviani per averci seguiti in questo cammino di alternanza scuola lavoro, dal quale abbiamo imparato molto, soprattutto a livello di umanità.

La mostra che abbiamo organizzato si intitola “Gli sguardi le cose”.

Il nostro sguardo su ciò che riguarda il carcere è mutato, perché abbiamo incontrato persone che, raccontandoci le loro storie, ci hanno permesso di riflettere su quello che siamo. Noi siamo esseri umani, noi sbagliamo, perché siamo deboli, perché siamo sfortunati. Spesso cerchiamo soluzioni facili ai nostri problemi, alle nostre sofferenze, non risolvendo, però, nulla di quello che ci affligge. Ormai ci siamo dentro, non possiamo più uscire, non possiamo tornare indietro, è troppo tardi, siamo al buio: siamo nella nostra prigione, quella in cui ci siamo rinchiusi, quella per cui non troviamo la chiave. Nessuno può tirarci fuori, siamo bloccati. Forse sentiamo le flebili voci di chi ci ama implorarci di tornare indietro, di svegliarci, ma noi ci sentiamo inadatti, inadeguati, non più degni di essere amati. Guardiamo fisso l'orrido in cui siamo caduti, l'unico a cui diamo il permesso di guardarci. È un tunnel profondo che sembra non avere fine, ormai non ci speriamo più: non c'è via di uscita, non ci sono né redenzione né riscatto.

Finché a un certo punto le nostre mani non toccano una parete fredda, umida, dura; ci spingiamo contro le mani, ma niente da fare, più giù di così non si può andare: abbiamo toccato il fondo e non ci resta che risalire. Ci sentiamo smarriti, consapevoli che da soli non possiamo farcela: ecco che allora torniamo a metterci in ascolto, nuovamente. Scopriamo che le voci di chi ci vuole bene non avevano smesso di chiamarci, di pronunciare il nostro nome, di dirci di tornare a casa, che è aperta per noi giorno e notte. Scopriamo che l'unica chiave in grado di aprire la nostra prigione è l'affetto dei nostri cari, che abbiamo sottovalutato, nel quale non abbiamo creduto. Abbiamo sbagliato. Il mondo attende il nostro ritorno: possiamo ancora fare qualcosa. C'è in gioco la felicità di chi ci ama.

Per loro possiamo cambiare, diventare persone migliori, ci vorrà tempo, ma questo è possibile, io l'ho visto, io ve lo testimonio: è questo quello che ho imparato in carcere.

Letizia Persico Mollica

 

Mi hanno chiesto spesso (e mi sono chiesta anche io) il motivo che mi ha spinta ad andare in carcere per due anni consecutivi. In altre parole "perché andare in carcere invece che starmene a casa?" o, se vogliamo, "perché in carcere e non in qualche altra realtà?".

Una delle risposte è che le nostre carceri non sempre hanno la possibilità di assolvere al compito di rieducazione previsto dalla Costituzione italiana, qualcuno deve darsi da fare e collaborare per cambiare le cose, mi piace pensare di essere anche io quel "qualcuno".

E tuttavia il motivo più importante, ciò che in primo luogo mi ha spinto ad andare in carcere tutti i venerdì, è forse un altro, molto più umile, molto meno "eroico". Il tempo trascorso nel salone del carcere è una delle poche occasioni che ho per fermarmi, riflettere, e parlare. Semplicemente parlare, con serietà e impegno, della vita, del mondo, di tutto ciò che di importante accade attorno a noi e dentro di noi.

Il nostro non è un dialogo tra persone libere e detenuti, non si tratta di un'indagine né di un interrogatorio che ha per oggetto la quotidianità dietro le sbarre. Paradossalmente, è tutto molto più semplice. Il nostro è un confronto molto naturale tra persone che hanno voglia e tempo di condividere le proprie idee.

L'ambientazione è, oserei dire, ininfluente. Questo almeno è il modo in cui io ho vissuto questa esperienza. D'altronde è proprio questo il messaggio che vorrei comunicare al mondo: se chi è in carcere va ascoltato non perché è in carcere ma perché è un essere umano che, in quanto tale, potrebbe avere cose interessanti da dire, è perché qualunque persona è, prima di tutto, una persona.

Lo diciamo spesso ma, per una volta, pensiamo a cosa tutto ciò voglia davvero dire.

Sono sicura che se riusciremo ad intuire il senso più vero e profondo dell'essere persona e dell'avere a che fare con delle persone cambierà il nostro modo di "vivere l'umanità" e, con esso, cambierà il mondo.

Giulia Gavardi