L'Europa unita per la pace: Ottava edizione AICCRE - MFE

E' arrivato alla ottava edizione (la prima edizione fu nel 2012) lo stage di formazione giovanile "Una Vita Senza Guerre, L'Europa Unita Per La Pace", condotto dalle sezioni liguri dell'AICCRE e del Movimento Federalista Europeo.

Ad accogliere, tra l' 8 e il 10 giugno 2019, 27 studenti di fine quarta superiore provenienti da istituti e indirizzi diversi delle diverse province liguri, è stato quest'anno il comune di Sassello, il borgo nel Parco del Beigua ricco di importanti attrattive naturali e testimonianze storiche.

Lo schema generale di questi stage non è cambiato nelle diverse edizioni, ma vale la pena di ricordarne qui le caratteristiche fondamentali, anche perché si tratta di una proposta didattica strutturata, che può fornire motivi e suggerimenti di discussione a insegnanti e studenti anche al di là dell'occasione specifica. Una proposta utile soprattutto quando, come accade in questi stage, si vogliano affrontare temi storici e di attualità di grande spessore che non sempre trovano però spazi e tempi adeguati nell'organizzazione scolastica tradizionale.

L'impianto didattico degli stage utilizza infatti strategie di apprendimento cooperativo e di "lezione rovesciata" per trattare, in un tempo relativamente breve e senza semplificazioni arbitrarie, contenuti complessi. La prospettiva della "lezione rovesciata" prevede, per esempio, che i contenuti pertinenti alla storia dell'Unione, ai valori su cui si basa e alle istituzioni che la governano, proposti da parte dei formatori attraverso unità video e interventi specifici (Perché e come è nata l’UE; come funziona l’UE e su quali principi si basa; quali opportunità la UE offre ai giovani ), possano venire confrontati con informazioni che gli studenti hanno già raccolto e iniziato a elaborare per proprio conto, in una ricerca preliminare assegnata alle diverse scuole. La ricerca degli studenti precede quindi la lezione, mentre chi fa lezione non presume di lavorare su una pagina bianca ma assume come condizione di efficacia il confronto con le pre-conoscenze (e a volte i pre-giudizi e i pre-concetti) degli ascoltatori.

Gli argomenti assegnati a queste ricerche preliminari possono essere molti e vari. Nelle diverse edizioni abbiamo avuto la descrizione storico geografica di paesi dell'Unione, l’interpretazione di frasi celebri di filosofi e scienziati su che cosa significhi essere cittadini europei, la presentazione di questioni vitali, come la salvaguardia dell'ambiente e della salute, in cui il ruolo dell'Unione è stato determinante.

Da alcune edizioni, però, si è scelto di assegnare alle scuole, come compito preliminare da portare allo stage, la presentazione di personaggi chiave della storia delle istituzioni europee. Questo permette agli studenti di arrivare con alcune nozioni di massima non solo sulla biografia dei personaggi, ma sugli avvenimenti e le svolte del XX secolo che li hanno visti attori. Hanno così qualche strumento in più per porsi in modo attivo di fronte alle lezioni che affrontano i rapporti tra il processo di costituzione della UE e il contesto mondiale.

Il percorso del “Secolo breve” che va dalla "fine degli imperi" (1914-18), alla "fine dei fascismi" (1939-45), fino alla progressiva costruzione di istituzioni sovrannazionali europee negli anni '50 del XX secolo, nel quadro della decolonizzazione e della Guerra Fredda, finisce in genere in fondo ai programmi scolastici delle quinte classi. A fine quarta è molto raro che gli studenti ne sappiano qualcosa. Grazie al lavoro preliminare, invece, qualche conoscenza in più c'è, e questo facilita il lavoro dello stage, durante il quale tutte le informazioni ricevute vengono analizzate, condivise e ricondotte a coerenza nel lavoro dei gruppi. Una proposta didattica "rovesciata", che affidi al lavoro autonomo degli studenti la prima informazione su un ambito di contenuti, e poi ne faccia discutere, la integri con altre voci e fonti, e cerchi di inquadrarla in contesti di comprensione e sistemi interpretativi, è in genere una scelta efficace, ma in questo caso è davvero indispensabile.

Oggi i nazionalismi stanno tornando di moda, la costruzione europea non è accettata in modo unanime, e viene anzi spesso presentata in modo caricaturale come un prodotto di decisioni minoritarie, arbitrarie e azzardate. Ricostruire insieme, tra formatori e studenti, la storia, i contesti e le scelte dell'Unione serve invece a vederla meno lontana e a capirne meglio la razionalità, le potenzialità e anche i limiti da superare.

Nello stage "Una vita senza guerre " ci si organizza secondo le regole dell'apprendimento cooperativo. E questo si riflette non solo nelle procedure e nei compiti delle attività, ma anche nei ritmi della giornata. Fin dall'arrivo si stabilisce infatti che i compagni di scuola non saranno i compagni di stanza, di mensa o di tavolo di lavoro. Il mixage non è solo un espediente per evitare squilibri nella resa didattica dei gruppi. Gli studenti sono messi nella condizione di dover superare le differenze, e a volte le rivalità e i pregiudizi, dei luoghi di provenienza e degli indirizzi scolastici diversi, i "tecnici", gli "scientifici", gli "umanistici". Questo costringe anche a riflettere su come storie, appartenenze e identità diverse possano collaborare per scopi comuni. Nel micro come nel macro, nel gruppo di studenti come nelle istituzioni UE, imparare a leggere le differenze come risorsa è un’abitudine cognitiva importante, e sempre più vitale in un'epoca in cui chiusure e separazioni sembrano ritornare di moda.

All'inizio dello stage c'è sempre una breve fase di "giochi di conoscenza", utile anche per far funzionare bene i successivi “tavoli di lavoro”. I tavoli sono da tre o da quattro persone, e la loro composizione è stata già definita dai formatori, per evitare squilibri di genere o di provenienza, ma è importante che tutti conoscano tutti. Ci aiuterà in questo, come ogni anno, il gioco della mano disegnata, che porta scritta sulle dita la costellazione delle cose che ci piacciono e di cui siamo convinti, che scambieremo con le mani degli altri e che disporremo insieme come un gran pavese di bandierine. Tra le cose scritte sulle dita c’è il piatto preferito, il libro appena letto, ma anche "che cosa significa per te essere cittadini europei"… Le attività proseguono in brevi "unità di compito" la cui durata può variare dai dieci ai quaranta minuti: lettura e analisi di documenti, brevi lezioni, stesura di testi, momenti di discussione, produzione di materiali. Ciascun tavolo di lavoro, o gruppo di base, inventa un proprio nome, uno slogan, una propria immagine distintiva, e condivide le informazioni e gli elementi di discussione. I tavoli possono venire temporaneamente suddivisi per esigenze di documentazione e approfondimento, ma poi si ritrovano al momento della condivisione di quanto approfondito e della stesura delle relazioni. Al loro interno, i diversi ruoli di responsabilità e di mantenimento della coesione ruotano a ogni unità di compito. I tavoli di lavoro non coincidono quindi con i gruppi scolastici di provenienza, restano stabili per tutta la durata dello stage, e saranno responsabili di un prodotto finale, un "compito di realtà" indirizzato a destinatari esterni.

Il calendario è molto intenso : quattro sessioni, di quattro ore circa ciascuno, scandite in diverse unità di compito, più una breve introduzione all'arrivo e due incontri serali. Nel primo, si presentano al pubblico i lavori che le scuole hanno preparato, e il secondo è dedicato a uno spettacolo teatrale pertinente al tema. Quest'anno, le presentazioni introduttive delle scuole riguardavano alcune figure di "Madri" e di "Padri" dell'Europa (Ursula Hirschmann, Simone Veil, Jean Monnet, Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Jacques Delors). Lo spettacolo, messo in scena dalla Scuola di recitazione per ragazzi e adulti La quinta praticabile di Genova, sviluppava invece intrecci e sentimenti coinvolti intorno a una tipica situazione "frontaliera" pre-Schengen.

E, come ogni anno, l'incontro serale ci ha riproposto l'indimenticabile scena del "passaggio di dogana con sacco" con Massimo Troisi e Roberto Benigni in versione rinascimentale, intrappolati nei controlli di confine tra Pistoia e Firenze. Anche in questa edizione, le sessioni di lavoro sono state dedicate alla storia, alle competenze degli organismi dell'Unione, ai suoi principi ispiratori. Principi espressi nella Carta dei Diritti Fondamentali e nel Trattato di Lisbona istitutivo della UE, e letti però anche alla luce dei problemi e dei dilemmi della vita reale.

All'inizio di ogni sessione, gli studenti sono stati invitati a rispondere individualmente a "questionari di conoscenza" (una serie di domande classiche, a risposta chiusa) e alla fine della sessione le risposte sono state restituite, corrette e discusse insieme. Insieme alle risposte, in alcuni casi sono stati anche discussi i "distrattori", le "alternative sbagliate" offerte dal test. Nelle ultime edizioni, la discussione dei distrattori si è rivelata sempre più importante perché permette di riflettere sulle percezioni sociali dei nostri studenti, e sui significati che attribuiscono a termini spesso dati per scontati.
Alla domanda, per esempio, su quale sia il concetto fondamentale alla base dell'ideologia nazionalista, la risposta "giusta", e scelta prevedibilmente dai più, faceva riferimento alla volontà di salvaguardare le popolazioni di un territorio che abbiano la stessa lingua, etnia e cultura, ma tra le alternative indicate da alcuni c'era anche "il controllo delle popolazioni di un territorio attraverso la limitazione delle libertà individuali". Il dibattito che ne è seguito ha permesso di approfondire i motivi di questa scelta, che non sono banali. Perché è indubbio che l'ideologia nazionalista presuma una forte "omogeneità" culturale di tutti gli abitanti di un territorio, ma proprio questa presunzione porta con sé forti componenti illiberali e autoritarie. Presumere l'omogeneità culturale di una intera popolazione significa vedere con insofferenza ogni forma di diversità interna, ritenuta cosa potenzialmente straniera e nemica. Proprio nella storia recente d' Europa gli esempi non mancano, anche a non voler citare le persecuzioni e i genocidi più atroci. Per esempio, tra le nuove e vecchie nazioni uscite dalla prima guerra mondiale, la ricerca di "omogeneità" all'interno dei confini portò a scambi di minoranze e spostamenti di massa. Si trattò di spostamenti anche "legalmente" concordati tra stati confinanti, sulla base di criteri religiosi o linguistici, ma quasi sempre coatti per chi li doveva subire. Nella presunzione di "correggere" i vecchi assetti degli imperi vennero stravolte le vite di milioni di persone, e vennero cambiati i connotati culturali di città e regioni intere, che avevano visto invece per secoli un sostanziale equilibrio tra diverse componenti della popolazione. E la tragedia delle guerre balcaniche degli anni 90, praticamente l'altro ieri, ci racconta che il primo atto fu proprio la persecuzione e la costrizione alla fuga delle famiglie miste, che allora costituivano tra il dieci e il venti per cento dell'intera popolazione dell'ex Yugoslavia. La risposta tecnicamente "sbagliata", che identificava il nazionalismo con le sue componenti illiberali e autoritarie, ha quindi profondi e pesanti fondamenti nella realtà storica.
Altrettanto interessante è un altro "distrattore". Per alcuni studenti l'ideologia nazionalista si baserebbe "sul rispetto delle popolazioni di diversa nazionalità, lingua, etnia e cultura presenti su un territorio". Paradossale, vero? Ma discutendo si scopre che il paradosso non è tanto in quel che dice il distrattore, quanto nella realtà del nazionalismo stesso. Che riproduce continuamente il bisogno di confini statali, separazioni e conflitti. Se faccio parte di una minoranza territoriale, la prospettiva nazionalista di uno stato tutto nostro sembrerà dare una risposta radicale alla mia richiesta di rispetto. Radicale, ma non definitiva. Ci sarà sempre, infatti, la possibilità di ulteriori divisioni interne, di intrecci imprevisti di fedeltà e di identità. Questo mostra, per esempio, la storia recente dell'Ucraina.
L'ultimo distrattore della domanda era quello che collegava il nazionalismo al "miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate del popolo presente sul territorio". Gli studenti lo hanno ignorato, e forse questo è un buon segno. Ne abbiamo però discusso ugualmente, perché la speranza che chiudersi nei propri confini serva a tenere lontani speculazione e sfruttamento, e permetta di realizzare un nuovo e più giusto ordine sociale, è una delle motivazioni più accattivanti che il nazionalismo storicamente abbia dato di sé. Anche se è tragicamente sbagliata. Un po' perché un'economia che si chiuda nei confini nazionali di ricchezza da distribuire in genere ne produce poca, un po' perché l'ideologia nazionalista, con la sua enfasi sull'unione patriottica, tende a non lasciar emergere i conflitti sociali. E sono proprio i conflitti sociali che invece funzionano in genere da motore profondo di riequilibrio tra ceti e classi. Lo slogan che abbina nazionalismo e preoccupazione per i diseredati potrebbe avere un senso forse solo per una grande potenza economica e politica, capace di dettare regole e condizioni al resto del mondo, e però anche governata al suo interno da principi di giustizia sociale. Fu per qualche decennio l'immagine di sè che dava al mondo l'Unione Sovietica. Come sappiamo, non ha funzionato nemmeno lì.
Come le altre, anche l' ottava edizione dello stage ha prodotto qualcosa di utile per tutti. Stavolta il prodotto finale elaborato dai gruppi di lavoro ha avuto una forma duplice. Da un lato, ogni gruppo ha formulato un progetto di assemblee di informazione di istituto, da convocarsi durante il prossimo anno scolastico e in cui i partecipanti allo stage assumeranno il ruolo di tutors - formatori dei loro compagni, utilizzando i materiali prodotti durante lo stage. Dall'altro, i gruppi hanno predisposto una "petizione operativa" da rivolgere, in base all' art.44 della Carta dei diritti fondamentali della UE, al neo insediato Parlamento Europeo. La petizione, in formato multimediale, riguarda una questione tra quelle riconosciute fondamentali nella Carta dei Diritti e nei trattati dell'Unione. I gruppi potevano scegliere tra la Parità di genere, la Difesa dell’Ambiente, la Dignità della persona nella gestione delle migrazioni.
E i lavori dei ragazzi hanno suggerito molte idee per dare concretezza a questi principi . La stesura di una petizione operativa, che non è un semplice appello di principio, ma prevede passi e azioni concrete e precise, è stata possibile perché i ragazzi erano bene informati . Un'intera sessione centrale dello stage era stata infatti dedicata al funzionamento delle istituzioni europee, al sistema di responsabilità politiche e di sovranità condivisa che le caratterizza, e agli strumenti che hanno a disposizione i cittadini per interagire con esse. E anche quest'anno sono emerse nella discussione domande e perplessità, di fronte alle molte garanzie di civiltà che gli ordinamenti europei si impegnano a tutelare , ma che gli stati nazionali tardano spesso a raccogliere e, anzi, a volte ostacolano esplicitamente, nascondendosi dietro gli slogan di una malintesa sovranità.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea mette al centro i diritti degli "individui"(e non solo dei "cittadini"), e indica come principio base la "dignità"delle persone. Ciò significa che uno stato europeo non può autorizzare la pena di morte o la tortura (art. 1-2-3- della Carta). Che un paese europeo non può negare la possibilità di presentare richiesta di asilo a chi ne abbia bisogno (art. 18 e 19). Che in tutti i paesi europei i bambini e i minori hanno diritto di essere ascoltati (art.24). Che i lavoratori non possono essere licenziati senza motivo e senza tutele, hanno diritto a orari ragionevoli e a periodi di riposo (art.30 e 31).
Negli stage dell'AICCRE si sceglie di non discutere delle scelte contingenti dei governi , e si cerca invece di dare le informazioni necessarie per capire in base a quali valori e con quali strumenti si sia formata e possa oggi orientarsi la società europea. Ma riflettendo su tutti questi temi si può capire quanto un'ottica puramente nazionale sia miope e autodistruttiva.
 
Per formulare le loro petizioni i ragazzi sono stati invitati a raccogliere anche opinioni e pareri di cittadini, giovani e adulti, intervistati per le strade e al mercato settimanale di Sassello. E qui è emersa anche qualche contraddizione : gli intervistati erano ben disponibili a dire la loro sui temi oggetto della petizione, che si trattasse di ambiente, di parità di genere o di gestione delle migrazioni, ma quasi nessuno aveva invece idea di che cosa le istituzioni europee potessero effettivamente fare in merito, e in che modo. I nostri studenti avevano avuto occasione, grazie allo stage, di capire le strutture decisionali della UE, le loro potenzialità e i loro limiti, e hanno realizzato con un po' di stupore che la loro ignoranza iniziale sui temi europei, di cui erano allegramente consapevoli, e che era stata superata grazie all'esperienza dello stage, era in realtà una condizione quasi generale anche tra gli adulti.
Come si spiega questa diffusa ignoranza? Forse perché, soprattutto nel nostro paese, è raro che i cittadini siano messi davvero in condizione di capire chi fa le cose nella UE, e soprattutto chi abbia le responsabilità delle scelte. Stampa e televisione spesso usano in modo confuso e “intercambiabile” termini come Commissione, Parlamento, Consiglio europeo, Consiglio della UE. Per non parlare degli equivoci su Corti di Giustizia e tribunali internazionali. Peso e responsabilità dei governi nazionali nel prendere decisioni vengono in genere ignorati. E si usa il termine “Europa” come un arnese buono a tutti gli usi, a indicare una realtà dalle forme indistinte, di volta in volta inutile e inefficace, o onnipotente e tirannica, a seconda di come conviene rappresentarla.
Negli ultimi anni, in Europa e sull’Europa, a questa imprecisione diffusa si sono sommate narrazioni distruttive, che ricordano solo gli evidenti errori, gli insuccessi e gli squilibri, e minimizzano, o presentano come insuccessi, anche le conquiste sociali e democratiche che l’Unione ha permesso e difeso. Particolarmente insidiose sono quelle narrazioni che magari non dichiarano di combattere apertamente l’idea di una Europa unita, ma presentano l'esperienza sovrannazionale europea come una parentesi della storia, lunga ma transitoria e ormai esaurita, nata di necessità dopo l'emergenza degli "eccessi" nazionalisti del passato, ma senza più una reale funzione oggi. Che considerano gli stati nazionali a sovranità apparentemente illimitata come l'unico assetto "naturale" della politica. E che vedono quindi di buon occhio il ritorno senza remore a un mondo regolato, si fa per dire, solo dal libero gioco tra questi stati. Come se non contassero condizioni e interazioni economiche, posizioni geografiche e dimensioni, e come se i piccoli stati europei, figli dell’Ottocento, potessero vedersela davvero alla pari coi grandi imperi continentali e con le forze smisurate della globalizzazione economica. E senza reti di protezione nel caso che i giochi diventassero giochi di guerra. Il nostro stage si è svolto subito dopo elezioni europee che hanno visto, all'interno e all'esterno del confini dell'Unione, contrapposizioni pesanti tra fautori e detrattori della UE.
Ma l'analisi dei dati elettorali e della nuova composizione del Parlamento, discussa insieme agli studenti, mostrava qualche tratto sorprendente e non previsto. Nonostante molti annunci infuocati, non c'era stato un reale sfondamento nazionalista. E il successo dei Verdi era stato importante in tutta Europa al di là delle aspettative. Su entrambi questi aspetti, tuttavia, il voto italiano era andato in senso opposto a quello di tutti gli altri paesi europei. Forse c'è qualche rapporto tra questa “stranezza” del comportamento italiano al voto e la scarsa conoscenza di che cosa sia davvero, di come funzioni, e a che cosa serva, l'Unione. E' stato perciò molto interessante vedere come, in questo orizzonte incerto, si sia collocata l’opinione dei nostri stagisti, che sono ovviamente millennials, curiosi di saperne di più sull'Europa, abituati a vivere in Europa e a pensarsi come Europei, ma non necessariamente europeisti.
 
Perché è importante anche dire che gli studenti che partecipano a questi stage non vengono mai selezionati in quanto favorevoli all’Unione, e che in tutte le edizioni c’è sempre stata grande varietà di atteggiamenti e opinioni in proposito. Qualche indizio su come la pensano questi ragazzi viene già dai nomi e dagli slogan che i tavoli di lavoro si sono scelti. "Le ali del futuro"; "Uniti è meglio"; "I Figli dell'Europa"; "Kos" (un'espressione norvegese che indica la gioia di condividere le piccole gioie della vita ma che è anche il nome dell'isola greca dove nacque il concetto di cura delle persone); "Europe Means Together"; "CostruireUnioneInsieme", con l'immagine di un puzzle da costruire, con elementi tutti diversi e tutti indispensabili; "Europa alla pari", senza discriminazioni di genere.
Al di là dell'efficacia di nomi, immagini, simboli e slogan, in tutti era presente un collegamento tra l'immagine dell' Europa e l'universo positivo degli affetti e delle aspettative di benessere. E veniva sottolineato anche il carattere in qualche modo incompiuto di una costruzione che però era forse anche bene non fosse troppo strettamente definita. L'immagine del puzzle non aveva tutti i pezzi, si sarebbero inventati strada facendo. Lo slogan Uniti è meglio era accompagnato da un commento che esaltava le differenze tra gli elementi che componevano l'unione. Perfino la rappresentazione delle bandiere che componevano una delle immagini simbolo non era stata del tutto colorata : qualche colore potrebbe cambiare, ed è giusto lasciare aperta la possibilità di farlo. Lasciare aperte le possibilità di cambiamento ma in un contesto di unione saldamente garantita: in altri termini, e senza troppe forzature, si potrebbe definire Federalismo.
 
E forse anche da queste libere associazioni, per il momento un po' caotiche, tra l'idea di Europa, le passioni benevole della socialità, la cura di sé, il rispetto dei diritti e lo star bene delle persone potrebbe nascere un qualche antidoto alle truci pedagogie del nazionalismo e dell'esclusione, che sembrano infestare i nostri tempi.
Claudia Petrucci