La rete come sostegno: sostegno fluido

Il sostegno fluido della rete

  

La rete come sostegno per affrontare l’incertezza

"Si racconta la storia di un’isola in Qualche Luogo, in cui gli abitanti desideravano fortemente andare altrove... Il problema, tuttavia, era che l'arte e la scienza del nuoto e della navigazione non erano mai state sviluppate - o forse erano state perdute già da qualche tempo... E di tanto in tanto giungeva presso di essi qualche studioso. Allora si verificava un dialogo come quello che

segue:

  • Voglio imparare a nuotare.
  • Che condizione poni per ottenere ciò?
  • Nessuna. Desidero solamente portare con me la mia tonnellata di cavolo.
  • Quale cavolo?
  • Il cibo di cui avrò bisogno dall'altra parte o dovunque andrò a stare.
  • Ma ci sono altri cibi dall’altra parte.
  • Non capisco cosa vuoi dire. Non sono sicuro. Devo portare il mio cavolo.
  • Ma con tanto peso addosso, una tonnellata di cavolo, non potrai nuotare.
  • Allora è inutile che impari a nuotare. Tu lo chiami un peso. Io lo chiamo il mio nutrimento essenziale.
  • Supponiamo, come in un'allegoria, di non parlare di cavoli ma di idee acquisite o presunzioni o certezze?
  • Mmmm... Vado a portare i miei cavoli dove c'è qualcuno che comprende le mie necessità". 

(da L'albero della conoscenza di Humberto Maturana e Francisco Varala, Garzanti,1999)

 

Quante volte non ci è capitato, in forma diversa - seria o bizzarra -, di sentire risposte di questo genere sul tema dell'innovazione epistemologica e metodologica, ad ogni livello e nelle più svariate occasioni!

Avventurarsi in mare aperto, sciogliere gli ormeggi, andare alla deriva, annullare ogni paradigma, ogni fondamento di certezza, di presunzione di sapienza, di conoscenza acquisita è sempre stato un atteggiamento visto con sospetto: meglio evitare!

Abbiamo bisogno di portarci ovunque la nostra brava tonnellata di cavolo sulla schiena.

Ci è difficile abbandonare la sicurezza per l'ignoto, la consuetudine per l'incertezza, la sapienza così faticosamente accumulata per l'innovazione. 

La rete serve a sostenere l’incertezza di un cammino che non può farsi portandosi pesi del passato
 

 

E’ possibile progettare una rete? 

Contrariamente a quello che si pensa, alla costituzione di una rete si arriva per risultato, non per progetto. E spesso si arriva anche per caso.

Perciò, come costituire una rete?

Se la rete non è un progetto, cioè un procedimento con cui si cerca di redigere e di prevedere ogni parte del processo, (prevedere in anticipo ciò che si vuole fare), possiamo lanciare l'ipotesi che la rete sia un sistema.

Un sistema, infatti, può rispondere autonomamente ai cambiamenti che si producono

nell'ambiente. Pertanto, un sistema non è definitivo, né preannunciato. Spesso, appena fondato, può naturalmente autoregolarsi nel corso di tutta l'evoluzione e per la sua durata.

Il sistema è un insieme complesso (tante parti diverse, collegate e in relazione). Al contrario, un progetto è un susseguirsi di fasi, ordinate nello spazio e nel tempo, dipendenti gerarchicamente, ma soprattutto previste in anticipo. 

A questo punto, possiamo azzardare una definizione idealtipica di rete, che di seguito cercheremo di verificare.

La rete è un gruppo di organismi che interagiscono liberamente, cioè per scelta, che si propone di diffondere innovazioni ed è indefinito e autoregolantesi come un sistema.

 

Chi può aderire ad una rete? 

In linea teorica ogni organismo che intende agire nella comunità locale con le modalità di intervento che più gli sono più consone. I modi d'intervento sono differenti secondo 'organizzazione che statutariamente li presuppone. Ogni organismo seleziona comportamenti ed azioni che ne definiscono la natura e la sfera di competenza.

Ogni organismo che sceglie di aderire ad una rete porta la sua identità.

Chi interagisce in una rete, non desidera disperdere o veder reprimere la sua identità. Ne è geloso. Questo vale anche per l'altrui identità. Così è fatto salvo il pluralismo.

Se l'impegno di ogni organismo che aderisce alla rete è libero, nello stesso tempo è anche obbligato. L'impegno di ciascun organismo nella rete proviene da un atto di adesione (libero) e da una partecipazione (obbligata) rivolta alla costituzione dell'informazione comune, che può essere o meno utilizzata all'interno o all'esterno della rete.

In una rete pertanto si riconosce il pluralismo e si istituzionalizza il conflitto. Ma vi è assenza di autorità. Ognuno si relaziona e, eventualmente, interagisce con gli altri in modo paritario.

La relazione tra gli organismi che vi partecipano è possibile, ma non obbligata. Il legame tra di essi non è di tipo affettivo né di tipo formalizzato, ma è soltanto possibile e relativo.

 

 

Innovare mediante l’interazione 

Il problema sta nel trovare una forma di interazione che concepisca l'informazione come bene comune, che rispetti le diverse identità, e che sia lontana da logiche verticistiche e burocratiche e basata sulla libertà.

L'innovazione della rete sta nell'apportare legittimazioni incrociate delle diverse problematiche poste da ogni organismo. L'innovazione non è la somma delle varie identità né la supremazia di una sulle altre. Essa è il prodotto di una combinazione delle stesse, che non è nessuna di esse presa singolarmente, né la loro semplice somma.

Quindi il prodotto è imprevedibile. Solo così il risultato è un'innovazione.

Tra tante divergenze di interessi, di convinzioni, di strategie e di logiche, lo sforzo dell'informazione comune può portare alla possibilità di combinare tecniche, risorse, saperi e solidarietà con altrettante forme di tecniche, risorse, saperi e solidarietà, per il raggiungimento di un risultato imprevedibile e complesso, che può ancora a sua volta ricombinarsi con altri risultati e così di seguito...

Pertanto, identificare, interiorizzare ed interpretare le varie informazioni provenienti dai vari organismi, significa adottare l'innovazione, "fare rete", che però non significa solo socializzare le informazioni, bensì combinare con il risultato di nuovi prodotti le informazioni che sono state socializzate.

La rete non può essere vista come un semplice "servizio" per altri, quasi un contenitore di idee cui attingere, perché chi se ne serve in questo modo non innova ma semplicemente cerca la sua utilità, soddisfa i suoi interessi.

Non tutti arrivano a comprendere nello stesso tempo l'importanza dell'innovazione (il prodotto combinato delle varie risorse).

Possiamo definire una scala di priorità d'accoglienza: i primi possono essere visti come pionieri/innovatori, poi gli illuminati, successivamente arriva la maggioranza, infine i ritardatari.

 

 

Metodologia del lavoro in rete: comunicazione e azione comune 

La metodologia della rete interviene a sostegno del ripristino della innovazione

epistemologica, che può scaturire soltanto da processi di relazione sociale.

Nella rete nulla è lasciato allo spontaneismo dei vari soggetti, perché ogni soggetto che vi aderisce porta la sua informazione. Né si tratta di una comunità virtuale, in quanto ogni soggetto è un aderente reale della rete.

Non ci si può porre obiettivi comuni: questo può avvenire solo in un gruppo e in un'organizzazione che si pongono in anticipo uno scopo, che stilano un progetto.

Gli obiettivi dei soggetti aderenti non devono essere obbligatoriamente condivisi dagli altri.

Quando gli obiettivi dei vari aderenti convivono, interagiscono o confliggono, siamo in un semplice rapporto di condivisione, di relazione, di conflitto. Tutte queste manifestazioni si esprimono con il linguaggio e con la conversazione.

Linguaggio e conversazione veicolano l'informazione che, diventata comune, può provocare o meno la comunicazione (azione-comune).

La comunicazione è dunque un problema di volontà dell'individuo singolo, della moltitudine e dei gruppi. E' un problema che si può o non si può risolvere.

Ecco perché una rete non si costruisce, ma si implementa. 

Questo è un problema metodologico di grande portata, che investe la nostra immaginazione e la nostra esistenza in maniera atipica e inusuale. 

"Nel campo delle scienze sociali, gli studiosi post-modernisti affermano che lo sforzo moderno di creare una visione unitaria del comportamento umano ha prodotto solo ideologie classiste, razziste, colonialiste. La sociologia post-moderna mette l'accento sul pluralismo e sull'ambivalenza e predica la tolleranza per le infinite possibili trame che concorrono a comporre l'esperienza umana. Non c'è un regime sociale ideale a cui aspirare, ma una molteplicità di esperimenti culturali, ciascuno egualmente valido. Si rifugge dall'idea di un ineluttabile progresso lineare verso un ideale utopico condiviso: il post-moderno celebra la diversità delle esperienze locali che, nel loro insieme, costituiscono un'ecologia dell'esistenza umana"

(Rifkin, 2000, 260)

Immaginiamo solo per un momento quanto grande sia la difficoltà di concepire una rete basata su questi fondamenti e concetti persino a livello famigliare! Eppure parliamo quotidianamente di relazioni tra padri e figli, tra marito e moglie, tra generazioni diverse!

 

 

La rete come sistema che si auto-organizza si sviluppa ed emerge. 

La rete può solo accogliere (si badi bene: accogliere e non distribuire) e rendere trasferibili le informazioni, che gli interconnessi possono prendere o rifiutare, in un senso orizzontale di rapporti non disciplinati. In questo modo le informazioni transitano, si incrociano, influenzano e formano un reticolo interazionale e interculturale di ampio spessore propositivo e concettuale.

Ma nella rete non esistono prevaricazioni, filtri, posizioni dominanti, poteri stabiliti.

La rete non ha gerarchie, non ha classe dirigente, non ha pubblico cui destinare le informazioni, non rende un servizio. La rete è solo un circuito spazio-temporale dell'informazione.

Nessuno perde l'informazione quando la rende comune.

Qui entra in campo il principio del dono, così profondamente descritto da Marcel Mauss nel Saggio sul dono. Come fare ad includere l'altro, l'escluso, il resto dell'umanità nel proprio immaginario? "L'era dell'accesso costringerà ciascuno di noi a porsi delle domande fondamentali su come rimodellare le relazioni fra gli esseri umani" (Rifkin, 2000, 353).

"Sorprendentemente, osserva Jacques T. Godbout, il campo dell'intelligenza artificiale e delle scienze cognitive può fornire un punto di partenza per elaborare un modello di circolazione mediante il dono".

Animare una rete, implementare una rete, imparare a fare rete significa accogliere il principio

del dono.

Il paradigma del dono può essere di soccorso.

Infatti: "Il dono ci introduce in una rete universale", conclude Godbout, che in fondo al suo

libro più famoso scritto insieme con Alain Caillé, Lo spirito del dono, riporta

questa allegoria buddista:

"Una rete infinita estesa sull'universo, di cui i fili orizzontali attraversano lo spazio e i fili verticali il tempo. Ad ogni intersezione dei fili si trova un individuo, e ogni individuo è una perla di cristallo. La grande luce dell'Essere assoluto illumina e compenetra ogni perla, che riflette non solo la luce di tutte le altre perle della rete ma anche il riflesso di ciascuno dei riflessi dell'universo".

 

Tratto da Reti sociali ed innovazione metodologica di Paolo Coluccia, Edizioni Lilliput on-line (http://digilander.libero.it/paolocoluccia)

 

 

Riferimenti bibliografici

J.Rifkin, L'era dell'accesso, Mondadori, 2000.

J. T. Godbout e A. Caillè, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, 1993.

 


 

Nota bio-bliografica dell'autore: 

Paolo Coluccia, dottore in Pedagogia e ricercatore sociale indipendente, sensibile ai temi ambientali, culturali, sociali ed economici, ad una formazione filosofica e psicopedagogica associa una buona conoscenza della legislazione sociale e del lavoro. Impiegato nel Settore Sviluppo Economico/Politiche del Lavoro della "Provincia di Lecce", è divulgatore, promotore e animatore di Banche del tempo e di Sistemi di scambio locale non monetario. Ha pubblicato La cultura della reciprocità. I sistemi di scambio locale non monetari, EdizioniArianna, Casalecchio (BO), 2002; La Banca del Tempo. Un’azione di solidarietà e di reciprocità, Bollati Boringhieri, Torino, 2001 e La Banca del Tempo: un progetto per la comunità, Edizioni-Lilliput, Martano, 2001