Materiali preparatori

Il tema del convegno 2008

5° Convegno nazionale Rete di scuole “Passaggi – le scienze sociali in classe”

 

INNOVARE NELLA SCUOLA. SI PUO'.

Da un’esperienza di frontiera un paradigma di scuola possibile

2/5 Aprile 2008, MESSINA

 

(in fondo ala pagina è possibile scaricare il programma del convegno)

  

Innovare nella scuola: si può?

 

A questa domanda, rimasta sospesa tra i fili aggrovigliati di riforme annunciate, procrastinate e poi archiviate, cerca di rispondere il convegno nazionale di studi indetto dalla Rete dei Licei di scienze sociali “Passaggi”.

La realtà, che la Rete rappresenta, potrebbe essere già la risposta attesa.

Infatti, il vuoto educativo e legislativo, che continua a tenere la scuola secondaria italiana ostaggio di logiche di insegnamento/apprendimento ormai desuete, viene riempito da esperienze significative, spesso tacite, in atto su tutto il territorio nazionale grazie alla “resistenza”di docenti che non si sono rassegnati al ruolo di passivi divulgatori, ma ricercano nuovi modelli di scuola.

 

La lunga storia delle sperimentazioni nei Licei di scienze sociali è mantenuta in vita dalla volontà di alcuni docenti e dirigenti che hanno investito le loro risorse professionali ed etiche in un progetto formativo reso necessario dalle urgenze della società contemporanea.

Questo gruppo ha sostenuto la sperimentazione anche quando la politica e le istituzioni scolastiche hanno smesso di crederci o non hanno avuto più la forza di portare avanti un’idea di scuola che coniuga la licealità con l’esigenza di una scuola di tutti e per tutti.

La vita che scorre nelle scuole (1) presenta un nuovo modello di scuola che, muovendo dalla riflessione sui fondamenti epistemologici delle discipline e dalla necessità di ripensare i saperi, si esprime in un curricolo “snello” che ruota intorno all’asse storico-antropologico (2).

 

La necessità di dialogare con l’oggetto di studio dell’indirizzo – la società contemporanea - ha costretto i docenti a tradurre linguaggi e pratiche quotidiane in strumenti didattici, dotandosi di un metodo/metodi per affrontare, senza rischio di naufragare tra schegge insignificanti, il flusso della complessità.

Docenti e allievi sono co-protagonisti del percorso formativo che si realizza in laboratori aperti al territorio nel momento centrale dello stage che permette di riconoscersi nell’articolazione del fare e pensare. Lo stage (3) è anche un banco di prova per i docenti che provano ad esporre alla luce esterna all’aula il curricolo. Proprio come in un laboratorio fotografico i saperi appresi si sviluppano cambiando “colore” e mostrando una immagine diversa della realtà.

 

Nei diversi contesti territoriali e culturali la scuola promuove anche un’azione “politica” di cui è essa stessa motore propulsivo e non semplice concessionaria di franchising per la mercificazione dell’educazione proposta da tante agenzie esterne.

E’ un modello “alto” di fare scuola che ha richiesto e richiede un forte impegno nella formazione (spesso lacunosa e antiquata) dei docenti: formazione che è stata assunta dalla Rete “Passaggi” per assicurare un sostegno fluido a chi intraprende ora il suo cammino professionale senza poter fare ricorso al “salvagente” dei programmi ministeriali.

Anche in questo la rete “Passaggi” è un’avanguardia perchè trasferisce nella scuola e nella mentalità dei docenti (troppo a lungo malati di autorefenzialità) una modalità di relazione che non indugia in sterili autoritarismi ma si fortifica nell’affrontare problemi e divergenze come necessari predicati della dialettica tra vecchio e nuovo.

Può questo modello di scuola essere divulgato? Può diventare un virus che contagi altre scuole i cui indirizzi e programmi, difficilmente superano un impianto monocorde mettendo in relazione più discipline e rendendole capaci di dialogare con le nuove generazioni?

 

Il convegno nazionale dei Licei di scienze sociali accoglie questa sfida proponendo una riflessione comune che, ri-definendo l’identità dell’indirizzo, si confronti con l’identità di altri istituti secondari. La ricerca della reciprocità tra identità e alterità farà sorgere un comune bisogno di abbandonare vecchi paradigmi e distinzioni per proporsi come agenti di cambiamento nella scuola di tutti.

 

 

 


 

1 Documentata dalla recente pubblicazione a cura di C. Pontecorvo, L. Marchetti “Nuovi saperi nella scuola”, Marsilio, 2007

2 cfr. Documento nazionale Febbraio 2000 in www.scienzesocialiweb.t

3 cfr. Don’t worry. Lo stage formativo nell’indirizzo di scienze sociali, a cura di L. Marchetti

 

 

 

La rete come sostegno: definizione

entrare dentro la rete

 

 

Definizione della rete 

“L’immagine che ne ho è quella di un insieme di punti alcuni dei quali sono collegati da linee.
I punti rappresentano gli individui, o talvolta i gruppi, e le linee indicano quali persone interagiscono fra loro” (Barnes, 1954)
 

 

Legami deboli e legami forti, le relazioni tra vecchi e nuovi.

La forza di un legame è data dalla combinazione di tempo, intensità, emozioni e scambio di servizi 

La forza dei legami deboli è nella potenzialità di aprire nuove relazioni” (Granovetter, 1973) 
La rimozione di un legame debole (o medio) rischia di rendere più difficile la possibilità di trasmissione, di apertura di relazioni” 
“I legami forti, favorendo la coesione della rete, possano portare ad una progressiva frammentazione e chiusura.” 
“I legami deboli possono rivelarsi elementi indispensabili per le opportunità degli individui e per la loro integrazione nella comunità locale” (Amerio, 2000) 

 

La struttura organizzativa loose coupling.

Questa locuzione è apparsa alcuni anni fa nella letteratura statunitense [1], per esprimere la rappresentazione di un’organizzazione in cui fatti e parti dell’organizzazione ‘accoppiati’, collegati sono sì aperti all’influenza reciproca, ma ciascuno preserva la propria identità, la propria separatezza in senso fisico e non. C’è qualche cosa che li lega, sono attaccati l’uno con l’altro, ma questo attaccamento reciproco può essere esile, circoscritto ad aspetti limitati, fragile e debole. Queste connessioni slegate, questi legami allentati, (per dare al termine loose coupling una traduzione italiana), comportano precarietà, dissolvimento, zone di implicito, ma sono anche la “colla” che tiene insieme l’organizzazione. (…) Per le organizzazioni queste modalità di funzionamento allentato sono molto meno costose di quelle che esigono forte integrazione e che richiedono investimenti nel coordinamento, nelle comunicazioni, nella gestione dei conflitti. (…)

Un’organizzazione apparentemente disordinata, in cui sembra che ognuno vada per i fatti propri, ma in cui trovano realizzazione obiettivi vari, anche molto significativi per la vita dei singoli. Vi sono delle regole generali, fornite dal sistema delle professioni e dal funzionamento dell’amministrazione pubblica nel suo complesso, ma vi sono anche suggerimenti ed esplorazioni organizzative con cui i singoli e i gruppi interagiscono per raggiungere le mete proposte. Sono fenomeni organizzativi che in fisica vengono chiamati “auto-organizzazione”, che sfuggono all’imbrigliamento entro leggi fisse e generali [2] (Olivetti Manoukian, 1988) 

 

 

La rete come sostegno sociale  

“Il sostegno sociale rappresenta il supporto emotivo, informativo, interpersonale e materiale che è possibile ricevere e scambiare nelle reti sociali” (Francescato, Tomai e Ghirelli, 2002) 

 

 

Il protagonismo di tutti (se lo si vuole) 

Nel lavoro di rete si dice che l’utente non c’è perché anche il soggetto più debole può (se lo vuole) agire per il bene comune, anch’egli può (se lo vuole) essere un operatore nella rete dove tutti, specialisti compresi, sanno e non sanno, sono deboli e sono forti, cioè sono agenti sensati su una stessa barca che sperano in bene”. (Folgheraiter, 2006)
 

 

Riferimenti bibliografici

P. Amerio, Psicologia di comunità, Il Mulino ,2000.

J. A.Barnes, Social networks, Reading, 1954.

D. Francescato, G. Ghirelli, M. Tomai, Fondamenti di psicologia di comunità. Principi, strumenti, ambiti di applicazione, Carocci, 2002

F. Folgheraiter, La cura delle reti Erikson, 2006

M.Granovetter, The strenght of weak ties in American Journal of Sociology, 1978,

F. Olivetti Manoukian, Stato dei servizi, il Mulino, 1988

 


  

[1] K.E.Weick, Educational Organizations as Loosely Couplet Systems, in “Administrative Science Quarterly”, 21 (1976), pp.1-19

[2] R.Serra, G.Zanarini, Tra ordine e caos. Auto-organizzazione e imprevedibilità nei sistemi complessi, Bologna Clueb, 1986

 

La rete come sostegno: sostegno fluido

Il sostegno fluido della rete

  

La rete come sostegno per affrontare l’incertezza

"Si racconta la storia di un’isola in Qualche Luogo, in cui gli abitanti desideravano fortemente andare altrove... Il problema, tuttavia, era che l'arte e la scienza del nuoto e della navigazione non erano mai state sviluppate - o forse erano state perdute già da qualche tempo... E di tanto in tanto giungeva presso di essi qualche studioso. Allora si verificava un dialogo come quello che

segue:

  • Voglio imparare a nuotare.
  • Che condizione poni per ottenere ciò?
  • Nessuna. Desidero solamente portare con me la mia tonnellata di cavolo.
  • Quale cavolo?
  • Il cibo di cui avrò bisogno dall'altra parte o dovunque andrò a stare.
  • Ma ci sono altri cibi dall’altra parte.
  • Non capisco cosa vuoi dire. Non sono sicuro. Devo portare il mio cavolo.
  • Ma con tanto peso addosso, una tonnellata di cavolo, non potrai nuotare.
  • Allora è inutile che impari a nuotare. Tu lo chiami un peso. Io lo chiamo il mio nutrimento essenziale.
  • Supponiamo, come in un'allegoria, di non parlare di cavoli ma di idee acquisite o presunzioni o certezze?
  • Mmmm... Vado a portare i miei cavoli dove c'è qualcuno che comprende le mie necessità". 

(da L'albero della conoscenza di Humberto Maturana e Francisco Varala, Garzanti,1999)

 

Quante volte non ci è capitato, in forma diversa - seria o bizzarra -, di sentire risposte di questo genere sul tema dell'innovazione epistemologica e metodologica, ad ogni livello e nelle più svariate occasioni!

Avventurarsi in mare aperto, sciogliere gli ormeggi, andare alla deriva, annullare ogni paradigma, ogni fondamento di certezza, di presunzione di sapienza, di conoscenza acquisita è sempre stato un atteggiamento visto con sospetto: meglio evitare!

Abbiamo bisogno di portarci ovunque la nostra brava tonnellata di cavolo sulla schiena.

Ci è difficile abbandonare la sicurezza per l'ignoto, la consuetudine per l'incertezza, la sapienza così faticosamente accumulata per l'innovazione. 

La rete serve a sostenere l’incertezza di un cammino che non può farsi portandosi pesi del passato
 

 

E’ possibile progettare una rete? 

Contrariamente a quello che si pensa, alla costituzione di una rete si arriva per risultato, non per progetto. E spesso si arriva anche per caso.

Perciò, come costituire una rete?

Se la rete non è un progetto, cioè un procedimento con cui si cerca di redigere e di prevedere ogni parte del processo, (prevedere in anticipo ciò che si vuole fare), possiamo lanciare l'ipotesi che la rete sia un sistema.

Un sistema, infatti, può rispondere autonomamente ai cambiamenti che si producono

nell'ambiente. Pertanto, un sistema non è definitivo, né preannunciato. Spesso, appena fondato, può naturalmente autoregolarsi nel corso di tutta l'evoluzione e per la sua durata.

Il sistema è un insieme complesso (tante parti diverse, collegate e in relazione). Al contrario, un progetto è un susseguirsi di fasi, ordinate nello spazio e nel tempo, dipendenti gerarchicamente, ma soprattutto previste in anticipo. 

A questo punto, possiamo azzardare una definizione idealtipica di rete, che di seguito cercheremo di verificare.

La rete è un gruppo di organismi che interagiscono liberamente, cioè per scelta, che si propone di diffondere innovazioni ed è indefinito e autoregolantesi come un sistema.

 

Chi può aderire ad una rete? 

In linea teorica ogni organismo che intende agire nella comunità locale con le modalità di intervento che più gli sono più consone. I modi d'intervento sono differenti secondo 'organizzazione che statutariamente li presuppone. Ogni organismo seleziona comportamenti ed azioni che ne definiscono la natura e la sfera di competenza.

Ogni organismo che sceglie di aderire ad una rete porta la sua identità.

Chi interagisce in una rete, non desidera disperdere o veder reprimere la sua identità. Ne è geloso. Questo vale anche per l'altrui identità. Così è fatto salvo il pluralismo.

Se l'impegno di ogni organismo che aderisce alla rete è libero, nello stesso tempo è anche obbligato. L'impegno di ciascun organismo nella rete proviene da un atto di adesione (libero) e da una partecipazione (obbligata) rivolta alla costituzione dell'informazione comune, che può essere o meno utilizzata all'interno o all'esterno della rete.

In una rete pertanto si riconosce il pluralismo e si istituzionalizza il conflitto. Ma vi è assenza di autorità. Ognuno si relaziona e, eventualmente, interagisce con gli altri in modo paritario.

La relazione tra gli organismi che vi partecipano è possibile, ma non obbligata. Il legame tra di essi non è di tipo affettivo né di tipo formalizzato, ma è soltanto possibile e relativo.

 

 

Innovare mediante l’interazione 

Il problema sta nel trovare una forma di interazione che concepisca l'informazione come bene comune, che rispetti le diverse identità, e che sia lontana da logiche verticistiche e burocratiche e basata sulla libertà.

L'innovazione della rete sta nell'apportare legittimazioni incrociate delle diverse problematiche poste da ogni organismo. L'innovazione non è la somma delle varie identità né la supremazia di una sulle altre. Essa è il prodotto di una combinazione delle stesse, che non è nessuna di esse presa singolarmente, né la loro semplice somma.

Quindi il prodotto è imprevedibile. Solo così il risultato è un'innovazione.

Tra tante divergenze di interessi, di convinzioni, di strategie e di logiche, lo sforzo dell'informazione comune può portare alla possibilità di combinare tecniche, risorse, saperi e solidarietà con altrettante forme di tecniche, risorse, saperi e solidarietà, per il raggiungimento di un risultato imprevedibile e complesso, che può ancora a sua volta ricombinarsi con altri risultati e così di seguito...

Pertanto, identificare, interiorizzare ed interpretare le varie informazioni provenienti dai vari organismi, significa adottare l'innovazione, "fare rete", che però non significa solo socializzare le informazioni, bensì combinare con il risultato di nuovi prodotti le informazioni che sono state socializzate.

La rete non può essere vista come un semplice "servizio" per altri, quasi un contenitore di idee cui attingere, perché chi se ne serve in questo modo non innova ma semplicemente cerca la sua utilità, soddisfa i suoi interessi.

Non tutti arrivano a comprendere nello stesso tempo l'importanza dell'innovazione (il prodotto combinato delle varie risorse).

Possiamo definire una scala di priorità d'accoglienza: i primi possono essere visti come pionieri/innovatori, poi gli illuminati, successivamente arriva la maggioranza, infine i ritardatari.

 

 

Metodologia del lavoro in rete: comunicazione e azione comune 

La metodologia della rete interviene a sostegno del ripristino della innovazione

epistemologica, che può scaturire soltanto da processi di relazione sociale.

Nella rete nulla è lasciato allo spontaneismo dei vari soggetti, perché ogni soggetto che vi aderisce porta la sua informazione. Né si tratta di una comunità virtuale, in quanto ogni soggetto è un aderente reale della rete.

Non ci si può porre obiettivi comuni: questo può avvenire solo in un gruppo e in un'organizzazione che si pongono in anticipo uno scopo, che stilano un progetto.

Gli obiettivi dei soggetti aderenti non devono essere obbligatoriamente condivisi dagli altri.

Quando gli obiettivi dei vari aderenti convivono, interagiscono o confliggono, siamo in un semplice rapporto di condivisione, di relazione, di conflitto. Tutte queste manifestazioni si esprimono con il linguaggio e con la conversazione.

Linguaggio e conversazione veicolano l'informazione che, diventata comune, può provocare o meno la comunicazione (azione-comune).

La comunicazione è dunque un problema di volontà dell'individuo singolo, della moltitudine e dei gruppi. E' un problema che si può o non si può risolvere.

Ecco perché una rete non si costruisce, ma si implementa. 

Questo è un problema metodologico di grande portata, che investe la nostra immaginazione e la nostra esistenza in maniera atipica e inusuale. 

"Nel campo delle scienze sociali, gli studiosi post-modernisti affermano che lo sforzo moderno di creare una visione unitaria del comportamento umano ha prodotto solo ideologie classiste, razziste, colonialiste. La sociologia post-moderna mette l'accento sul pluralismo e sull'ambivalenza e predica la tolleranza per le infinite possibili trame che concorrono a comporre l'esperienza umana. Non c'è un regime sociale ideale a cui aspirare, ma una molteplicità di esperimenti culturali, ciascuno egualmente valido. Si rifugge dall'idea di un ineluttabile progresso lineare verso un ideale utopico condiviso: il post-moderno celebra la diversità delle esperienze locali che, nel loro insieme, costituiscono un'ecologia dell'esistenza umana"

(Rifkin, 2000, 260)

Immaginiamo solo per un momento quanto grande sia la difficoltà di concepire una rete basata su questi fondamenti e concetti persino a livello famigliare! Eppure parliamo quotidianamente di relazioni tra padri e figli, tra marito e moglie, tra generazioni diverse!

 

 

La rete come sistema che si auto-organizza si sviluppa ed emerge. 

La rete può solo accogliere (si badi bene: accogliere e non distribuire) e rendere trasferibili le informazioni, che gli interconnessi possono prendere o rifiutare, in un senso orizzontale di rapporti non disciplinati. In questo modo le informazioni transitano, si incrociano, influenzano e formano un reticolo interazionale e interculturale di ampio spessore propositivo e concettuale.

Ma nella rete non esistono prevaricazioni, filtri, posizioni dominanti, poteri stabiliti.

La rete non ha gerarchie, non ha classe dirigente, non ha pubblico cui destinare le informazioni, non rende un servizio. La rete è solo un circuito spazio-temporale dell'informazione.

Nessuno perde l'informazione quando la rende comune.

Qui entra in campo il principio del dono, così profondamente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul dono. Come fare ad includere l'altro, l'escluso, il resto dell'umanità nel proprio immaginario? "L'era dell'accesso costringerà ciascuno di noi a porsi delle domande fondamentali su come rimodellare le relazioni fra gli esseri umani" (Rifkin, 2000, 353).

"Sorprendentemente, osserva Jacques T. Godbout, il campo dell'intelligenza artificiale e delle scienze cognitive può fornire un punto di partenza per elaborare un modello di circolazione mediante il dono".

Animare una rete, implementare una rete, imparare a fare rete significa accogliere il principio

del dono.

Il paradigma del dono può essere di soccorso.

Infatti: "Il dono ci introduce in una rete universale", conclude Godbout, che in fondo al suo

libro più famoso scritto insieme con Alain Caillé, Lo spirito del dono, riporta

questa allegoria buddista:

"Una rete infinita estesa sull'universo, di cui i fili orizzontali attraversano lo spazio e i fili verticali il tempo. Ad ogni intersezione dei fili si trova un individuo, e ogni individuo è una perla di cristallo. La grande luce dell'Essere assoluto illumina e compenetra ogni perla, che riflette non solo la luce di tutte le altre perle della rete ma anche il riflesso di ciascuno dei riflessi dell'universo".

 

Tratto da Reti sociali ed innovazione metodologica di Paolo Coluccia, Edizioni Lilliput on-line (http://digilander.libero.it/paolocoluccia)

 

 

Riferimenti bibliografici

J.Rifkin, L'era dell'accesso, Mondadori, 2000.

J. T. Godbout e A. Caillè, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, 1993.

 


 

Nota bio-bliografica dell'autore: 

Paolo Coluccia, dottore in Pedagogia e ricercatore sociale indipendente, sensibile ai temi ambientali, culturali, sociali ed economici, ad una formazione filosofica e psicopedagogica associa una buona conoscenza della legislazione sociale e del lavoro. Impiegato nel Settore Sviluppo Economico/Politiche del Lavoro della "Provincia di Lecce", è divulgatore, promotore e animatore di Banche del tempo e di Sistemi di scambio locale non monetario. Ha pubblicato La cultura della reciprocità. I sistemi di scambio locale non monetari, EdizioniArianna, Casalecchio (BO), 2002; La Banca del Tempo. Un’azione di solidarietà e di reciprocità, Bollati Boringhieri, Torino, 2001 e La Banca del Tempo: un progetto per la comunità, Edizioni-Lilliput, Martano, 2001

 

 

Reti di scuole

di Luisa Ribolzi 

1. Che cos'è una rete 

Il concetto di rete ha avuto in anni recenti una notevole fortuna negli studi sociali, per indicare una particolare forma di legame sociale dotato di caratteristiche specifiche (estensione, densità, coinvolgimento dei membri, grado di apertura, livello di formalizzazione, basate su legami di tipo primario e di tipo secondario…). La principale distinzione è quella fra reti organizzative e reti sociali. Una organizzazione a rete può essere definita come “un modello organizzativo in cui i diversi soggetti (produttori ed erogatori del servizio o nodi del sistema) convergono su obiettivi comuni, in quanto hanno interiorizzato una cultura progettuale e le regole che governano lo scambio dei prodotti (servizi) tra l’uno e l’altro“ 1 (R. Toniolo Piva 2000). Le reti sociali sono invece costituite da persone tra cui esistono legami significativi, che consentono e favoriscono meccanismi di scambio finalizzati al conseguimento del benessere: le parole chiave delle reti sociali sono allora relazionalità e associazione, o, se si preferisce, capacità di perseguire degli obiettivi condivisi attraverso la costruzione di legami. Se un'associazione è “un gruppo organizzato per il raggiungimento di obiettivi comuni non raggiungibili direttamente dai singoli membri” 2, la rete sociale comporta “una relazione di avvicinamento, di cooperazione, di connessione con obiettivi prettamente sociali" , e mira alla produzione di un bene comune che ha carattere relazionale (non è utilitaristico e può essere prodotto e fruito solo insieme). L’analisi delle reti sociali guarda al di là degli attributi specifici degli individui, per considerare l’insieme delle relazioni e degli scambi che avvengono all’interno di un gruppo sociale, e che ne delineano la struttura di potere, controllo, grado di relazione, flusso di informazione, etc. L’unità di misura dell’analisi è la relazione, che nella scuola si connota come relazioni interne (fra gli insegnanti e gli studenti, fra gli insegnanti e i dirigenti, degli insegnanti fra loro…) che sono sia di lavoro che di amicizia (non si dimentichi che la scuola è un'organizzazione cosiddetta a legami deboli, che funziona anche, o prevalentemente, in base a rapporti non formalizzati) e come relazioni esterne, che comprendono innanzitutto i legami con le famiglie, che in una visione relazionale sono sia utenti che co-produttori del servizio, e poi tutti i legami con il territorio, dal mercato del lavoro, alle altre agenzie formative, alle strutture politiche e amministrative. Le risorse delle reti sociali sono tutte quelle che possono essere comunicate da un attore agli altri, per esempio, condividere informazioni, discutere un lavoro o un’attività comune, offrire compagnia o supporto emozionale 3. Possiamo intrecciare questa considerazione con il concetto di comunità di pratica, al cui interno i partecipanti si scambiano saperi esperti, e divengono quindi capaci di affrontare nuovi problemi e di risolverli secondo una prospettiva innovativa, che nasce dalla valorizzazione delle diverse esperienze, ma anche dal coinvolgimento dei partecipanti. 

 

 

2. Le reti di scuole e le loro funzioni 

È possibile individuare tre principali linee di sviluppo in cui si manifesta apertamente l'attività positiva delle reti: 

  1. l’organizzazione di forme associative di solidarietà, intermedie, tra stato e individui e tra enti locali ed individui;
  2. la promozione di meccanismi di raccordo tra agenzie formali ed informali 
  3. l’adozione delle strategie di rete al fine di risolvere una situazione problematica all’interno del suo contesto naturale, attraverso l’attivazione delle risorse disponibili o latenti.

Le reti di scuole si collocano in tutte e tre queste categorie, anche se prevalentemente operano all'interno della terza (si costituiscono per rispondere a sfide poste dalle diverse situazioni) e per meglio farlo coinvolgono anche soggetti informali (punto due) e si connotano come forme associative intermedie, quelle buffer organizations da lungo tempo presenti nel mondo anglosassone e di cui si sentiva la mancanza. Alla base di queste linee di sviluppo, vi è la tesi che i bisogni sociali delle persone rivendicano un intervento convergente e coordinato di servizi formali ed informali: l'importanza di un coordinamento cresce tanto più quanto più il bisogno cui si deve trovare una risposta è differenziato e non risolvibile da un approccio uni disciplinare, come è precisamente nel caso della formazione. Le reti di scuole sono reti di organizzazioni formali, e quindi non hanno le caratteristiche che i sociologi indicano come tipiche delle reti sociali primarie, che sono costituite da un insieme di relazioni primarie che hanno come soggetti agenti, attivi o passivi, i membri della famiglia, i parenti, gli amici o i vicini (e, per estensione, gruppi di mutuo aiuto, organizzazioni etniche, di fraternità, di vicinato, comitati di quartiere, aggregazioni di volontariato e di cooperazione a carattere informale). Al loro interno, però, sono innegabilmente presenti - come nella maggior parte delle organizzazioni, in modo particolare nelle amministrazioni pubbliche - relazioni che hanno le caratteristiche di rapporti di tipo primario, intesi come “legami di un individuo con altri significativi (famiglia, amici, vicini e altri aiutanti informali)”. Le reti di scuole hanno quindi due diversi tipi di funzione, entrambi fondamentali per costruire un servizio formativo di qualità: 

  • dal punto di vista culturale, fanno crescere il senso di identità e di appartenenza che connota in modo riconoscibile la “cultura” di una singola scuola;
  • dal punto di vista strutturale e funzionale, forniscono aiuti e sostegni facendo fronte ai bisogni professionali, ma anche personali, dei singoli insegnanti e delle singole scuole 

connotandosi così come "entità polifunzionali" 4, potenzialmente capaci di assolvere i compiti relativi ad una quantità indeterminata e non numerabile di bisogni. Scrive Donati: “l’approccio di rete è quello che osserva e analizza la realtà sociale in relazione a tale circolarità. Il corrispondente modello operativo, di intervento basato sulle ‘strategie di rete’, è un modello che intende operare sulla società attraverso la società, in quanto considera l’emergenza dei fenomeni ‘collettivi’ e ‘associativi’ come originati da relazioni sociali intese come una ‘totalità’ formale-informale sia che le si analizzino a livello macro che a livello micro-sociale, sebbene con differenti dinamiche”.

 

 

3. Le reti e il sostegno dell'innovazione 

Per esaminare brevemente il ruolo delle reti di scuole nel migliorare la qualità del servizio educativo, dal duplice punto di vista della diffusione delle buone pratiche e del sostegno all'apprendimento conviene partire dalla constatazione che l'apprendimento stesso è influenzato in modo determinante dal contesto in cui si verifica 5, che può facilitarlo o renderlo più difficile. Questo vale non solo per i ragazzi, ma per gli insegnanti che operano nella scuola intesa come comunità di pratica, che non solo insegna ma apprende, e sviluppa la capacità di progettare pratiche efficaci in risposta ai bisogni degli allievi. Le teorie che supportano questa convinzione sono eminentemente: 

  • il costruttivismo, per cui l'apprendimento è contestualizzato, e nelle comunità di pratica nulla avviene senza uno scopo e un significato condiviso
  • il paradigma cooperativo, che sottolinea l'importanza delle pratiche cooperative all'interno delle organizzazioni educative. 

Queste asserzioni non si limitano alle caratteristiche della classe o della scuola, ma possono essere estese all'ambiente, cioè alle reti, che costituiscono un ambito allargato che condivide un'identità, ed è dotato delle medesime proprietà delle singole scuole. In particolare, dovendo trasmettere ad altri in modo utile e convincente le pratiche attuate, ogni scuola deve in qualche misura "interpretarle" per cogliere gli elementi generalizzabili anche in altri contesti (che però, e questo è importante, sono integrati in un processo comune di cambiamento). Un ulteriore elemento di forza delle reti è legato alla loro possibilità di essere interlocutori più forti degli enti locali: questo consente di supportare anche con migliori strumenti l'apprendimento dei ragazzi, in particolare quando ci si trovi di fronte a necessità specifiche, come nel caso di bambini stranieri, o in difficoltà (legate ad un handicap o all'appartenenza socio economica). Le singole scuole fanno più fatica ad ottenere le risorse aggiuntive per un insegnamento personalizzato: inoltre, e questo aspetto non è di poca importanza, una rete di scuole può programmare la formazione in servizio dei propri docenti in modo più efficace, non solo perché può organizzare iniziative più costose, ma soprattutto perché fornisce un ambiente allargato per il confronto e l'elaborazione di progetti formativi che si sono già dimostrati validi in altre sedi. 

 

Luisa Ribolzi è professore ordinario di Sociologia dell'educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Genova. Si occupa degli aspetti istituzionali della formazione, con particolare riguardo ai modelli organizzativi e al rapporto pubblico / privato (Il sistema ingessato. Autonomia, scelta e qualità nella scuola italiana, 2000 II; Scelta familiare e autonomia scolastica in Europa, con A. Maccarini, 2003), alla valutazione dei sistemi (La valutazione nella scuola dell'autonomia, 2001), e alla professionalità degli insegnanti, oltre che di temi relativi al rapporto fra scuola e mercato del lavoro, anche in ambito internazionale.

 


 
1 TONIOLO PIVA R., I servizi alla persona: manuale organizzativo, Carocci, Roma 2000. Si veda anche LOMI A. (a cura), 1997, L‘analisi relazionale delle organizzazioni Bologna, Il Mulino 1997; ELLERANI P., Le reti come contesto pedagogico di integrazione territoriale, in "La Rivista di Pedagogia e Didattica, n. 3/4 2005, Ed. Pensa Multimedia, Lecce (torna su)

2 DONATI P., Teoria relazionale della società, Angeli, Milano 1991, pag. 142 (torna su)

3 GARTON, L., HAYTHORNTHWAITE, C., WELLMAN, B., Studying On-Line Social Networks, in JONES, S. (ed.), Doing Internet Research. Critical Issues and Methods for Examining the Net, Sage, Thousand Oaks, 1999, pp. 75-105 (torna su)

4 DONATI P., Teoria relazionale della società, cit. (torna su)

5 Si vedano le considerazione di G. CHIARI, Climi di classe e stili di apprendimento, Franco Angeli, Milano 1994 (torna su)

 

Riconoscersi nel curricolo

Antropologia per insegnare

 

Il desiderio di apprendere nasce come risposta ad un bisogno. Per avvertire la necessità delle scienze sociali e rinnovare il nostro impegno nell’unico indirizzo liceale che permette un approccio a queste discipline suggeriamo di preparaci al convegno di Messina scorrendo le pagine di alcuni libri che fanno da sfondo a molte riflessioni comuni.

 

Le scienze sociali e i saperi necessari per affrontare il presente

 

da Antropologia per insegnare di Matilde Callari Galli, Bruno Mondatori, 2000, (cap.1 pag.1-17) 

Sino a qualche decennio fa la maggior parte delle scienze umane riservava un sottile disprezzo per lo studio della contemporaneità: abituati dai pensieri dominanti nel XVIII° e XIX° secolo a credere nella “storia come realizzazione della civiltà e del dispiegamento evolutivo della forma dell’uomo moderno”, abituati a sognare “mondi oltre questo mondo”, con fatica ci siamo rivolti nella nostra analisi, al presente, con fatica abbiamo iniziato ad osservarlo, a viverlo per quello che è; e ancora maggiori sono le difficoltà che incontriamo a introdurlo nei nostri modelli di trasmissione culturale, nelle discipline che costituiscono i nuclei del nostro sapere.

 

L’autrice aiuta a prendere coscienza dell’ineluttabile necessità di occuparsi del presente, ponendo il quotidiano al centro delle nostre analisi e delle nostre riflessioni.

L’urgenza e la necessità dipendono da motivi esistenziali, prima ancora che concettuali.

Necessità di:

  • Orientarsi in un nuovo rapporto spazio-temporale, che si esprime anche nella ricerca di nuove forme espressive e comunicative;
  • Saper mediare tra i mutamenti prodotti dalla tecnologia e la comprensione di come questi modifichino il modo di abitare il pianeta;
  • Difendersi dal “Grande Fratello”, per elaborare in proprio le informazioni e le immagini che penetrano nella nostra intimità domestica;
  • Comprendere i nuovi processi identitari che continuamente ride-finiscono il rapporto Noi/ Altri;
  • Rileggere la storia per capire come le storie sono state narrate, dimenticate, trasformate per costruire identità che si impongono, opponendosi l’un l’altra. 

Questi pochi cenni mostrano come il testo possa offrire indicazioni utili non solo ai docenti di scienze sociali, ma a tutti gli ambiti disciplinari. 

E’ necessario che il pericolo del presente irrompa negli assetti disciplinari, piegandoli a costruire – tutti, sia quelli più direttamente legati all’area umanistica sia quelli connessi con le aree “scientifiche” e/o tecnologiche – modelli di formazione che sia aprano al confronto e al dialogo con le molte diversità che popolano la scena sociale. 

 

Il libro della Callari Galli è inoltre perfettamente in sintonia con l’asse storico-antropologico, su cui deve ruotare l’intera costruzione del curricolo del Liceo si scienze sociali. 

Prendere atto della predominanza del presente non è facile né banale: per comprendere ciò che esiste oggi bisogna esplorare il passato, costruire la genealogia degli avvenimenti che ci circondano e ci sovrastano, fermare le informazioni che freneticamente ci assalgono, per analizzarle, sceglierle e collegarle tra loro per costruire il senso e il significato. Come dice OctavioPaz, il presente “è l’oggi e il più antico passato, è il domani e l’inizio del mondo, ha mille anni e sta per nascere”.

 

 

Nuovi strumenti per leggere la realtà

Imbroglio etnico

 

 

Nuovi strumenti cognitivi per leggere la realtà contemporanea

 

Negli ultimi trenta anni gli scienziati sociali si sono serviti di concetti-guida che sovvertono alcuni principi su cui si fondava la ricerca classica delle discipline sociali: sociologia, psicologia e antropologia.

Il valore esplicativo di alcuni termini: etnia, cultura, identità, comunità, società, razza, religione, luogo, città….si è in parte svuotato di significato. I concetti ad essi connessi, definiti “entità discrete” devono essere sottoposti ad una profonda rivisitazione; ad un opera di de-costruzione che permetta di comprenderne la genealogia e conoscere i processi storici, politici e culturali che hanno contribuito alla loro definizione.

Il problema è di ordine epistemologico ma anche didattico: come possiamo leggere la realtà sociale se rinunciamo a servirci dei concetti che, fin’ora, sono stati utilizzati nell’analisi delle scienze sociali?

Come adoperare i classici della letteratura scientifica avvertendo i nostri allievi/e della significanza e in-significanza dei concetti espressi?

 

Un testo molto adatto a intraprendere questo percorso di chiarificazione dei concetti in uso nelle scienze sociali è L’imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave di Gallisot. Kilani, Rivera (vedi presentazione di Leonello Bettin nella sezione Biblioscambi).

 

Come si legge nella prefazione tra i propositi del libro c’è quello di mostrare come le categorie di cui ci si serve nel dibattito teorico e massmediale per affrontare alcuni nodi cruciali della realtà contemporanea (cittadinanza, reclusione, identità e comunitarismo…) non devono essere considerati naturali ma siano invece artefatti, vale a dire costruzioni sociali, prodotti storici e in quanto tali arbitrari, convenzionali e mutevoli. Queste astrazioni concettuali e credenze collettive sono nondimeno capaci di agire sulla realtà sociale e di servire come potenti strumenti al servizio della manipolazione ideologica.

 

Occorre evitare di deificare queste nozioni e di considerarle al pari di fattori espicativi della realtà. Dovremmo piuttosto interrogarci su come e perché queste classificazioni sociali e queste credenza si impongano come se fossero realtà indiscutibili, appartenenti quasi all’ordine della natura, finendo così per occultare i giochi di potere, gli interessi economici e i conflitti sociali e politici ad esse soggiacenti. (pag. 5-6)

 

Si consiglia la lettura della voce Comunità (pag.65-73) perché permette di riconsiderare l’escursus di un termine molto usato nella ricerca sociologica, ma che ha sconfinato in campo antropologico giustificando il sentimento di appartenenza su cui si centrano molti conflitti etnico-religiosi.

 

Le voci Cittadinanza (pagg. 37-55); Diritti umani (pagg. 107-120); Nazione (pagg. 269-276) potrebbero essere illuminanti per intraprendere percorsi pluridisciplinari con i docenti di diritto e storia adatti a smascherare alcune ambiguità come l’idea di popolo e il carattere spirituale di una nazione:

In Francia è divenuto abituale parlare di “codice della nazionalità”, nonché di norme, di tradizioni, di riconoscimento dei valori e di rispetto dei doveri derivanti dall’adesione alla nazionalità-cittadinanza francese. Si parla inoltre dei caratteri specifici dell’identità francese, che sarebbero impliciti nell’idea di nazionalità. In tal modo si confondono nazionalità e cittadinanza, diritto individuale e appartenenza ad una comunità, una nozione giuridica e una concezione morale dell’identità collettiva, e si attribuisce al carattere nazionale una natura psicologica se non razziale. (…) La nazionalità sembra quasi appartenere all’ordine dell’essere.