Introduzione : dal curriculum allo stage, dallo stage al curriculo

 

Il percorso di formazione che abbiamo intrapreso in questi anni - per alcuni iniziato più di trent’ anni fa, per altri con il seminario organizzato dal Ministero della P. I. a Catania nel 1998 - è stato impegnativo, faticoso ma appassionante. 

Si trattava (si tratta) di ri-pensare la scuola, non solo l’indirizzo di scienze sociali. 

Noi docenti abbiamo scelto di giocare un ruolo da protagonisti nel processo di ricerca e diffusione del sapere, ponendoci a fianco dei nostri studenti (e non dinnanzi), interrogandoci su valori e scopi dell’educare oggi. 

Non è stata - e non sarà- impresa facile, si cammina tra sicurezze, incertezze e innumerevoli ostacoli: difficile non è solo trovare ascolto per le nostre istanze, ottenere riconoscimento sociale da istituzioni scolastiche e non, progettare e attuare buone pratiche di insegnamento-appredimento, difficile è il cammino

Siamo sostenuti dalla consapevolezza di aver lavorato insieme, anche se dis-locati su tutto il territorio nazionale, e questa sicurezza è rinforzata dalle riflessioni prodotte dalla Rete Passaggi (nel sito web, nelle pubblicazioni, in seminari e convegni) che, come in un canone, si rincorrono generando un comune sentire. Questo intervento, dunque, scaturisce da un processo di costruzione di significati ed esperienze condivise delle scuole aderenti alla Rete nazionale Passaggi. 

La sfida che abbiamo accolto è quella lanciata da Edgar Morin “promuovere una intelligenza generale capace di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale[1] 

Crediamo che questo sia lo scopo dell’educazione per le generazioni future (e non saper scrivere e far di conto).

 

Come orientare la nostra azione educativa a questa finalità?

Attrezzarsi per affrontare un compito simile presenta molte difficoltà: prima fra tutte la formazione degli insegnanti che difetta soprattutto nella riflessione epistemologica.

Richiamando una tesi di Howard Gardner [2] potremmo dire di aver smarrito una delle cinque chiavi per il futuro: l’intelligenza disciplinare.

Non si riflette abbastanza sulla struttura logica [3] delle discipline, sullo sguardo peculiare con cui un certo sapere guarda e interpreta la realtà, sugli strumenti metodologici più adatti a raccogliere certe informazioni, su come alcune idee operano sull’esperienza e la organizzano per agire nel mondo.

 

Cosa offrono i saperi disciplinari per preparare intelligenze atte a governare il futuro?

Se, per saperi disciplinari, intendiamo le materie scolastiche, la risposta è poco o nulla.

Le materie scolastiche offrono una conoscenza inadeguata della realtà che (fuori dall’aula) non permette di affrontare neanche i problemi più semplici.

L’intelligenza disciplinare, invece permette di vivere un’esperienza fondamentale: l’esperienza dell’imparare, apre una strada verso la comprensione, indicando i possibili ragionamenti da seguire per formulare differenti ipotesi interpretative. 

Imparare è un’esperienza, tutto il resto è solo informazione” (Albert Einstein) 

Fino a quando nelle nostre aule proporremo e faremo studiare solo informazioni offriremo “morta conoscenza”, inadatta ad un qualsiasi uso nel mondo reale ma ancor più sterile per suscitare la necessità vitale della conoscenza, l’amore per il sapere. 

E’ necessario rovesciare l'insegnamento e dire: l'insegnamento, anzitutto e fondamentalmente, non è altro che insegnare la necessità di una scienza; e non insegnare la scienza stessa la cui necessità è impossibile far sentire allo studente." (Ortega Y Gasset) 

Nella sfida lanciata da Morin, e accolta da chi si è impegnato nella costruzione del curricolo del nostro indirizzo, si và oltre l’acquisizione della competenza disciplinare, si cerca: “la capacità di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale”.. 

Tutte le discipline devono assolvere ad un’esigenza prioritaria di questo corso di studi, che è quella di fare guadagnare gradualmente un’ottica interdisciplinare.

Questa capacità non si conquista affiancando due o più discipline ma integrandole tra loro, perché la loro integrazione permette una comprensione più profonda e autentica dei problemi affrontati, rispetto a quella resa possibile da una sola disciplina.

L’interdisciplinarità produce un valore aggiunto che potenzia il processo di apprendimento e tesse una tela con molti fili che convergono nella creazione di un disegno coerente e ricco di dettagli e sfumature.

Nel nostro indirizzo la convergenza tra le discipline si determina grazie a un perno su cui ruota il curriculum: l’asse storico-antropologico. 

 

Cosa significa nella pratica didattica privilegiare l’asse storico – antropologico?  

Utilizzare una prospettiva che NON mantiene le discipline nella loro separatezza

 

Perché questa prospettiva si ritiene sia peculiare all’antropologia e al sapere storico?  

Perché l’antropologia è una disciplina di confine che tende a cogliere la pluralità dell’esperienza umana piuttosto che l’unicità e il sapere storico (più che la storia) è un sapere situato [4] che tiene insieme dialetticamente i contributi di più saperi. 

L’antropologia richiede uno sconfinamento continuo tra oggetti e dentro gli oggetti; tra chi osserva e chi è osservato; analizzando non concetti ma i processi di formazione dei concetti, educa alla provvisorietà del sapere, alla necessità di ri-vedere continuamente le proprie convinzioni.[5] 

Di fronte alla difficoltà che pone un simile approccio ci si può arrendere e tornare alla sicurezza dei paradigmi disciplinari oppure fronteggiare la diversità come ricchezza [6] e cercare di creare un contesto di insegnamento-apprendimento, che invece di semplificare e appiattire la nostra conoscenza, aumenti la consapevolezza delle contraddizioni implicite nella complessità.

Il mezzo più potente per attuare questo metodo d’insegnamento e apprendimento è proprio lo stage, che svolge la funzione di un acceleratore di particelle. La sua azione è infatti quella di accelerare il processo di integrazione dei saperi disciplinari che è la logica su cui si costruisce il curricolo.

Per questo è possibile avviare una riflessione sul curricolo, muovendo dall’esperienza di stage e viceversa: il rapporto è speculare perché l’uno si costruisce mediante l’altro, obbedendo alla regola prioritaria di favorire un apprendimento che non segue percorsi banali e lineari, ma potenzia la conoscenza scegliendo proprio quegli aspetti della realtà che fanno implodere il sapere scolastico, esponendolo all’urto delle contraddizioni interne ed esterne.

 

Lo stage è un’occasione privilegiata per imparare a rapportarsi con la realtà complessa:

nel corso dello stage si dà sempre un sapere provvisorio, aperto alla conferma dell’esperienza e su cui il pensiero può ritornare per modificare i concetti appresi con ciò che si è osservato fuori dall’aula.

Nello stage confluiscono i flussi dell’esperienza e del sapere dell’esperienza. 

Come ricorda Franca Olivetti Monoukian citata nel vademecum per lo stage “Don’t worry!”, non è tuttavia un lavoro facile: 

Se la pratica è fare, l’esperienza è pensare su quello che si fa. Si può avere o fare molta pratica, ma non avere esperienza, perché l’agire, l’operazione non è stato oggetto di riflessione, non è stato riesaminato, non è stato investito di pensiero.

Esperienza significa elaborazione: questo termine mi è chiaro perché mi sembra che esprima in modo assai appropriato i processi attraverso i quali informazioni sparse di varia natura possono essere riprese, ricomposte, considerate con attenzione e interesse, ma anche prese in mano, modificate, collegate ad altre digerite per sviluppare nuovi percorsi di ricerca.

La radice labor denota esplicitamente la fatica che tutto ciò comporta” [7]

 


[1] Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione nel futuro, Cortina, Milano, 2001.

[2] Howard Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli. Milano, 2007.

[3] “ …una materia presentata in modo da portare alla luce la sua struttura logica avrà una forza generativa che permetterà all'individuo di ricostruire i particolari, o perlomeno, gli consentirà di preparare uno schema funzionale dove i particolari potranno essere sistemati via via che si incontreranno." J. S. Bruner, Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture, Armando, Roma, 1966.

[4] Cfr. K. Kumar, Le nuove teorie del mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna, Einaudi 2000.

[5] Un utile esercizio per imparare la de-costruzione di concetti che tendono ad istituzionalizzarsi può essere quello di esaminare alcune parole es. democrazia: di quale democrazia si parla di quella di Bush, di Atene nel V° sec, di quella attuatesi in India nel XV° sec? – diritto di cittadinanza di suolo?- di sangue? Di censo? Laica? Universale? Religiosa? 

[6] Cfr. g. Mantovani, L’elefante invisibile; Giunti 1998, e M. Herzfeld, L’intimità culturale, ed. L’ancora del mediterraneo, Napoli, 2003.

[7] Olivetti Manoukian F., Tirocinio professionale e apprendimento dell’esperienza, in E. Neve, M. Niero, Il Tirocinio, Franco Angeli, Milano, 1990, p.138l.