Segnalazioni, recensioni e proposte di lettura e di ascolto

In questa sezione accogliamo le vostre segnalazioni per letture/ascolti utili alla riflessione e non solo per la didattica: 

Aboubakar Soumahoro, Umanità in rivolta, con i suggerimenti di lettura di Claudia Petrucci. Si può leggere insieme al bel libro-inchiesta di Bianca Stancanelli, La pacchia.Vita di Soumaila Sacko, nato in Mali, ucciso in Italia

Forum disuguaglianze diversità, L’impegno per contrastare le disuguaglianze in educazione nel tempo del Covid-19

FLC-CGIL, Fascicolo sulla didattica a distanza (scaricabile)

Luigino Bruni, Il gran peso delle parole. Opinioni - Debito e colpa, Europa e nostro domani 

David Quammen, Spillover : passato e futuro delle pandemie

Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio,Lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri sul "dopo emergenza"

Vittorio Pelligra, Coronavirus, la corretta interpretazione di dati e statistiche

Antonio Bonaldi, Perché virologi e infettivologi, da soli, non ce la possono fare

Dario Missaglia, La scuola al tempo del Coronavirus

SPILLOVER : passato e futuro delle pandemie

 

Era il 2014 quando usciva "Spillover", di David Quammen, un corposo volume che possiamo realmente definire 'profetico' e di tragica attualità oggi, al tempo del coronavirus. 

La sua lettura, benchè sicuramente impegnativa, può almeno confortare i nostri dubbi e le nostre domande, anche se non darci risposte.

Si può anche cominciare con il seguire l'autore intervistato da Radio Radicale e da Wired.

DIPENDE.... Istruzioni per l'uso di "Spillover" di David Quammen

Perché leggerlo?

Nel 2012, Spillover è valso al suo autore David Quammen il premio Stephen Jay Gould, indetto dalla Society for the Study of Evolution che dal 1946 promuove, negli USA e nel mondo, l'integrazione dei vari campi della scienza connessi con lo studio dell'evoluzione.

David Quammen non è uno studioso di biologia evolutiva, è un bravissimo narratore di letteratura non fiction. Il suo lavoro, come ci dice nei suoi scritti e nelle sue lezioni, consiste nel raccontare, nel modo più coinvolgente possibile, storie vere, non inventate o abbellite o esagerate. Le sue storie raccontano come si costruisce la conoscenza scientifica dei processi e degli ambienti vitali. Le sue storie servono a far crescere la conoscenza sociale, a debellare le mitologie e a difendersi meglio, non solo da virus e batteri ma anche dall'irrazionalità, dai complottismi e dalle fake. E questo è già un buon motivo per leggerle.

Spillover, alla lettera Fuoriuscita dal Serbatoio, cioè salto di un agente patogeno da una specie ospite all'altra, è un imponente reportage di divulgazione scientifica, indagine e avventura. È nato da una serie di articoli scritti da Quammen per National Geografic al tempo dei primi allarmi per il virus Ebola. Ha come argomento le zoonosi, cioè le moltissime malattie che passano dagli animali alla popolazione umana, e spiega come si diffondono, come si identificano e come si combattono. I suoi protagonisti sono biologi in laboratorio e in campo aperto, medici e veterinari, ricercatori, portatori e guide ambientali, fotografi e documentaristi, cacciatori, pescatori e agricoltori, cuochi e turisti. Spesso inconsapevoli agenti e/o vittime di contagio.

Di questi tempi ovviamente di Spillover si parla da per tutto. Soprattutto perché già nel 2012 il reportage lanciava un avvertimento che non è stato raccolto.

Di che cosa ci avvertiva Spillover? Di alcuni fatti importanti.

a) In quanto esseri umani siamo legati agli altri animali, non siamo diversi dagli altri animali, e quindi siamo attaccabili dagli stessi patogeni, virus, batteri, o altro. Quando c'è un salto da una specie - serbatoio, in cui il patogeno era in qualche modo rannicchiato e circoscritto, a una specie nuova e indifesa, e soprattutto numerosissima e onnipresente come la nostra, l'effetto è devastante.
b) Le zoonosi sono in aumento e sono favorite ogni volta che animali selvatici, che non avrebbero mai dovuto essere portati a contatto con gli umani e che ospitano patogeni a noi sconosciuti, entrano forzatamente nel giro antropico perché il loro habitat è stato disintegrato e occupato dalle attività umane, la biodiversità è stata troppo ridotta e gli equilibri tra le specie sono stati alterati.
c) Le zoonosi sono favorite ogni volta che specie domestiche di animali vengono allevate in grandi numeri, spazi ristretti, promiscuità, condizioni igieniche cattive, abuso di antibiotici. Tanto peggio se questo avviene vicino a quegli habitat prima intatti, ma ora invasi e frammentati, da cui sono stati stanati i selvatici. La già malandata specie domestica, a contatto con la specie selvatica serbatoio, può addirittura in certi casi diventare amplificatrice della violenza del patogeno, e trasmetterlo così potenziato agli umani .
 
A questo punto siamo davvero condannati ? Beh, diceva Quammen nell'ultimo capitolo del libro (e lo ripete oggi quando è così spesso interpellato [1] ), dipende..... Le zoonosi rappresentano il 60 per cento delle malattie infettive umane, sono e saranno un elemento costante della nostra vita. Non serve quindi prendersela con le specie animali identificate come serbatoio, perché quando siamo di fronte a una zoonosi il contagio è già diventato umano. Morale: non perseguitate i pipistrelli, di cui i nostri ecosistemi hanno comunque bisogno. Piuttosto lasciateli stare! La nostra specie ingorda e onnipresente ha disegnato in modo praticamente irreversibile il quadro, ma molte conseguenze dipendono ancora in gran parte da noi. In altre parole, possiamo scegliere come comportarci in situazioni che abbiamo imparato a riconoscere come critiche. Nello specifico delle storie raccontate nel libro, per esempio, avremmo potuto scegliere di non bere linfa di palma, di non mangiare carne di scimpanzè, di non tenere porcilaie ai margini di una giungla frammentata, sotto alberi di mango rifugio di pipistrelli in fuga, di non tossire senza coprirsi la bocca, di non prendere un aereo se non ci si sente bene, di non fare sesso senza protezione, di non allevare insieme galline e anatre e di non macellarle insieme alla selvaggina. Avremmo potuto scegliere di non far dilagare come status symbol planetario una vecchia e circoscritta abitudine locale di mangiare animali appena tratti dalla giungla. Più in generale, possiamo ancora scegliere che cosa acquistare, e quali aspetti della nostra vita espandere o comprimere.
Troppo spesso, con le nostre scelte standard di consumatori, esercitiamo una grande pressione sugli ambienti ancora selvaggi, che invece andrebbero lasciati stare non solo per le loro vitali funzioni ecosistemiche, ma soprattutto perché potenziali serbatoi di virus ignoti. "(...) Ogni piccola cosa che facciamo può abbassare il tasso di infezione, se ci rende diversi gli uni dagli altri e non corrisponde al comportamento standard del gruppo... Gli esseri umani possono differire gli uni dagli altri in innumerevoli modi.. questo, e l'intelligenza, è fondamentale. " A queste indicazioni già presenti nell'ultimo capitolo del libro ( intitolato appunto "Dipende") lo stesso Quammen, in recenti interviste, ne ha aggiunte altre importanti "... che ci serviranno a fronteggiare la prossima pandemia, oggi che stiamo combattendo questa..."
  • Quello che ci serve è sviluppare la tecnologia dei controlli delle infezioni e investire di più nella sanità pubblica. Predisporre disponibilità aggiuntive di spazi e attrezzature per la cura dei malati. Costruire un margine di riserva di tecnologie, attrezzature, spazi e personale competente per affrontare questa e le altre epidemie che verranno.
  • Si deve investire di più nella ricerca, nella conoscenza, e nella circolazione e diffusione della conoscenza. Fare in modo che la maggior parte delle persone capisca le necessità e le dinamiche della ricerca scientifica. Oggi questo non accade, nemmeno nelle elite che governano il mondo.
  •  Abbiamo bisogno di ridurre e trasformare i consumi in modo che si arresti la corsa alla frammentazione e disintegrazione degli habitat Le aree ancora intatte vanno lasciate intatte. La biodiversità non va ulteriormente aggredita. Non per salvare il pianeta , ma per salvare noi stessi.
  • Bisogna ridurre i consumi ma non ridurre i legami tra le persone. Conoscenze e idee devono viaggiare, anche se sarà necessario ridurre la velocità e l'affollamento degli spostamenti fisici. Potrà servire distanziarsi fisicamente, ma non dobbiamo perdere i contatti emozionali e l'empatia
  • I muri non servono, né tra gli stati né dentro gli stati. Servono invece strutture e istituzioni che permettano di affrontare insieme i problemi comuni
  • Anche se non c'è un collegamento diretto tra crisi climatica e pandemie, ci sono cause comuni, che dipendono dallo sfruttamento antropico del pianeta, e queste cause vanno affrontate senza perdere altro tempo.
 
Si può usare con gli studenti?
E' un libro affascinante ma drammatico e non facile. Va usato con cautela e non può essere usato tutto.
Ma dai 15-16 anni si possono proporre al suo interno alcuni percorsi di lettura. Che funzionano ovviamente meglio se vi collaborano colleghi di discipline diverse (Arts and Sciences, direbbero alla SSE, la Società che ha premiato nel 2012 il lavoro di Quammen)
 
Il capitolo 1, Il Cavallo Verde, e il capitolo 2, Tredici Gorilla, sono esempi di narrativa scientifica efficace e coinvolgente. Il Cavallo Verde è quello dell'Apocalisse (che noi siamo forse più abituati a chiamare "cavallo pallido") ma è anche il simbolo degli animali attaccati dal virus Hendra. I Tredici Gorilla sono le prime vittime dell'Ebola segnalate col cuore in gola da un ranger gabonese.
Col ritmo di un romanzo poliziesco, Quammen ci guida attraverso paesaggi a noi poco familiari, nel Queensland australiano e nelle foreste del centro Africa, tra personaggi rappresentati nella loro quotidianità sconvolta, nei dubbi, negli entusiasmi, nelle ipotesi sbagliate, nelle reazioni rabbiose (notevole l'invettiva del mandriano di Hendra contro i pipistrelli e quelle mezzeseghe degli ambientalisti che si oppongono – e giustamente- al loro sterminio). Vediamo le scelte difficili in situazioni di emergenza, e le emozioni che uniscono creature umane e non solo. In Tredici Gorilla si impara anche la differenza tra la narrativa che parla di scienza e la narrativa che utilizza la scienza come un pretesto o un punto di partenza per l'invenzione artistica. Imparare a distinguerle, soprattutto di questi tempi sempre a rischio di paranoia, è molto utile. Dato poi che la lotta per il controllo dell'Ebola ha avuto tutto sommato buoni risultati, il messaggio che ne risulta è perfino cautamente ottimista.
 
I capitoli 4 (Una cena alla fattoria dei ratti) e 5 (Il cervo, il pappagallo, il ragazzo della porta accanto) sono più complicati e meno omogenei. Sono fatti di tante storie (e di tante aggressioni patogene) diverse, collegate a volte per analogie. Tutte raccontano però il rapporto tra abuso antropico e risorse naturali, e parlano di mode e di status symbol distruttivi, di calcoli economici sbagliati, di uso irresponsabile del territorio, non solo nei paesi remoti del sud del mondo, ma anche alle latitudini a noi familiari. E' un bel repertorio di storie di economia e di rapporti sociali.
In tutto il libro, vale la pena di non perdere l'occhio geografico. David Quammen evoca paesaggi diversi e singolari, che potrebbero avere come contrappunto visivo le immagini di Sebastiao Salgado, e che meritano di essere esplorati con gli strumenti che ci offre il web.Vedremo, per esempio, le imponenti cupole di granito che emergono dalla giungla di Minkebe nel Gabon, dove vivevano i gorilla poi sterminati dall'Ebola. O gli habitat frammentati ai margini delle foreste, erosi da costruzioni, svincoli stradali, allevamenti industriali. Un mondo minacciato, un mondo a rischio, ma anche un mondo ancora vasto e bellissimo. Nella bolla delle limitazioni in cui ci costringe la pandemia, Il web ci permette di non perdere la consapevolezza di farne parte.
 
L'ultimo capitolo (Dipende) è per studenti grandi. I ragionamenti che riannoda sono complessi, richiedono un po' di conoscenze biologiche e una certa capacità di assorbire realtà e ipotesi inquietanti. Se abbiamo letto uno dei capitoli precedenti, e vogliamo trovare insieme ai nostri ragazzi un quadro interpretativo e sintetico di tutte queste vicende, è probabilmente più utile utilizzare le recenti interviste di Quammen, che ne riassumono con efficacia il pensiero. Citiamo qui dalla conversazione con la giornalista Stella Levantesi de il Manifesto: "....Dobbiamo fare degli aggiustamenti. Potrebbe essere che inizieremo a ridurre il nostro impatto in termini di clima, di tutti i combustibili fossili che bruciamo, in termini di distruzione della diversità biologica, di invasione dei diversi ecosistemi. Forse cominceremo ad avere un passo più attento e più leggero su questo pianeta. Questo è quello che spero, ed è l’unico bene che può venire da questa esperienza."
E in ogni caso, mettiamo anche qualche argine a questa storia.
Nella stessa intervista, è proprio Quammen che ci mette in guardia ".....Viviamo in un mondo dove i media sono attivi 24 ore su 24 e vogliono aggiornamenti e occhi. . Quindi penso che noi, come consumatori di notizie, dobbiamo resistere all’ossessione .... Dobbiamo seguire l’informazione sul virus, prestare attenzione al problema ma abbiamo bisogno anche di altre cose. Abbiamo bisogno di una copertura sul coronavirus che approfondisca le cause e gli effetti, ma anche di storie che non riguardino il coronavirus. Abbiamo bisogno di musica, di comicità, di arte, di persone che parlano di libri – e non solo del mio"
Claudia Petrucci
 
 
[1]I riferimenti sono alle interviste rilasciate a : Il manifesto, 23 marzo 2020; Radio radicale, 28 mar 2020 ; Prendiamola con filosofia – La Repubblica Youtube 04 aprile 2020

La ribellione indispensabile

 

LA RIBELLIONE INDISPENSABILE
Istruzioni per l'uso di "Umanità in rivolta", di Aboubakar Soumahoro (Feltrinelli 2019)

di Claudia Petrucci

Intervenendo al Salone del Libro di Torino del 2019, Aboubakar Soumahoro invitava il pubblico, giovane e attentissimo, a scavare dentro l' apparente semplicità del titolo. L'Umanità in rivolta non è soltanto quel concretissimo popolo di sfruttati che con la sua fatica tiene insieme il mondo, e che combatte perché gli sia riconosciuto il diritto alla vita e alla felicità. E' la nostra dignità di persone, che ci accomuna tutti, e che solo nella rivolta contro i sistemi di esclusione e le strutture disumanizzanti può essere preservata.
Nella parola-chiave Umanità c'è un esplicito riferimento a Primo Levi, che denunciava nella disumanizzazione del deportato lo specchio della disumanità del carceriere. Se accettiamo che dai nostri orizzonti percettivi, dai perimetri delle nostre sensibilità e dalle protezioni del diritto vengano rimossi i nostri simili, mettiamo a rischio anche il nostro comune destino di esseri umani.
L'appello alla rivolta non è quindi una faccenda solo di migranti e di sfruttati, ma è una chiamata alla responsabilità di tutti noi. Bisogna ribellarsi alle categorie dell'esclusione.Non accettare che diventino normali. Rifiutare la complicità.

La struttura discorsiva del libro, che permette più livelli di lettura e di approfondimento, passa attraverso la narrazione autobiografica, le vicende spesso tragiche di amici e compagni, la rievocazione delle grandi epopee di lotta per la libertà di donne e uomini e per la loro dignità di lavoratori.I nomi che ricorrono sono quelli di Nelson Mandela, Martin Luther King, Giuseppe Di Vittorio, Peppino Impastato. E si cita in tono commosso l'esperienza (poi, come si sa, demolita a forza) di Riace.

Attraverso molte storie esemplari, commentate da citazioni importanti ( Albert Camus, Pierre Bourdieu, Luciano Gallino, la Costituzione Italiana e la Dichiarazione di Indipendenza Americana, e anche Antonio Machado, Muhammad Alì, Angela Davis), Soumahoro ci mostra come vengano costruite le distorsioni percettive che ci portano a credere che "il migrante" sia una categoria a parte.Un alieno con caratteristiche, richieste e problemi incomparabili ai nostri, che non si può pensare e riconoscere come uno di noi, ma solo "contenere" in termini di ordine pubblico e, quando possibile, usare a nostro vantaggio. In questo, le responsabilità di tutte le istituzioni politiche sono immense e hanno una lunga storia. I migranti vengono fatti oggetto di norme e di regole stratificate e spesso contraddittorie, prodotte per sottolineare la differenza tra loro e gli altri anche quando accedono ai medesimi servizi e la distinzione non presenta vantaggi pratici per nessuno.Quando poi i migranti vengono dal Sud del mondo è più facile, per le piccole e grandi centrali dello sfruttamento economico e dello sciacallaggio ideologico, usare gli argomenti del razzismo per alzare muri e chiudere ghetti: la pretesa superiorità della cultura "bianca" , la paura di contaminarsi con possibili nemici e l'impossibilità di coabitare tra persone di cultura e provenienza diversa.

La categorizzazione diventa "razzializzazione" esplicita. Si teorizza che le differenze culturali originarie siano tali da rendere impossibile ogni contesto sociale comune. Si inventano percorsi discriminatori, si moltiplicano gli ostacoli, si nega la cittadinanza ai "migranti" di seconda generazione, cioè a ragazzi nati, cresciuti, educati nel nostro paese. E i risultati si vedono. Nel 1989 a Villa Literno l'assassinio del sindacalista sudafricano Jerry Essan Masslo suscitò, almeno all'apparenza, scandalo e indignazione generale. Nel 2018 a Gioia Tauro l'assassinio del sindacalista maliano Soumaila Sacko fu coperto da versioni di comodo e da uno strascico vergognoso di calunnie alla vittima.

Categorizzare e "razzializzare" serve a far leva su ansie collettive indotte per fomentare una cultura dell'inimicizia , occultando i problemi comuni.
E problemi comuni ce ne sono, eccome.
Perché "i diritti del lavoro, ci ricorda Soumahoro citando Di Vittorio, se non sono per tutti, non saranno presto per nessuno". Alla figura del grande sindacalista dei braccianti è dedicato un intero capitolo del libro, che sottolinea l'attualità del suo messaggio "per i diritti di tutti". Oggi il messaggio di Di Vittorio significa alcune proposte precise : un codice etico dell'intero settore agricolo, la regolarizzazione dei lavoratori, soluzioni abitative strutturali e condizioni di lavoro decorose. E un meccanismo di condizionalità nell'accesso delle aziende ai finanziamenti nazionali e europei, che li subordini al rispetto dei contratti, delle persone e della qualità del lavoro.
Non solo nel settore agricolo. Oggi infatti la precarietà del lavoro sta diventando la regola. I meccanismi dell'esclusione e dello sfruttamento riguardano milioni di lavoratori ( e non solo "migranti") non riconosciuti, provvisori, esposti a ogni ricatto di un sistema di cottimo generalizzato, senza certezza né di diritti né di tutele. Marginali e precari , ma strutturalmente indispensabili per settori fondamentali dell'economia e della società, da un capo all'altro del mondo. Quando i suoi compagni riescono finalmente a celebrare in Mali i funerali di Soumaila Sacko si rendono conto che solo le rimesse del lavoro sfruttato degli emigranti permettono un minimo di infrastrutture in un paese devastato dal land grabbing e dall'inquinamento minerario delle multinazionali.

Nel libro di Soumahoro leggiamo i dati impressionanti della filiera agricola e delle catene di sfruttamento su cui si regge. E si denunciano situazioni analoghe nei servizi logistici, le consegne commerciali, l'assistenza alle persone. Proprio tutti i settori che oggi un'emergenza planetaria ci fa riscoprire come indispensabili alla vita nostra e di tutti.

 

 

Una speranza per la scuola

Amo la scuola perchè mi ha salvato.

E della scuola hanno bisogno tutti coloro che desiderano essere salvati. E' per questo che gli studenti più motivati, direi affamati, sono i miei studenti minori stranieri non accompagnati. Vengono dal Gambia, dalla Somalia, dal Benin, dall'Egitto. Quando arrivano non sanno nemmeno una parola di italiano. Dopo tre mesi comprendono tutto e sanno parlare benissimo.

E' allora che io mi comincio a pormi domande inquietanti: MA PERCHE' I NOSTRI RAGAZZI DOPO DIECI ANNI DI INGLESE SANNO A MALAPENA DIRE I AM LUIGI, MY PEN IS ON THE TABLE? E se li porti in un aeroporto straniero si esprimono a gesti? Quando glielo chiedo loro mi rispondono che in classe fanno solo la letteratura straniera. Cioè imparano a memoria in inglese la vita di Shakespeare. E quel pò di inglese vero che sanno lo apprendono solo dalle canzoni e dal web.

Una mia collega di storia una anno voleva rimandare un nostro alunno straniero perchè in tre mesi di frequenza ancora non conosceva le guerre di indipendenza italiane. Io ho proposto al consiglio di classe e alla prof. di mettersi su un barcone, arrivare in Somalia ed in tre mesi imparare il somalo e tutta la storia di quel paese, poi l'avremmo interrogata per vedere i risultati.

Per una anno ho insegnato in una classe "difficile". L'insegnamento delle competenze potevo farlo solo per strade non canoniche, spesso per strade reali in quanto me li dovevo portare al cinema o al bar per comunicare con loro. Un notte mi chiamò la polizia perchè uno di loro si era messo nei guai e aveva fatto il mio nome come suo punto di riferimento. Gli sono stato vicino per mesi in terapia e per uscire da quel mondo. Poi il problema è stato travare lavoro, per non ritornare lì.

Io ho ancora l'idea che la scuola debba salvare le persone. Vengo da una famiglia del basso proletariato. Quando ho fatto il dottorato in filosofia a Lovanio, in Belgio, mia madre pensava che io fossi a Lavinio, vicino Roma. Quando ho regalato a mio padre una copia del mio primo libro mi ha chiesto perchè perdessi tempo in queste cose futili e non mi preoccupassi di stare vicino ai miei figli. E' la scuola che mi ha aperto dei mondi lì dove non ce n'erano davanti a me, se non un treno alle cinque di mattina per andare in cantiere a Roma come faceva mio padre. E ho sempre pensato: ma se la scuola non serve a dare la felicità o almeno a mettermi in condizione di ricercarla a cosa serve? A nulla. Insegno ai miei studenti a rivendicare il diritto alla felicità. Perchè non posso dimenticare le mie notti ai tempi del liceo passate a leggere Spinoza, o Foscolo, magari ascoltando Battiato. E poi la mattina essere accecato dallo stesso furore letto in quelle pagine e impiegarlo nella ricerca di qualcosa di grande e di unico nella mia vita quotidiana. Questo mi ha dato la scuola e questo cerco di dare ai miei studenti.

Il dibattito attuale sull'istruzione in Italia è attraversato da contraddizioni assurde e deliranti. I grandi intellettuali si appassionano ancora alla lotta tra competenze e conoscenze quando è chiaro e ovvio che l'una è legata all'altra e che comunque è più importante saper comprendere e interpretare un testo che ripetere a memoria le terzine di Dante. I più rispettosi dell'ordine pubblico si sono poi impegnati nel ridare alla scuola dignità con la severità e l'introduzione del voto di condotta che fa media come le altre discipline. Perchè questi ragazzi sono diventati troppo maleducati, dicono. Senza considerare invece che quel voto dovrebbe valutare le competenze di cittadinanza attiva acquisite dallo studente. E qui c'è il vero problema, perchè dalla vecchia educazione civica all'attuale insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione" la scuola italiana trascura la formazione della coscienza civile dei giovani. Direi anche la formazione della coscienza morale. Quando uno studente sta zitto, non parla e non discute non merita 10 in condotta perchè è educato ma va aiutato perchè lo abbiamo lobotizzato. La scuola non può non fare politica perchè educare politicamente significa educare al bene comune. L'alternativa è creare persone incapaci di pensare criticamente la complessità della realtà e che da adulti saranno illusoriamente rinchiusi in mondi gretti ed angusti. Facili prede di ciarlatani e demagoghi.

Edgar Morin ha ricordato che insegnare non è solo una professione ma è una missione. E un'arte. Questo può scandalizzare ma non c'è alternativa per ridare al docente dignità e professionalità. Insegnare non è un lavoro per tristi. Per farlo occorre motivazione alla ricerca, al sogno, ad aprire mondi e possibilità. Occorre avere speranza per darla agli studenti. E loro sono gli unici veri protagonisti di un sistema di valutazione dei docenti che sia davvero tale. Perchè hanno il fiuto e le antenne della giovinezza e della sincerità per capire chi è alla ricerca come loro.

La missione non è un colonizzazione: il docente non ha la verità ma ha (o dovrebbe averla) una solida cultura aggiornata e capacità validate per insegnarla, conoscendo almeno l'abc delle leggi della comunicazione ( se continua a ripetere a chi non studia che "deve studiare di più", evidentemente non le conosce). L'insegnante che ricerca con i suoi studenti aspetti sempre nuovi dei temi che tratta non fa mai la stessa lezione ma la reinventa sempre anche dopo trent'anni. Perchè nuovi sono gli studenti che ha davanti, nuove sono le letture e i film che lui ha visto, nuove sono le condizioni sociali da richiamare anche se stai facendo la più astratta metafisica.

Questo lavoro richiede Eros. Non è adatto a gente che non si innamora. Il lacaniano Massimo Recalcati ce lo ha ricordato nel suo bel libro, L'ora di lezione.Per un'erotica dell'insegnamento.

E' la lezione di Platone, come di tutti i grandi maestri di spiritualità che quando li cito e li spego ai miei studenti si entusiasmano come se ascoltassero il loro cantante preferito. La scuola ha bisogno di docenti e Dirigenti che siano capaci di suscitare il desiderio. Senza il quale non c'è apprendimento e conoscenza.

Poi viene tutto il resto: la valutazione, l'organizzazione, le tecnologie. L'essenziale è la relazione e l'accoglienza dei nostri studenti a partire dalla loro "situazione di partenza", come dicono tutti gli schemi di programmazione. Il guaio è che non è una semplice formula ma la primaria realtà della scuola. Oggi chi rivendica tutto ciò passa per buonista – o lassista - e anche don Milani è stato messo sotto accusa per la sua idea di scuola. Ecco, dobbiamo rivendicare invece con forza che una scuola che non sa accogliere ed elevare tutti, gli ultimi sopratutto, è indegna di questo nome. Come Luigi Berlinger ci ha più volte ricordato la nostra è ancora una scuola classista, si ergono steccati tra i vari indirizzi di studio e l'istruzione professionale viene considerata di serie B. E' una visione senza prospettive, degna di un paese arretrato incapace innanzitutto di rispettare l'altro e poi sostanzialmente conservatrice e retrograda. Dovremmo tutti prendere atto che la scuola della lezioncina frontale è finita da un pezzo e che siamo chiamati ad una didattica viva, laboratoriale, capace di suscitare l'intelligenza critica e non la ripetizione passiva.

Di tutto ciò le facce silenzose dei nostri studenti hanno bisogno, ce lo chiedono sopratutto quando non sono interessati a quello che gli propiniamo. Siamo noi che dobbiamo cambiare, abbassare le nostre difese e provare a trovare altre strade per raggiungere il loro cuore. Certo, bisogna avere fiducia nell'uomo per farlo, dobbiamo credere che le persone possono migliorare. Non spetta alla scuola valutare nel senso di giudicare. Non sarebbe che un ratificare le differenze sociali esistenti. A noi spetta scardinarle queste differenze.

So che vuol dire tanto, forse troppo, che ci vuole una fede per farlo, o almeno la speranza.

Prof. Luigi Mantuano, Isiss Pacifici e de Magistris, Sezze (Latina)

Lettera di SiP a Conte sul 'dopo emergenza'

Il Forum Salviamo il Paesaggio, Rete civica nazionale formata da oltre mille tra associazioni e comitati e da decine di migliaia di singoli aderenti, e alla quale aderisce da anni anche SISUS, si preoccupa delle scelte future del Paese in una prospettiva di economia etica, e per questo lancia un appello al Presidente del Consiglio.

Ecco un breve passaggio della lettera che può darci un'idea dell'importanza del documento:

Crediamo che la grande sfida della pandemia imponga il coraggio di mettere in discussione il nostro modello di sviluppo per attivare, sin d’ora, strumenti di rilancio economico basato sulle opere pubbliche realmente necessarie al nostro Paese (messa in sicurezza dell'esistente e rivitalizzazione delle aree abbandonate), un new deal che rispecchi i veri bisogni della collettività. Dopo questa crisi epocale, non potremo più continuare a seguire dinamiche economiche voraci, spietate, distruttive, ma piuttosto abbracciare una visione etica, l’unica che – suggeriscono grandi economisti come il Premio Nobel Amartya Sen – potrebbe davvero garantirci un futuro dignitoso e pacifico

Contrastare le disuguaglianze in educazione

L’impegno per contrastare le disuguaglianze in educazione nel tempo del Covid-19

Per la prima volta nella storia 1 miliardo e 600 milioni di bambini/e e ragazzi/e di 165 paesi del mondo hanno interrotto la scuola.

I più penalizzati, ovunque, sono i bambini poveri, per i quali la scuola è la principale leva di riscatto economico, sociale, culturale e l’officina della speranza. Inoltre, per milioni di bambine del mondo perdere la scuola costringe a ritornare in una situazione di sudditanza, spesso aggravata da violenza e sopruso, che con fatica vengono contrastate solo dalla scuola e che minacciano di ritornare a dominare la vita.

In Italia hanno interrotto la scuola 9.040.000 bambini/e e ragazzi/e e oltre 1 milione di bimbi/e dei nidi e dei servizi educativi della prima infanzia.

Leggi qui l'intero documento del Forum Disuguaglianze Diversità