Le scienze sociali e la lettura dell’altrove

 

Giacomo Camuri

Il Mediterraneo luogo di incontro e di frontiera

 

 

 

Introduce e coordina Giacomo Camuri, docente del liceo M. Vegio di Lodi, che rimanda alla lettura del documento inserito in carpetta dal titolo: Fragilità e destino: l’anima delle coste. Per un’ermeneutica dei luoghi. Ritiene tuttavia opportuno puntualizzare alcuni aspetti che riguardano l’ambiente e in particolare la costa, nella cui fragilità si riflette “il dramma del mondo che progressivamente ha visto disgiungersi e decomporsi in forme patologiche le relazioni vitali tra uomini e ambienti”.

La nostra condizione ci rende molto simili agli uomini di un circo equestre, perché itineranti, ma soprattutto specialisti e insieme disposti a svolgere diverse mansioni. In particolare, in questo contesto, ci si ritrova a riflettere sul come organizzarsi, sulla necessità di inventare contenuti che siano comunicabili e sull’opportunità di farsi conoscere.

Ma c’è una questione importante da affrontare, strettamente legata alla modernità: è la questione dell’identità. Siamo inseriti in un grande sistema istituzionale, difficile da smontare; la contemporaneità è caratterizzata da grandi migrazioni di individui e di idee e noi possiamo solo definirci “nomadi del pensiero”. L’identità sulla quale l’Occidente ha costruito la sua storia si sta dissolvendo. E’diventato quindi urgente interrogarsi sul “chi siamo” e tentare di definire la nostra identità dal punto di vista professionale e sociale.

Da un seminario della Facoltà di architettura di Siracusa sul tema dell’anima dei luoghi (su cui cfr. J. Hillman) nasce la riflessione sulla costa, uno dei luoghi che maggiormente vive e soffre della disgregazione della nostra idea di identità. Pertanto appare indispensabile ristabilire un rapporto con l’ambiente per ritrovare le radici profonde e fondare una nuova identità, possibile solo attraverso un recupero della memoria con l’immaginazione. Essa, servendosi del contributo della topografia e della toponomastica, consente di resistere all’atrofizzazione della coscienza cui va inesorabilmente incontro l’Occidente.

 

 

 

La costruzione sociale dell’altro: la sfida e le insidie del razzismo

Renate SiebertRenate Siebert, docente di multiculturalismo e mediazione culturale presso la Facoltà di scienze politiche, Università della Calabria (Cs)

 

[Renate Siebert] La relatrice, riprendendo il tema della memoria che per lei si connette con il nazismo, fa una breve premessa autobiografica, sottolineando la propria origine germanica. Sostiene che il silenzio assordante che per molto tempo ha circondato tanti giovani tedeschi, intorno agli anni Settanta, ha suscitato l’esigenza di capire cosa fosse successo nel passato. Il disagio cioè ha portato alla ricerca della memoria, al recupero della shoah come del non detto.

Al centro di questo lavoro di ricerca della memoria si pone la riflessione sull’alterità e sul razzismo, tema importante da introdurre nelle scuole, ma come?

La relatrice cita un libro che ha suscitato grande scandalo: La pelle giusta della antropologa Paola Tabet che ha in esso raccolto testimonianze di bambini accomunati da un convincimento razzista. Il fatto che dei bambini pensino ad una superiorità legata al colore della pelle bianca è la prova che nella nostra cultura, in ciò che chiamiamo democrazia, circola qualcosa che forse è più formale che sostanziale. Il razzismo è una forza nemica della democrazia, una forza sovversiva e pericolosa come la criminalità organizzata di stampo mafioso. E’ difficile trovare strategie per combattere queste derive, ma la scuola può essere il luogo privilegiato per questa lotta.

Se fenomeni come l’Illuminismo, la difesa dei diritti umani ed altro rendono la nostra storia occidentale storia di splendore, è anche vero che essa racchiude una parte “ombra” che rimanda al colonialismo, all’imperialismo, al nazismo e al fascismo, processi che hanno portato al razzismo biologico e culturale, all’antisemitismo. Nell’insegnamento scolastico bisogna mettere in connessione colonialismo, fascismo, nazismo con le rispettive ideologie.

La relatrice ribadisce a questo punto l’importanza della memoria che deve riguardare ognuno di noi e non deve ridursi alla semplice commemorazione celebrativa. Non basta un monumento o la giornata della memoria.

La nostra cultura è intrisa di razzismo e noi già con la socializzazione respiriamo tutto questo. Bisogna quindi “disimparare” il razzismo.

In effetti tutto ciò che impariamo ci condiziona molto perché, tramite i filtri della cultura, diamo un senso soggettivo ed oggettivo a ciò che ci circonda. Ciò che non nominiamo per noi non esiste e non vogliamo conoscerlo.

Il razzismo è un pessimo filtro cognitivo, bisogna superarlo disimparando, un sistema questo che è stato elaborato anche a livello di terapia.

Si dà per scontato il fatto che fuori di noi non esiste una realtà univoca, invece si deve riflettere su questo e sulla nostra responsabilità nella costruzione della realtà.

Se creiamo una società razzista, antisemita, islamofobica, sessista, ciò succede perché delle relazioni di tipo storico-sociale vengono poste come naturali.

Il razzismo è male per gli immigrati, ma anche per noi. Il passato ci insegna che quando è prevalsa la logica della morte, le azioni di morte rivolte contro l’alterità si sono rivolte contro noi stessi.

Per il tema identità-alterità la relatrice ritiene utile riferirsi alla questione del riconoscimento sia come relazione tra persone sia a livello istituzionale-politico.

Spesso però siamo di fronte a politiche del misconoscimento e dell’umiliazione. Viene richiamata a questo punto la dialettica hegeliana servo-padrone, punto di riferimento quando si discute di riconoscimento. L’individuo non esiste, non può diventare tale da solo, non c’è una fondazione unica dell’individuo, ma è una questione di relazione, di reciprocità. Basta pensare al fatto che nessun essere umano è in grado di guardarsi per intero. Lo sguardo su di noi, che noi stessi non possiamo avere, ce lo fornisce l’altro. Senza l’altro io non sono, è l’alterità che ci consente di guardarci e riconoscerci.

Nel saggio di F. Fanon, Pelle nera, maschera bianca, viene presentata l’esperienza di un colonizzato nero che sotto lo sguardo “razzizzante” del colonizzatore interiorizza questo sguardo e fa sua l’idea della propria identità come inferiore, con un processo di alienazione coloniale.

Riconoscere qualcuno significa riconoscergli la dignità di soggetto, ma nella reciprocità. Se io voglio essere riconosciuto ma non voglio riconoscere, scelgo solo quella alterità che mi serve per la mia identità. La dialettica hegeliana, ripresa anche da Simone de Beauvoir nella questione sessista, mette in evidenza anche che la nostra libertà è il risultato della nostra dipendenza dall’altro. Tutto ciò aiuta a capire meglio il razzismo.

Nella lotta per il riconoscimento tra l’uno e l’altro si inserisce la “lente” della inferiorità. Oggi si continua ad utilizzare il concetto di razza anche se la genetica nega che esista qualcosa che possa portare alla teorizzazione delle razze. La costruzione delle razze nega l’individualità e nega la sostanza degli esseri umani accomunati dalla loro umanità. Non razze quindi ma solo gruppi umani “razzizzati”.

Il razzismo è un fenomeno della modernità occidentale. Per capire la sua nascita dobbiamo ricollegarci alla rivoluzione borghese, all’enunciato dell’uguaglianza; in quel momento si inventano le razze come nuova differenza e questo ha coinvolto anche gli ebrei: infatti all’antigiudaismo basato su motivi culturali e religiosi subentra l’antisemitismo, basato su differenze genetiche. Condizionante è stato anche il criterio estetico.

Nella cultura greca c’è stata una “ripulitura razzista” volta ad escludere il nero che veniva da fuori.

A questo punto la relatrice evidenzia delle differenze presenti nel razzismo: quello della “eterorazzizzazione” è il razzismo tipico del colonialismo, quello di chi dice “tu sei inferiore per nascita e ti sfrutto meglio”. Tipica del nazismo è stata invece l’ “autorazzizzazione” che si è legata al mito della razza ariana generando un delirio che ha poi portato all’autoannientamento.

La relatrice conclude dicendo che oggi si ritrovano tratti simili all’antisemitismo nell’islamofobia e si può dire che i fenomeni procedano di pari passo.

 

 

 

 

 

Presentazione dello stage Radici per crescere ali per volare

Classe V A Liceo Ainis

Introduzione della Prof.ssa Concetta De Luca

la classe VA dell'AinisQuesta brevissima presentazione vuole soltanto ripercorrere per sommi capi il cammino che questi ragazzi hanno compiuto nel corso degli anni. Lascio a loro il compito di presentare, in modo esaustivo, il lavoro di stage.

Ieri, nella sua bella introduzione al Convegno, Josette Clemenza ha utilizzato la metafora del viaggio: voglio qui riprenderla, poiché un viaggio vero e proprio è stata questa esperienza di studio in questa classe.

Siamo partiti qualche anno fa, alla scoperta delle nostre radici, fatte di ricordi d’infanzia, di luoghi della memoria, di racconti ascoltati dai nonni o, comunque, dagli anziani della famiglia e del quartiere: tutti fili intrecciati dentro di noi, che costituiscono la nostra storia personale. Le notizie, i dati storici, sono stati raccolti con metodo rigoroso ma anche con partecipazione emotiva: la scommessa è stata la narrazione di sé. I ragazzi, supportati da ampie letture, si sono cimentati nell’esperienza della narrazione procedendo a passi incerti, all’inizio, poi, via via, sempre più sicuri.

Il primo porto era stato raggiunto: ora, però, bisognava partire di nuovo, alla ricerca del confronto con identità altre. Abbiamo dunque varcato il nostro Stretto e siamo andati sull’altra sponda, a Riace. Non troppo lontano eppure così lontano. Le ragazze porteranno qui le esperienze, le testimonianze vive dei migranti di Riace.

Al ritorno, ancora, e questa volta con maggiore consapevolezza, ci aspettava la sosta in porto: la riflessione e la narrazione nei diari di bordo.

E’ stato a questo punto che abbiamo incontrato l’Islam, che avevamo visto tanto vicino a noi nello spazio e nel tempo eppure ancora così sconosciuto, a volte mistificato da pregiudizi non di rado alimentati dai mass media. Conoscere un po’ di più la cultura, le usanze, la storia dell’Islam, ancora così sacrificata nei nostri manuali, ci è sembrato utile, anzi indispensabile, anche per meglio comprendere le storie di vita che ci erano state narrate.

All’Islam, ci siamo avvicinati con metodo scientifico, filologico per quanto riguarda la lettura di alcune sure del Corano, grazie alla guida del professor Salvatore Speziale, docente di Storia dei paesi islamici nonché profondo conoscitore della lingua araba.

Questa esperienza è andata avanti anche quest’anno: abbiamo avuto modo di approfondire i contatti tra oriente e occidente nella storia, evidenti non solo nei monumenti, che qui in Sicilia sono moltissimi, ma anche nelle parole, nell’ispirazione poetica, negli scambi tra le sponde di questo Mediterraneo, mare comune.

Oggi siamo qui, a Capo Peloro, e si capisce come questo luogo non sia stato scelto a caso, a raccontare questa parte del nostro viaggio che, tuttavia, non è ancora finito. La V A, infatti, lavora quest’anno, insieme ai ragazzi del Circolo Arci “Thomas Sankara”, con cui ha formato una classe multiculturale impegnata in laboratori di varia natura. Alla fine, narreremo ancora.

Ovviamente, quello che le ragazze presenteranno, è un prodotto multimediale confezionato in occasione del convegno e quindi necessariamente sintetico. Alle spalle di questi pochi minuti di presentazione, ci sono centinaia di pagine di diari di bordo, molte letture di carattere scientifico e letterario, ipertesti, raccolte dati e molto altro che non è possibile illustrare in un semplice intervento.

 

Concetta De Luca

 

 

 

La voce delle scuole

 

Gli interventi prendono spunto sia dalle relazioni sia dalla presentazione dello stage della V A dell’istituto “E. Ainis”. Attraverso il lavoro dei ragazzi, come sostiene il prof. Camuri, è possibile capire quanto sia fondamentale il ruolo del C.d.c..

Sulla scelta del power point come prodotto finale dello stage si sofferma la prof. Clemenza dicendo che si lega al nuovo modo di comunicare, di narrare che hanno i ragazzi di oggi, ragazzi peraltro presenti da protagonisti in questo convegno con dignità di relatori.

Rispetto al tema del razzismo viene sottolineata l’importanza del “disimparare” che il prof. Camuri ricollega all’Emilio di Rousseau, all’importanza dei “luoghi dell’altrove”, alla necessità di ritrovare nella storia degli altri le tracce della storia del sé. Ci si chiede, però, come conciliare il disimparare con le necessità della scuola, come superare il razzismo culturale che risulta più difficile da abbattere di quello per dir così “colorato”. Ci si chiede ancora come prepararci per educare a superare il razzismo e se è possibile pensare ad un razzismo “compatibile”.

Si sottolinea, inoltre, che la vera spinta per andare oltre il razzismo dovrebbe venire dal basso perché non si può pretendere di imporre il multiculturalismo, è dal basso che si devono risolvere i problemi.

Molto emerge, secondo la prof.ssa Marchetti, dalla pratica più che dalla teoria: importante è ciò che facciamo, lavorare insieme, stare “dentro le cose” insieme ai ragazzi come prevede l’epistemologia dell’indirizzo di Scienze Sociali.

La prof.ssa Siebert replica soffermandosi sull’origine psicologica del razzismo, su un bisogno di aggressività che accomuna razzismo biologico e culturale. Ribadisce inoltre che il razzismo trasforma condizioni e contesti che hanno una collocazione storica in fatti eterni, li naturalizza. Riguardo al ruolo della scuola, ritiene sbagliato fare crociate antirazziste, ma suggerisce di costruire insieme. Ritiene inoltre che anche se i pregiudizi razzisti circolano nel basso, è più da criticare e da combattere il razzismo istituzionale.

In conclusione viene ribadita dal prof. Camuri l’importanza del lavoro che il convegno sta svolgendo e sottolineata la necessità di recuperare la riflessività di diventare critici verso se stessi. Ricorda pertanto Eraclito per cui il logos è solo una grande trama di una narrazione infinita.