Al “made in Italy” si sacrifica il Liceo della contemporaneità

 
ClemenzaI furti, si sa, difficilmente si compiono alla luce del sole. Ed è per questo motivo che, tra le pieghe del ddl per il Made in Italy, approvato recentemente dal cdM, si è inserito il lancio di un nuovo Liceo che mira a formare imprenditori capaci di promuovere l’italianità (come ciò si coniughi con la scelta di un’espressione di origine anglofona è difficile da capire). Quel che non si dice, che viene celato da chi si affretta a celebrare la “novità” di questo indirizzo, è che la nascita del nuovo liceo segna la morte di un Liceo già esistente, scelto con interesse crescente da molti giovani: il Liceo Economico-Sociale.

Il Les è stata la “vera” novità introdotta dalla riforma dei licei del 2010. Proposto agli studenti come il “liceo della contemporaneità”, era il frutto di una lunga e appassionante storia di sperimentazione, iniziata sul finire degli anni ’80, che ha coinvolto i docenti, nel ruolo di ricercatori attivi, per costruire un curriculo di studi centrato su alcune discipline, le scienze umane e sociali, fino ad allora assenti nel panorama formativo italiano. Si veniva così a colmare un vuoto rispetto ai modelli educativi europei in cui le scienze sociali erano già una realtà (in Francia il Les è un percorso di eccellenza; ma anche in Olanda, Spagna, Polonia le scienze umane e sociali sono obbligatorie in molti corsi superiori).

Si compie uno scippo ai danni della scuola italiana, spingendola di nuovo lontana da ciò di cui l’Europa, il mondo ha bisogno: la formazione di cittadini capaci di orientarsi nella rete di interconnessioni che caratterizza la complessità dei luoghi che abitiamo. Questo furto si compie nel silenzio assordante dei palazzi ministeriali che, probabilmente, pubblicheranno una circolare nell’assolato mese di agosto, quando le aule vuote non risuonano delle voci dei docenti e dei loro studenti.

Il Les ha attratto giovani che erano curiosi di imparare a leggere la contemporaneità servendosi di strumenti cognitivi per comprendere il locale e il globale, e capaci di dialogare con le persone che producono cultura. La cultura è come un recinto, ma un recinto aperto: in cui transitano opere immortali come la Divina Commedia, ma anche la coltivazione sostenibile di antichi grani siciliani e la sapienza araba per produrre il passito di Pantelleria. Cosa accade invece in questa notte buia? Con una mano si offre un liceo che rivendica, forte di una precisa cifra identitaria, la promessa di migliorare le esportazioni; con l’altra, si sottrae la possibilità di comprendere i mutamenti storici e le dinamiche complesse in cui si iscrivono le scelte dei singoli paesi.

Nel Les la società è entrata in aula attraverso il contatto con imprese culturali, sociali, imprenditoriali. La lettura dei giornali ha messo alla prova la capacità di usare le conoscenze per capire di più e meglio: tutto questo rischia di svanire…come lacrime nella pioggia. Nel centenario della morte di don Milani, basterebbe garantire il dialogo tra le conoscenze e la realtà per dare continuità alla sua idea di una scuola che permette a tutti - soprattutto agli ultimi - la possibilità di essere portatori di visioni future. Nella bozza del liceo Made in Italy, la ricchezza e la profondità delle scienze umane e sociali (che comprende anche l’economia) scompare, per far spazio a saperi funzionali alla gestione di prodotti in cui rientra (ahimè) anche il patrimonio artistico-culturale, ridotto a merce o, peggio ancora, ad etichetta del made in italy. Ma le scuole non stanno a guardare e, in questi giorni, i docenti si riuniscono, si confrontano, lanciano appelli al mondo della cultura (leggete quello pubblicato nel sito www.lasocietainclasse.it ).Come la Luna, nel racconto di Vincenzo Consolo, la nostra scuola si sta sfaldando in piccoli pezzi e rotolerà sempre più in basso, lasciando un vuoto buco nero.

Josette Clemenza
docente di Scienze Umane e Filosofia,
componente dell’Associazione Sisus Società Italiana Scienze Umane e Sociali.