Contesti naturali di insegnamento-apprendimento nelle esperienze di stage (Antonio Ronco)

Relazione educativa e nuove forme di stage

Antonio Ronco (docente Liceo Machiavelli di Lucca)

 

  • Il compito datomi è un tiro mancino. Sono stato incastrato dalle mie amiche che mi hanno costretto ad uscire da uno stato di torpore. E per questo mi piace ricordare una frase di R. Barthes che ci ricorda: “c’èAntonio Ronco un età in cui si insegna ciò che si sa; poi ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare”
  • La mia frequentazione da sempre è quella di vivere l’operatività di un incontro fra colleghi col desiderio di apprendere nel confronto fra esperienze che mi proviene dalla lunga frequentazione formativa e di animatore nel Movimento di Cooperazione Educativa. Questo mi pone oggi in una situazione di difficoltà.
  • Per questa abitudine al lavoro sono venuto qui a Messina più con delle domande sul percorso fatto, relative al tema in discussione, piuttosto che con indicazioni operative. Forse posso solo raccontare in breve la mia esperienza nel liceo delle Scienze Sociali poiché 3 anni fa fui derubato di tutta la documentazione dei lavori svolti.
  • Il clima dei tempi che viviamo non sono così entusiasmanti. Fortunatamente lavoriamo con i giovani con i quali condividiamo quotidianamente cambiamenti e i non cambiamenti ma questo a noi ci appare spesso sempre più faticoso. Forse la passione per la nostra professione sta scemando?
  • Viviamo oggi prove difficili e quotidiani faticosi sia noi insegnanti sia i nostri alunni. Penso alle realtà professionali di giovani colleghi e/o supplenti e alle realtà famigliari dei nostri alunni che risultano essere oggi sempre meno “luoghi” di crescita e di riferimento.
  • Per chi nell’insegnamento ha sempre voluto tenere presente quel punto di vista di Bion o come precisa Donata Fabbri in una sua intervista dal titolo: “concavo e convesso nella formazione” (dove la relazione/formativa è il fulcro centrale di un qualsiasi percorso di conoscenza. Percorso dove le emozioni, l’affettività e le passioni sono una componente fondamentale per tutti noi esseri umani/disumani) oggi nei consigli di classe quel docente si trova sempre più solo nel portare avanti queste istanze e si scontra sempre più su problemi valutativi del fare scuola.
  • Ma in questo decennio così faticoso per questi aspetti e per molti altri ancora il liceo delle Scienze Sociali è stato un momento di aggregazione emotiva di entusiasmi, di ricerca e di passioni nel quale il fare teorico e pratico dello stage diviene l’elemento alto e caratterizzante per tutto l’indirizzo.
  • Lo stage per me abituato a svolgere dall’inizio degli anni ’80 esercitazioni pratiche, è diventato “il luogo” dove fare conoscenza del/nel/fra il territorio nel quale opero. Questo momento caratterizzante il liceo delle Scienze Sociali diviene un ambiente dove l’operatività, a me tanto cara per quella formazione frenetiana vissuta per decenni, diviene il fulcro di tutte le discipline del curriculo. L’operatività dei percorsi di stage è stata per me ed i miei alunni un percorso sempre nuovo di conoscenza dove l’esperienza nel tempo si è fatta capacità e competenza per entrambi oltre che sicurezza. In particolare per gli alunni il consolidarsi negli anni di queste competenze diventa un buon punto di riferimento esperenziale.

Che cosa rimane di più indelebile nella nostra memoria dei primi anni di scuola se non che le esperienze concrete e le relazioni vissute?

  • Così mi affido al ricordo per riferirvi su alcune possibili tracce di lavoro da me svolte dal 2000 in poi.

Ricordo che mi sentivo del tutto impreparato ma le indicazioni dei gruppi di lavoro della scuola Polo e gli esempi di Ferrara mi permisero nel 2001 di svolgere un’ attività di osservazione. Avviammo uno studio sulla città di Lucca e sulla sua storica tradizione mercantile. Così decidemmo di svolgere una ricerca sul mercatino dell’ antiquariato di Lucca. Vi furono incontri in Comune, con i vigili, con gli ambulanti, con i turisti italiani e stranieri a cui furono rivolte interviste e per la prima volta i risultati del lavoro furono esposti dai singoli alunni al consiglio di classe e ai genitori tutti.

Di aiuto ci fu il documento del gruppo di lavoro nazionale del 2000 con le sue indicazioni sulla lettura della società, il rapporto con gli altri e gli assi culturali nel comune orizzonte storico- antropologico.

Con alcuni colleghi del Consiglio di classe l’anno successivo 2002 organizzammo uno stage guidato per tutta la classe insieme al Ceis scuola sulla vita del quartiere nel quale è situata la scuola. Queste le voci commento di alcune alunne:

 

“ Progetto Francesco mi ha permesso di conoscere più nello specifico un quartiere che io frequento da quattro anni e che fino ad oggi non ero mai venuta a conoscere nelle sue caratteristiche e problemi. Il CEIS ha lasciato in mano nostra lo spoglio di tutte le interviste ed il commento su di esse. Penso che sia stato un lavoro impegnativo, ma anche di notevole importanza. Mi sono sentita responsabile sempre con la paura di sbagliare. Stare a contatto con le persone, relazionarmi con loro, capire i loro disagi e instaurare un dialogo mi fa stare bene e mi ha permesso di sconfiggere la mia timidezza ancora un pochino.

  • Lo scopo dello stage di quest’anno era quello di capire come si vive nel quartiere di S.Francesco. Questo perché negli ultimi dieci anni si sono inserite nuove realtà al suo interno come il CEIS o extracomunitari provocando talvolta anche dei conflitti. Nell’iniziativa pubblica del 29 maggio, in cui abbiamo esposto i risultati dell’osservazione e delle interviste, abbiamo capito che per risolvere qualsiasi problema è importante partecipare, perché solo attraverso la partecipazione le persone comunicano tra di loro e affrontano i problemi per risolverli. Partecipare serve inoltre a superare eventuali opinioni razziste che a volte abbiamo nei confronti dell’altro.
  • La soddisfazione principale dello stage svolto si trova nell’esposizione dell’operatore: la condivisione di un lavoro fatto è molto appagante e spinge sempre di più l’individuo nel ripetere l’esperienza.
  • L’importanza della condivisione non viene compresa dagli spettatori allo stesso modo, ad esempio chi sa o ha assistito alle prove di un’ opera teatrale sa perfettamente che il momento più importante non è il primo ma la preparazione avvenuta precedentemente, in alcuni casi vissuta con sacrifici e alimentata dalla propria energia perché la rappresentazione si svolga al meglio.
  • La stessa cosa vale per l’esperienza di uno stage: la preparazione dell’esposizione perché è proprio da essa che dipende lo svolgimento dell’ultima tappa del lavoro.
  • Leggere la realtà significa sentirsene partecipi e non solamente frequentatori occasionali. Il quartiere di S.Francesco su cui si sviluppa il nostro progetto fa parte della nostra quotidianità, noi venendo a scuola tutti i giorni ne respiriamo la vita e ne facciamo parte ma ne siamo purtroppo inconsapevoli ed ecco che questo lavoro ci ha costretto a soffermarci sul mondo che ci circonda in modo consapevole ed attento.
  • Diventa necessario quindi guardare al luogo dove si abita o dove si passa gran parte del nostro tempo, non come uno spazio fantasma ma come una realtà concreta e trasformabile, come centro di ritrovo per una comunità come un luogo del pensare e dell’essere. Questo stage è stata l’ultima fase di un percorso iniziato quest’anno scolastico sulla realtà, sul mondo e sulla consapevolezza di esserne cittadini, sull’importanza di non esserne indifferenti.
  • Tutto il lavoro che è seguito alla rivelazione mi ha incuriosito e interessato molto purtroppo mi sono reso conto dopo aver fatto “l’osservazione” di cosa avrei dovuto “osservare”. Comunque sbagliando si impara e adesso sono più attento a ciò che osservo.
  • Questa attività mi è risultata molto interessante e ho conosciuto più approfonditamente le problematiche e le bellezze del quartiere che prima della ricerca mi erano sconosciute. Sopratutto ho capito che alcuni pregiudizi che ho avuto nei confronti del quartiere adesso non li vivo più. “

Siamo nel 2003 ed alla classe, ormai guidata per 2 anni, per due esperienze, chiedemmo, come nella più classica delle tradizioni formative così come ancora oggi è uso fare al termine di un percorso scolastico superiore nelle scuole staineriane, chiedemmo di organizzare autonomamente, con un docente tutor da supporto e voce di riferimento, una ricerca in “luoghi” a loro più vicini per interessi. Così gli alunni lavorarono con il CNV - la Confcommercio – ASL – ANFFAS – Esselunga – Centro Musica Moderna – Centro accoglienza alla vita – Sale cinematografiche – Unicef – APT

Altra classe altro percorso fu quello tracciato sul tema dell’informazione: in terza fu la stampa e l’attività di scrittura da parte degli alunni presso la redazione di un quotidiano locale. Non ci appassionò molto quel lavoro forse per gli incontri e le relazioni o perché l’attività sembrava troppo simile al quotidiano scolastico. Nel 2004 riuscimmo a farci accogliere da una televisione locale NOI TV. L’idea fu quella di seguire un cronista televisivo per una intera giornata da parte di ciascun alunno il quale avrebbe dovuto scrivere un testo a commento delle immagini e poi leggerle nel telegiornale serale. L’idea di apparire in televisione, di farsi belle o di negarsi alla ripresa mise in moto meccanismi impensati di lettura del sé, dell’altro oltre che di aspetti tecnici sull’informazione.

Ultimo anno l’attività doveva essere individuale e quindi il percorso sull’informazione ha visto varie iniziative più o meno interessanti in particolare ne ricordo due significative: la prima “guerra e intercultura” ha dato voce a giovani palestinesi e giovani israeliani diciassettenni che con un incontro a Lucca e una corrispondenza successiva ha messo insieme vari spaccati di vite giovanili vicine/lontane

La seconda ha dato voce ai bambini sul tema delle armi e della guerra “guerra e intercultura con gli occhi dei bambini” tramite alcuni disegni di bambini dai 6 ai 10 anni richiesti ad una missione comboniana. Disegni che poi sono stati letti da una classe di 3° elementare di Lucca. Questi alunni hanno commentato i disegni dopo averne eseguiti anche loro sul tema “le armi e la guerra”.

Penultimo percorso – Noi e il mondo arabo – la lettura araba al femminile” L’amore, la guerra - Donne d’Algeri – Ombre sultane” di Assia Djebar. “ L’Arem e l’Occidente – La terrazza proibita – Chahrazad non è Marocchina - Islam e democrazia e Karavan” di Fatema Mernissi.

Il tema fu scelto facendo riferimento ad una precisazione di L. Muraro quando dice: “la mediazione femminile si afferma con forza, energia e visibilità riconoscibile ad altre e ad altri, non nell’identità o nell’identificazione di sé ma nella relazione”

L’adesione alla Caravan Civique è stata quindi una scelta di campo, di genere, di aspetti antropologici e culturali dell’altro dell’altra parte del “mare nostrum”.

La storia, il web non possibile, i tappeti, gli immigrati sul nostro territorio o la scoperta in una nostra villa lucchese, con un tipico giardino del’600 all’italiana un angolo dove agli inizi del ‘900 fu fatto costruire un giardino arabo sono stati i motivi è le scoperte di questa classe.

Bene da quel giardino dopo un incontro finale a Torino con altre scuole locali che avevano con noi partecipato al progetto e i docenti di un liceo del Marocco, in 4° lo scorso anno ci siamo dedicati alla conoscenza dell’altro che vive e lavora sul nostro territorio; e se in 3° erano state svolte, raccolte ed elaborate una serie di interviste, in 4° dopo l’incontro e con il signor Salah Chfonka e la sua storia ci siamo dedicati alla raccolta di storie di vita, registrate e trascritte per giungere alla partecipazione pubblica ad un convegno provinciale di due giorni dove “la scuola”si è fatta portavoce di queste vite alla presenza di avvocati, politici, religiosi, rappresentanti sindacali ed esponenti di associazioni pro e di immigrati.

E qui mi fermo poiché in 5° oggi stanno svolgendo individualmente lo stage sempre tenendo presente la condizione degli immigrati.

Una riflessione tecnica ci pare opportuno fermare. Con le nostre alunne bene abbiamo evidenziato, nel fare esperienza, il valore qualitativo di una ricerca basata sulle “storie di vita” senza nulla togliere al taglio dell’intervista e del valore quantitativo di una ricerca.

Ultimo percorso è quello in costruzione oggi nella classe 4° (quella che alcuni di voi hanno conosciuto perché impegnata nell’accoglienza al nostro convegno dello scorso anno) ma di questo percorso in fieri è prematuro parlarne per evidenziare con chiarezza ciò che stiamo ancora oggi vivendo in forma troppo complessa.

E qui finisco sperando di non avervi tediato e riproponendomi alcune domande sul clima generale della società e quello scolastico che stiamo vivendo. Questo oggi mi appare sempre più grigio in particolare se pensiamo alle notizie relative al mondo della scuola che appaiono occasionalmente sui mezzi di informazione.

E così mi chiedo:

  1. Qual è il contributo, il peso, il freno che l’ambiente ha nella realizzazione di questi lavori?
    • (penso all’ambiente in una nursery, in un ospedale, penso ad una scuola staineriana, ad una classe frenetiana o a tutte quelle problematiche di cui ci ha parlata Andrea Canevaro sullo “sfondo integratore” dove una realtà scolastica, di gruppo, etc… sono di riferimento per lo sviluppo di tutti anche per i più svantaggiati)
  2. Quale clima necessita creare nella classe e nel consiglio di classe per svolgere queste attività?
    • (sì, l’ambiente, il clima, la scuola vista ancora come strumento di sviluppo, crescita e di sforzo nel rigore dell’apprendere così come ancora oggi don Milani ci ricorda)
  3. Può essere lo stage un momento di effettiva formazione?

Sì io penso che lo sia e lo sia nell’unicità di questo liceo come momento di formazione dove il “dentro/fuori – io/tu – noi/loro – so/non so – sapete/non sapete risultano essere una esperienza scolastica che con forza ci invita a riflettere sulla relazione educativa (l’insegnante non è una macchina di trasmissione di informazioni) è sulle diverse modalità di questa relazione. Ricordo le lotte nella mia vita di studente contro l’autoritarismo ma anche la grande stima emotiva ed il fascino verso l’autorevolezza di alcuni nostri maestri.

 

Per questo allora mi chiedo cosa abbiamo fatto con questi ragazzi in quei momenti di stage poiché a molti occhi estranei alla “lettura” e a molte orecchie ignare “dell’ascolto” appaiono quei momenti solo pause di “irregolarità nella normale attività didattica” e aggiungerei cattedratica.

Bene, provo a fare un elenco di ciò con cui i nostri alunni si sono misurati nel fare esperienza anche se sono consapevole che qualsiasi elenco sarà sempre non esaustivo di tutte le possibilità consce e non che queste esperienze possono offrire:

  • Scrivere (lettere - articoli – sunti – schemi - etc)
  • Leggere (testi – documenti – tabelle – grafici – etc)
  • Ricercare una documentazione…………
  • Esprimersi oralmente (in classe – in pubblico – etc)
  • Sapere organizzare il momento dello studio……
  • Sapersi organizzare in un lavoro singolo e di gruppo……

Ma quanto mi viene da elencare vedo che appartiene a tutte quelle “competenze chiave di cittadinanza” a cui siamo stati richiamati dal Ministero della Pubblica Istruzione nello svolgere il nostro compito di docenti.

I nostri alunni sono stati esercitati nel fare questi stage che caratterizzano il liceo delle Scienze Sociali dove queste competenze non rimangono più belle parole di una qualsiasi progettazione ma momenti vissuti da giovani entusiasmi dove lo sforzo, quando è motivato, diviene un vissuto intrinseco alla relazione emotiva che a quella età si vive con il mondo.

Voglio finire con un desiderio quello di pensare ad un nuovo lavoro per questo mio ultimo anno prima della pensione ovvero quello di avviare una ricerca storica – antropologica nell’archivio dell’istituto dove lavoro formatosi come scuola superiore femminile sin dalla metà del 1800.

Finora mi sono trattenuto, poiché non ho mai incontrato disponibilità, per timore di invadere il campo e le sensibilità di altri colleghi (invasioni di campo, imposizioni di scelte etc…). Oggi ho imparato, grazie alle Scienze Sociali, a lavorare sui saperi che non sono di “proprietà” di nessuno ma il frutto del continuo incontro delle pertinenze di tutti e di ciascuno.

Grazie Antonio

 


 

 

 

 

Riferimenti bibliografici diretti e indiretti:

M. Augé “Il mestiere dell’antropologo” Bollati Boringhieri

Bocchi – Ceruti “La sfida della complessità” B. Mondadori

E. Morin “Cultura – scuola – persona" - indicazioni nazionali 2007

I. Illich “Elogio della bicicletta” Bollati Boringhieri

F. La Porta “Maestri irregolari” Bollati Boringhieri

Z. Bauman “Le vespe di Panama” Laterza

Cooperazione Educativa n. 3 - 2007

Rimettere in moto la testa” di P. Perticari

Cooperazione Educativa n. 1 – 1999

Il concavo e il convesso nella formazione” di Donata Fabbri

Linea d’ombra n. 59 – 1991

Da chi imparare” di Goffredo Fofi

Noi donne n. 7/8 – 1993

Sulla relazione” di Luisa Muraro