La ribellione indispensabile

 

LA RIBELLIONE INDISPENSABILE
Istruzioni per l'uso di "Umanità in rivolta", di Aboubakar Soumahoro (Feltrinelli 2019)

di Claudia Petrucci

Intervenendo al Salone del Libro di Torino del 2019, Aboubakar Soumahoro invitava il pubblico, giovane e attentissimo, a scavare dentro l' apparente semplicità del titolo. L'Umanità in rivolta non è soltanto quel concretissimo popolo di sfruttati che con la sua fatica tiene insieme il mondo, e che combatte perché gli sia riconosciuto il diritto alla vita e alla felicità. E' la nostra dignità di persone, che ci accomuna tutti, e che solo nella rivolta contro i sistemi di esclusione e le strutture disumanizzanti può essere preservata.
Nella parola-chiave Umanità c'è un esplicito riferimento a Primo Levi, che denunciava nella disumanizzazione del deportato lo specchio della disumanità del carceriere. Se accettiamo che dai nostri orizzonti percettivi, dai perimetri delle nostre sensibilità e dalle protezioni del diritto vengano rimossi i nostri simili, mettiamo a rischio anche il nostro comune destino di esseri umani.
L'appello alla rivolta non è quindi una faccenda solo di migranti e di sfruttati, ma è una chiamata alla responsabilità di tutti noi. Bisogna ribellarsi alle categorie dell'esclusione.Non accettare che diventino normali. Rifiutare la complicità.

La struttura discorsiva del libro, che permette più livelli di lettura e di approfondimento, passa attraverso la narrazione autobiografica, le vicende spesso tragiche di amici e compagni, la rievocazione delle grandi epopee di lotta per la libertà di donne e uomini e per la loro dignità di lavoratori.I nomi che ricorrono sono quelli di Nelson Mandela, Martin Luther King, Giuseppe Di Vittorio, Peppino Impastato. E si cita in tono commosso l'esperienza (poi, come si sa, demolita a forza) di Riace.

Attraverso molte storie esemplari, commentate da citazioni importanti ( Albert Camus, Pierre Bourdieu, Luciano Gallino, la Costituzione Italiana e la Dichiarazione di Indipendenza Americana, e anche Antonio Machado, Muhammad Alì, Angela Davis), Soumahoro ci mostra come vengano costruite le distorsioni percettive che ci portano a credere che "il migrante" sia una categoria a parte.Un alieno con caratteristiche, richieste e problemi incomparabili ai nostri, che non si può pensare e riconoscere come uno di noi, ma solo "contenere" in termini di ordine pubblico e, quando possibile, usare a nostro vantaggio. In questo, le responsabilità di tutte le istituzioni politiche sono immense e hanno una lunga storia. I migranti vengono fatti oggetto di norme e di regole stratificate e spesso contraddittorie, prodotte per sottolineare la differenza tra loro e gli altri anche quando accedono ai medesimi servizi e la distinzione non presenta vantaggi pratici per nessuno.Quando poi i migranti vengono dal Sud del mondo è più facile, per le piccole e grandi centrali dello sfruttamento economico e dello sciacallaggio ideologico, usare gli argomenti del razzismo per alzare muri e chiudere ghetti: la pretesa superiorità della cultura "bianca" , la paura di contaminarsi con possibili nemici e l'impossibilità di coabitare tra persone di cultura e provenienza diversa.

La categorizzazione diventa "razzializzazione" esplicita. Si teorizza che le differenze culturali originarie siano tali da rendere impossibile ogni contesto sociale comune. Si inventano percorsi discriminatori, si moltiplicano gli ostacoli, si nega la cittadinanza ai "migranti" di seconda generazione, cioè a ragazzi nati, cresciuti, educati nel nostro paese. E i risultati si vedono. Nel 1989 a Villa Literno l'assassinio del sindacalista sudafricano Jerry Essan Masslo suscitò, almeno all'apparenza, scandalo e indignazione generale. Nel 2018 a Gioia Tauro l'assassinio del sindacalista maliano Soumaila Sacko fu coperto da versioni di comodo e da uno strascico vergognoso di calunnie alla vittima.

Categorizzare e "razzializzare" serve a far leva su ansie collettive indotte per fomentare una cultura dell'inimicizia , occultando i problemi comuni.
E problemi comuni ce ne sono, eccome.
Perché "i diritti del lavoro, ci ricorda Soumahoro citando Di Vittorio, se non sono per tutti, non saranno presto per nessuno". Alla figura del grande sindacalista dei braccianti è dedicato un intero capitolo del libro, che sottolinea l'attualità del suo messaggio "per i diritti di tutti". Oggi il messaggio di Di Vittorio significa alcune proposte precise : un codice etico dell'intero settore agricolo, la regolarizzazione dei lavoratori, soluzioni abitative strutturali e condizioni di lavoro decorose. E un meccanismo di condizionalità nell'accesso delle aziende ai finanziamenti nazionali e europei, che li subordini al rispetto dei contratti, delle persone e della qualità del lavoro.
Non solo nel settore agricolo. Oggi infatti la precarietà del lavoro sta diventando la regola. I meccanismi dell'esclusione e dello sfruttamento riguardano milioni di lavoratori ( e non solo "migranti") non riconosciuti, provvisori, esposti a ogni ricatto di un sistema di cottimo generalizzato, senza certezza né di diritti né di tutele. Marginali e precari , ma strutturalmente indispensabili per settori fondamentali dell'economia e della società, da un capo all'altro del mondo. Quando i suoi compagni riescono finalmente a celebrare in Mali i funerali di Soumaila Sacko si rendono conto che solo le rimesse del lavoro sfruttato degli emigranti permettono un minimo di infrastrutture in un paese devastato dal land grabbing e dall'inquinamento minerario delle multinazionali.

Nel libro di Soumahoro leggiamo i dati impressionanti della filiera agricola e delle catene di sfruttamento su cui si regge. E si denunciano situazioni analoghe nei servizi logistici, le consegne commerciali, l'assistenza alle persone. Proprio tutti i settori che oggi un'emergenza planetaria ci fa riscoprire come indispensabili alla vita nostra e di tutti.