Dal curricolo al frammento (e viceversa)

Per un diverso approccio al liceo delle scienze umane  (Lucia Marchetti)

 

 

Ho detto al convegno, in modo provocatorio, che non è più essenziale occuparsi in modo esclusivo del curricolo del vostro liceo. Volevo dire che non è più così importante il vostro "particulare" alla Guicciardini, perché è più importante che voi possiate diffondere in tutta la scuola italiana il vostro modo di fare scuola, anche verso la direzione così bene esposta a Latina da Silvano Tagliagambe, che ci ha fatto capire l'importanza di una dimensione epistemologica, che riguarda tutte le discipline e la relazione tra loro. Io continuo a pensare che nell'elaborazione curricolare che è un obbligo pedagogico essenziale per ogni insegnante e per qualsiasi scuola, la scelta del metodo e quindi della pratica didattica resti il momento fondamentale”.

Clotilde Pontecorvo, Convegno La società in classe, Latina 2013

 

 

Ho ripescato questa frase di Pontecorvo che allora mi era sembrata quasi una negazione di tutta la sua (e la nostra) storia in campo educativo, perché come al solito conteneva una lucidità che allora non percepivo e ora, invece, mi sembra cogliere la situazione attuale della scuola. In particolare mi sembra utile per riposizionarsi in un piano di studi come quello del liceo delle scienze umane, così privo di identità, così frammentato e al tempo stesso così rigido. Da più parti si è cercato di trovare qualche senso, di costruire un curricolo ma con risultati spesso penosi che hanno spinto la maggior parte dei docenti a trovare rimedi in modo individuale e spesso solitario con la conseguenza che si è perduta la possibilità di un discorso in cui si comunica e ci si intende. Qualcuno dice “faccio piccole cose”, non potendo più contare sull’appoggio del Consiglio di classe né sulla riflessione collettiva. C’è la sensazione di un arretramento e di una perdita rispetto a quanto avevamo realizzato, di una Babele priva di senso.

E questo è un dato di fatto!

 

Riposizionarsi

Alla luce delle difficoltà da più parti denunciate, difficoltà dovute principalmente all’impianto e difficoltà organizzative, avverto la necessità di provare a cercare una prospettiva che accolga tutte le diversità ma insieme le componga in un quadro teorico condivisibile.

Ritorno a Morin e in particolare a Le vie della complessità (1987) là dove parla del principio ologrammatico, un principio della fisica quantistica che viene applicato all’educazione e ripreso anche da Bateson, Gardner, Goleman, secondo il quale “ anche la cellula più modesta come può essere la cellula dell’epidermide, contiene l’informazione generale di tutto il nostro essere nel suo insieme. (…) In questo senso possiamo dire non soltanto che la parte è nel tutto, ma anche il tutto è nella parte. (…) E così, in certo qual modo la società nel suo complesso è presente nella parte – nell’individuo – anche in società come le nostre che soffrono di una iperspecializzazione nel lavoro”. Il principio ologrammatico è stato ripreso anche nel dibattito educativo in Italia da più di dieci anni ed è stato anche criticato non tanto in sé, ma in quanto poi nella pratica nulla è cambiato rispetto al tradizionale approccio ai saperi di tipo lineare, ripetitivo, ecc, ecc.1

Non qui il caso di riprendere tutto il dibattito perché il vuoto che si è determinato dalla Riforma Moratti in poi rende ogni argomentazione del tutto asfittica. Tuttavia occorre cercare qualche appiglio per riposizionarsi in un quadro senza cornice e senza sfondo.

Voglio quindi riprendere quel principio per capire se può essere utile a una ricollocazione delle nostre pratiche e della nostra quotidianità.

 

Frammenti a legame debole

I termini di questo titoletto sono stati più volte adoperati per definire i sistemi complessi. Nel nostro caso potremmo ragionare nel modo seguente: alcune delle nostre scuole, a seconda dei docenti che vi si trovano, a seconda dei dirigenti, e delle condizioni al contorno, sviluppano percorsi che ritengono significativi per il profilo del liceo delle scienze umane (e dell’opzione). Si tratta di percorsi parziali, spesso organizzati in forma modulare2 che articolano aspetti rilevanti della condizione umana e della vita in società con particolare attenzione al mondo contemporaneo. Più che a un curricolo strutturato e prefigurato si richiamano quindi all’idea generale che sta alla base del liceo delle scienze umane secondo un procedere ricorsivo, a spirale, ecc. per cui solo nel procedere si costruisce un possibile curricolo. E’ quindi possibile che le diverse scuole sviluppino approfondimenti diversi, tuttavia deve rimanere ferma ed esplicita l’intenzione di articolare il tema di fondo e l’impianto metodologico caratterizzato, appunto, dalla modularità, cioè da una chiara impostazione epistemologica dei saperi, dal fuoco sulle competenze, dal protagonismo degli studenti, dal rapporto tra sapere e fare, insomma da tutte le caratteristiche delle nostre buone pratiche sperimentate da molti anni.
Ho l’impressione che potrebbe essere questo un modo per ‘stare’ con qualche consapevolezza in questa fase critica della nostra scuola: mettiamo in comune le pratiche che ci sembrano rispondere ai criteri che ho detto sopra, si tratta di frammenti a legame debole, tuttavia con qualche rete di contenimento che li valorizzi.

Non mi dilungo perché di parole ne abbiamo dette tante e a volte mi sembrano prive di valore. Se vi pare che questa prospettiva possa ‘tenere’ potete ampliare l’analisi, so che molte critiche si possono scatenare perché è una proposta che appare fragile, ma mi pare che all’orizzonte non ci sia molto di meglio.

Per non dimenticare quanto abbiamo già detto e ridetto vi accludo uno scritto di Luigi Mantuano su indicatori che potrebbero aiutare ad individuare i ‘frammenti’. Lì si parlava del liceo delle scienze sociali, ora si dovrebbe forse aggiornare. Allo stesso scopo potrebbero funzionare gli Otto spazi per un meta-laboratorio di Giacomo Camuri che trovate ne La prova del labirinto nel testo a cura di C. Pontecorvo e L.Marchetti, Nuovi saperi per la scuola. Le scienze sociali trent’anni dopo, Marsilio 2007.
 


 

Per il liceo delle scienze sociali: 7 indicatori procedurali di decodificazione della contemporaneità

Luigi Mantuano
 

La chiave storico-antropologica che nel documento del febbraio 2000 era solo enunciata, è diventata per molte delle nostre esperienze una lente attraverso la quale abbiamo cominciato a progettare e a leggere il curricolo e le pratiche, superando nei fatti una certa predominanza dell’asse sociologico-psicologico che aveva caratterizzato la declinazione del curricolo nelle varie programmazioni. Ne abbiamo ricavato 7 indicatori procedurali di decodificazione della contemporaneità.

Il Prof. Giuseppe Mantovani ha suggerito che dobbiamo costruirci – come gruppo di ricerca di docenti del liceo delle scienze sociali - una teoria, un nocciolo teorico molto preciso, da intendersi però come progetto, e non come omologazione dal punto di vista cognitivo, e forse questo può essere un primo tassello. Siamo convinti che questi nodi concettuali, opportunamente tradotti in situazione di stage, possano gettare nuova luce sul ripensamento di tutto il curricolo.

Le seguenti riflessioni si pongono come segnavia di una comunità di interroganti, provocati dalla molteplicità delle voci e dei rumori di fondo degli scenari della quotidianità.

Una particolare attenzione la dedico alla categoria della RELAZIONE oggetto del prossimo seminario dell’Associazione Passaggi. Auspico che la riflessione a partire da queste poche idee possa ispirare pratiche didattiche e percorsi tematici sulla relazione in modo da arrivare a marzo 2005 con un minimo di bagaglio di pensiero e materiale sul tema.
 

1 - Comunicazione:

come modificazione dello spazio e del tempo. Costruzione di mondi immaginari; costruzione della memoria. La comunicazione non è semplice trasmissione di un contenuto tra un emittente ed un ricevente: l’interiorizzazione dei mezzi di comunicazione, come le lettere dell’alfabeto, altera il rapporto tra i sensi e muta i processi mentali (Marshall McLuhan, La galassia Gutenberg e Dall’occhio all’orecchio , Armando, 2001), ridefinisce il nostro sistema nervoso e la nostra relazione con l’ambiente. Dal cinema alla rete Web, il ruolo dell’immagine e della facoltà dell’immaginazione si è sempre più ampliato: dalle mappe della mnemotecnica lulliana, all’utilizzo dell’immagine nella teologia medievale, la contemporaneità continua l’esplorazione del rapporto tra formazione della razionalità, con la quale organizziamo il mondo, e l’immaginazione. D’altra parte la comunicazione è un’organizzazione di pratiche: i modelli educativi, le forme della politica, sono i campi che la caratterizzano maggiormente. Parlare della comunicazione vuol dire ripensare la forma delle relazioni nella classe e nella città. E dunque l’organizzazione dei saperi.
 

2 - Glocale:

articolazione dei micro-macro mondi; modi di rapportarsi al locale e al mondo. Questa categoria non va riferita semplicisticamente al dibattito sulla globalizzazione. Voglio qui piuttosto indicare la dialettica di assenza e presenza, luogo e non luogo, sedentarietà e nomadismo, colti più nell’accezione psichica e antropologica, in quanto propria di tutte le culture. Compagno di strada in questa direzione è Michel Maffesoli. La fondazione metafisica dell’identità sull’alterità trova nella sociologia contemporanea di Michel Maffesoli una sua corrispondenza nelle pratiche della vita quotidiana. In modo particolare Del nomadismo. Per una sociologia dell’erranza3 e La contemplazione del mondo.4 Figure dello stile comunitario delineano la fenomenologia della socialità abitata dal desiderio d’altrove e dalle forme dell’alterità. Il pluriverso epistemologico si traduce nella decostruzione delle categorie classiche delle scienze sociali, da Marx a Weber. Una circolazione di molteplici forme di meticciaggio culturale, tecnologico e affettivo lascerebbe spazio ad una sorta di bricolage dove l’unica legge sembra essere quella del “farsi altro”. La pulsione d’erranza caratterizza la modernità, sia essa l’erranza dei movimenti migratori o quella delle pratiche quotidiane dell’erranza, osservabili nell’organizzazione del lavoro, del tempo libero, dei consumi. La modernità spezza il principio della reductio ad unum che da Comte in poi ha caratterizzato ogni forma di fisica sociale e, quindi, di progettualità politica; come un fiume carsico che ha attraversato sempre l’occidente (dal cosmopolitismo greco all’erranza ebraico-cristiana), riaffiora in superficie il desiderio dell’avventura e del viaggio, in definitiva dell’altrove: “Il viaggiatore è il testimone di un “mondo parallelo” dove l’affettività, nelle sue diverse forme, è vagabonda, e dove l’anomia ha la forza di legge”.5Il nomadismo non può essere spiegato soltanto dal bisogno economico o dalla pura funzionalità, storicamente è sempre esistito in innumerevoli forme e la sua causa per Maffesoli risiede nel desiderio di evasione, così lo strano e lo straniero strutturano il gruppo sociale in quanto tale e anzi ne sono le chiavi di lettura. La nostalgia dell’altrove genera l’erranza ma nello stesso tempo favorisce la fondazione di un corpo sociale: un corpo sociale, qualunque esso sia, serba la memoria della sua erranza originaria, ed è necessario che trovi i modi di ravvivarla. Così facendo dona nuovo dinamismo alla forza del suo stare insieme e gli assicura, sul lungo periodo, una specifica energia motrice.”.6 Il nomadismo sociale in tutte le su espressioni è un esercizio di integrazione di quella che C. G. Jung chiama la “zona d’ombra”: l’uomo moderno continuamente immerso nel vivere situazioni di impermanenza ritualizza e addomestica l’impermanenza per eccellenza che è la morte. La dimensione più evidente di questo esercizio è quella affettiva che denota un vero e proprio ritorno del dionisiaco, oltre tutti i tentativi di razionalizzazione sociale, che si salda ad una nuova forma di solidarietà sociale:

 

Vi è un’erranza erotica che il razionalismo prometeico era riuscito a nascondere, e che ritorna in primo piano. Così, sull’esempio della sfrenatezza dei baccanali antichi, il sesso non è più associato alla riproduzione, non è più limitato soltanto all’economia della famiglia nucleare. Egli torna a essere errante…vi è un misterioso legame tra l’erranza e la comunità…Il nomadismo infatti implica forme di solidarietà concreta. Dal momento in cui ciò che si vive è la tragicità del quotidiano, (cosa che ben esprime il “presentismo”, o l’istante eterno, vissuto in quanto tale e non rapportato a una drammatica Storia in cammino), da quel momento, senza che diventi oggetto di una teorizzazione astratta o di un progetto rivolto lontano, diviene assolutamente necessario, giorno per giorno, praticare l’aiuto reciproco, scambiarsi affetti ed esprimere solidarietà di base. All’estensione di un progetto astratto risponde l’intensità delle relazioni quotidiane.7

 

Il nomadismo, sia quello espresso nelle situazioni di rivolta e di spostamenti geografici sia quello della vita quotidiana delle relazioni affettive amplificate dalle nuove tecnologie (internet, videotel), esprimono un potente scambio simbolico in cui prevale il pensiero dell’altro, il che salda un nuovo senso comunitario basato sulle pratiche quotidiane e quasi ignorando la megamacchina economico-politico istituzionale. Riprendendo le analisi di Georg Simmel, occorre riconoscere che il legame sociale si fonda sulla dialettica di legare e slegarsi, fondazione e fuga, luogo e non-luogo, sedentarietà e nomadismo: ciò non si riferisce soltanto ai luoghi intesi come spazi fisici ma anche alle identità individuali. In tal senso il soggetto moderno, sostenuto dall’ideologia individualistica, è il luogo chiuso per eccellenza della modernità. Il restringimento dell’identità all’io empirico, rassicurato dagli stabili legami affettivi e istituzionali, ha permesso il raggiungimento della sicurezza al prezzo della rinuncia ad una più ampia realizzazione del Sé, come hanno dimostrato psicoanalisi e psichiatria.

La pulsione d’erranza è una pulsione dell’identità personale e determina socialmente una evanescenza dei confini, un territorio fluttuante. L’individuo che vive nella megalopoli affascinato dal desiderio di perdersi e di vagabondare può essere se stesso e un altro, è il nuovo tipo di nomade. I non-luoghi (Marc Augé) costituiti dai centri commerciali – come da tutti i grandi spazi di passaggio – sono l’incarnazione di questa nuova identità individuale e sociale in cui lo spazio non delimita una chiusura ma un’identità molteplice. Forse si tratta di riprendere quella che Durkheim chiamava “sete di infinito”:

 

All’individuo prometeico per il quale la natura, la propria e quella che lo circonda, è un semplice oggetto da dominare, la problematica dionisiaca oppone la figura del nomade sovrastato da un destino tragico da adempiere. Destino in parte delimitato. Destino che porta con sé il sentimento tragico dell’esistenza. E’ questo che fa della vita qualcosa di perfettamente quotidiano e strano a un tempo. Vita banale e intensa. Vita fatta di abitudini e di avventure. Rimmel aveva ben visto quando precisava che “pur essendo un corpo estraneo alla nostra esistenza, ciononostante l’avventura è, in un modo o nell’altro, legata alcentro”…L’erranza mistica lo ha più volte sottolineato, il nomadismo esistenziale lo vive a modo suo: senza tanti complimenti, senza fronzoli, a volte persino senza una reale consapevolezza. E ciò fa dell’abbandono e dell’’esultanza le specifiche caratteristiche del nostro tempo, tanto nell’arte striato sensu, quanto nell’esuberanza vitale, nella produzione musicale o nella banalità del quotidiano. In ciascuno di questi casi si esprime la perdita di sé nell’alterità, nell’altro di un incontro occasionale o nell’incontro con il Grande Altro (naturale o divino) a cui si aspira. La vita errante è tutto meno che individuale…La vita errante è una vita dalle molteplici identità, a volte contraddittorie. Identità plurime che possono essere vissute sia contemporaneamente sia, al contrario, una dopo l’altra.8
 

 

In questo contesto vivere il presente diventa una forma di eternità e il concetto di identità si trasforma:

Al di là e al di qua della storia e della politica esiste un “un non essere nessuno originale”, in parte tragico, ma non di meno gioioso, che non si assegna più uno scopo da raggiungere o un progetto da realizzare, ma si impegna, in modo diversi in cui il piacere consiste nell’accettazione di ciò che è, a vivere una forma di eternità, quella di un presente continuamente rinnovato e rinnovabile.9
 

3 - Relazione:

tra i due. Primato della relazione come strutturale al senso: identità, interculturalità, genere, relazione al sé, relazione intergenerazionale. Il primato della relazione va inteso sia come metodo nella didattica ordinaria, sia come riflessione metacognitiva, di significato e riflessione sulla relazione tra due, dalla religione alla politica, dall’affettività allo sviluppo delle rappresentazioni logiche della mente. Riflettere sulle relazione vuol dire ripensare le arti del vivere, rimanda alla riflessione sulla saggezza greca e alla tradizione degli esercizi spirituali (si pensi al testo di Pierre Hadot Esercizi spirituali e filosofia antica), concentrandosi sulla relazione per eccellenza: quella tra identità e alterità. Tutto ciò mediato da una domanda: c’è un corrispondente immanente della saggezza trascendente, ovvero, esiste la possibilità di relazionarsi a qualcosa-qualcuno di veramente altro da me all’infuori del totalmente- altro di biblica memoria? Si tratta della questione affrontata da Michel Foucault a partire dalla cura del sé e la sua articolazione nelle arti del vivere quotidiano, si tratta cioè della ricerca delle condizioni e delle possibilità , ancora indeterminate, di una trasformazione del soggetto.

Michel de Certeau riprende questa prospettiva ne L’invenzione del quotidiano, dedicando esplicitamente capitoli a Foucault e a Bourdieu. La sua vita da gesuita l’aveva del resto familiarizzato con la pratica degli esercizi spirituali, matrice di tutte le pratiche del sé intese come pratiche e sapere “etopoietico”, termine con cui Foucault indica la maniera di essere e di trasformare l’individuo. L’ethos come cura e trasformazione del sé. Pur senza approfondire il tema non si può tralasciare il fatto che per Certeau le pratiche sono quelle degli esercizi e del cammino mistico, con l’a priori della volontà, articolata in una miriade di esercizi giocati sulla banalità del quotidiano (questo niente che è il nostro tutto).

La relazione, il nicht ohne, diventa così l’ethos del mistico, e nello stesso tempo dello storico, del ricercatore, delle scienze sociali e dell’uomo: mai senza l’altro è la categoria del sapere storico e sociale così come dell’esperienza spirituale e filosofica, FEDELI AL MOTTO CHE PENSARE è PASSARE.

Certeau elabora dunque un ethos della relazione, articolato in pratiche quotidiane che esprimono un sapere emopoietico nel senso di Foucault. Sono espressione di questo ethos la pratica della storia, dell’antropologia della modernità, della spiritualità, della politica e della pratica dell’insegnamento.

Va subito chiarito che la relazione è legata all’assenza e dunque non relazione con il totalmente altro, ma come articolazione “tra due”: non a caso il colloquio più stretto è con Ricoeur piuttosto che con Levinas. E soprattutto Freud, e quello che Freud fa della storia. Ancora di più, con Lacan: il desiderio dell’uomo è desiderio dell’Altro.

L’articolazione del senso avviene nella costruzione delle pratiche della banalità del quotidiano (L’invention du quotidien , t.II , Habiter, Cuciner, Gallimard) . In Certeau c’è il superamento dell’ethos legato alla trascendenza (saggezza greca ed esercizi spirituali) a favore di un’immanentizzazione dell’Altro. Impossibilitato a dire l’Altro se non con le azioni storicamente determinate, la storia e la società diventano il suo oggetto privilegiato di indagine, dopo la filologia dei testi mistici: impossibilitati ad esprimere le nostra relazione con l’Altro, è tuttavia ancora con le parole, invischiate in un determinato tempo e spazio particolari, che noi possiamo balbettare il nostro relazionarci all’Altro. Le scienze dell’alterità, anch’esse necessariamente molteplici, declinano il senso della modernità, piuttosto che la reductio ad unum metafisico-teologica, permanente tentazione del sapere filosofico a cui non sembra proprio che possa rinunciare ancora tanta parte della cultura italiana, con le sue inevitabili ricadute sulla ricerca didattica.

 

4 - Pensare/fare:

articolazione del pensare-fare come pratiche della quotidianità e articolazione del senso (Certeau); le ragioni pratiche; mente-mano; la tecnica ed il lavoro: la cultura materiale; dall’homo abilis al lavoro. Troppo spesso dimentichiamo, anche nella funzione docente, che ogni sapere codificato nasce da relazioni: un “pensiero sensibile” è forse oggi più opportuno di un pensiero inteso esclusivamente come sforzo del concetto. Le cose e la gente sono quel che sono. Avanzano e si organizzano sulla base di una disposizione che gli è propria. Pertanto, piuttosto che volerle "cogliere" all'interno del concetto, è forse meglio accompagnarle. propongo quindi – insieme a Michel Maffesoli ( Elogio della ragione sensibile) - l'attuazione di un pensiero dell'accompagnamento, una "metanoia" (che pensa accanto), opposta alla "paranoia" (che pensa in modo iperblindante) tipica della modernità. Quasi una epistemologia della carezza del tutto estranea al graffio concettuale.
Tale ripensamento è imprescindibile dalle articolazioni del fare: mente e mano, lavoro e contemplazione, organizzazione tecnica e spazio interiore si richiamano reciprocamente. Il ripensare la “testa ben fatta” resta una pedagogia deteriore e disincarnata – dunque retorica – se non investe la trasformazione dell’organizzazione economica e lavorativa. Articolare fare e pensare vuol dire ricollegare felicità e produzione (A. Sen e, in Italia, Stefano Zamagni, Luigino Bruni).

 

5 - Quotidiano:

una scienza delle opere. Tempi, spazi, struttura. La fascinazione che opera nella cultura popolare la fiction televisiva ed il talk show, oltre che essere denigrata dalla cultura ufficiale, richiede un’altra chiave di lettura. Umberto Eco in Apocalittici ed integrati aveva già criticato gli steccati tra cultura alta e bassa, facendo di personaggi televisivi e dei fumetti oggetto di analisi semiologica. Una possibile chiave di lettura di questi fenomeni, tanto incidenti sui giovani - come sugli adulti, che ne usufruiscono in modo più raffinato, magari a scopo di “indagine antropologica”potrebbe essere la seguente: il bisogno di vedere rappresentata la propria quotidianità, questo niente, fatto di file al supermercato, di passaggi nelle strade, di incontri interrotti, che tuttavia si pone come il nostro tutto. Dalla Psicopatologia della vita quotidiana di Freud a Sorvegliare e punire di Foucault, la contemporaneità ha fatto del quotidiano il teatro del senso. I riflettori hanno abbandonato gli attori che possiedono nomi propri e prestigio sociale per volgersi verso il coro di figuranti ammassati sui due lati, e fissarsi infine sulla folla degli spettatori. Sociologizzazione e antropologizzazione della ricerca privilegiano l’anonimo ed il quotidiano puntando l’obiettivo su dettagli metonimici – parti prese per il tutto. Lentamente, i rappresentanti che simbolizzavano ieri famiglie, gruppi e ordini escono dalla scena in cui regnavano al tempo del nome. È l’avvento del numero, quello della democrazia, della grande città, delle amministrazioni, della cibernetica. È il flusso continuo della folla, tessuto fitto come una stoffa senza strappi né rammendi, composto da una moltitudine di eroi quantificati che perdono nome e volto divenendo il linguaggio mobile di calcoli e di razionalità che non appartengono a nessuno. Fiumi di numeri lungo le strade.

 

6 - Rappresentazione:

come nascono le visioni del mondo. La produzione simbolica. La “rappresentazione” è sempre una produzione culturale, che richiede competenze specifiche, capacità ed abilità intellettuali, manuali, gestionali, ideative e creative. La pratica didattica insieme alla produzione delle “rappresentazioni” è tesa a smontare il meccanismo della produzione delle rappresentazioni. Le neuroscienze da una parte e l’antropologia culturale dall’altra saranno i canali privilegiati di questo percorso.

 

7 - Modello di stage:

come pratica del coniugare pensare e fare; un’azione che fonda l’elaborazione degli strumenti di interpretazione della realtà e gli strumenti come decodificatori dell’azione. Per guardare-raccontare e per incidere-agire sulla realtà: un rapporto col locale che è la politica, convinti che i significati si costruiscono localmente (Mantovani). a) analisi del quotidiano – analisi delle emergenze; b) declinazione dell’ambito antropologico con l’azione pratica, interpretando l’essere nella città non soltanto come prendere ma anche come dare; c) cambiamento: capacità di cogliere le trasformazioni. Radicamento (la scuola nel territorio) e trasformazione.

Non esistono principi che calano sul locale. In primo luogo c’è la realtà locale e le teorie di riferimento che io posseggo e che mi consentono di percepire il locale che è qualcosa che va oltre i libri, che non c’è nei libri, magari che vi sarà registrato tra un po’ di anni. La questione centrale è: siamo sicuri che il sapere locale sia il nostro modo di camminare nella verità? Né etnocentrismo, né relativismo nell’educazione: ma partire dal presupposto che il locale è il modo in cui i valori vivono, far vedere le storie per far capire. Tuttavia il locale senza lo sconfinamento e l’inquietudine prodotto dalla ricerca, dallo studio e dall’incessante attraversare storie, confini, territori, può anche essere mortale.

In tal senso lo stage potrebbe essere l’elaborazione e sperimentazione di una pedagogia narrativa, centrata sul “fare storia”, in grado quindi di far cogliere all’alunno il meccanismo di creazione di un processo culturale, finanche della “propria” storia particolare. Le modalità di rappresentazione antropologica per loro natura sono tese a valorizzare la cultura osservata nelle sue diverse pratiche locali, mostrandone le inedite ed interne legalità cognitive, affettive e simboliche per favorire una lettura più critica e meno scontata degli oggetti materiali, dei modi di fare, sentire e pensare della cultura locale.

Il tutto nella logica dell’incompiuto.
 

 


1 Tiriticco M. “ Il richiamo all’ologramma è corretto; ciò che è carente in tutte le Indicazioni nazionali è una chiara esplicitazione di questo concetto. E non solo! Nelle Indicazioni non troviamo mai suggerimenti culturali e didattici che comportino modalità di insegnamento che inducano ad un apprendimento decisamente modulare” Relazione al Convegno CISL-scuola, La riforma della scuola. Fattori critici/propositivi: continuità, valutazione, portfolio, Bagni di Tivoli (RM) 29 Marzo 2004

2 Villani D., “Il modulo consente di organizzare le conoscenze in un contesto unitario, omogeneo e strutturato e di utilizzare le competenze acquisite in un modo nuovo ed integrato, di trasferirle cioè da una situazione consueta ad una nuova, a dimostrazione che si è venuto costituendo quel reticolo di conoscenze capace di permanere nel tempo e che è il fondamento di nuovi saperi. Gli obiettivi di un modulo non corrispondono quindi alla somma o a un sottoinsieme degli obiettivi definiti per le unità didattiche che lo costituiscono.
In particolare, è opportuno verificare la capacità degli allievi di:

  • applicare in contesti diversi le conoscenze, abilità, competenze acquisite;
  • prendere decisioni in situazioni operative, reali o simulate; “

in Lineamenti di didattica modulare
 

3 M. Maffesoli, Du nomadisme. Vagabondages initiatiques, Paris 1997, tr.it. Fraco Angeli, Milano 2000.

4 Id., La contemplation du monde, 1993, tr.it., Costa e Nolan, Genova 1996.

5 Id, Du nomadisme. Vagabondages initiatiques, op. cit., p.55.

6 Ivi,p.63.

7 Ivi, p.72-73.

8 Ivi, p.111-112.

9 Ivi, p.114.

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Per un diverso approccio al liceo delle scienze umane  (Lucia Marchetti)

 

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Ho detto al convegno, in modo provocatorio, che non è più essenziale occuparsi in modo esclusivo del curricolo del vostro liceo. Volevo dire che non è più così importante il vostro "particulare" alla Guicciardini, perché è più importante che voi possiate diffondere in tutta la scuola italiana il vostro modo di fare scuola, anche verso la direzione così bene esposta a Latina da Silvano Tagliagambe, che ci ha fatto capire l'importanza di una dimensione epistemologica, che riguarda tutte le discipline e la relazione tra loro. Io continuo a pensare che nell'elaborazione curricolare che è un obbligo pedagogico essenziale per ogni insegnante e per qualsiasi scuola, la scelta del metodo e quindi della pratica didattica resti il momento fondamentale”.

Clotilde Pontecorvo, Convegno La società in classe, Latina 2013

 

 

Ho ripescato questa frase di Pontecorvo che allora mi era sembrata quasi una negazione di tutta la sua (e la nostra) storia in campo educativo, perché come al solito conteneva una lucidità che allora non percepivo e ora, invece, mi sembra cogliere la situazione attuale della scuola. In particolare mi sembra utile per riposizionarsi in un piano di studi come quello del liceo delle scienze umane, così privo di identità, così frammentato e al tempo stesso così rigido. Da più parti si è cercato di trovare qualche senso, di costruire un curricolo ma con risultati spesso penosi che hanno spinto la maggior parte dei docenti a trovare rimedi in modo individuale e spesso solitario con la conseguenza che si è perduta la possibilità di un discorso in cui si comunica e ci si intende. Qualcuno dice “faccio piccole cose”, non potendo più contare sull’appoggio del Consiglio di classe né sulla riflessione collettiva. C’è la sensazione di un arretramento e di una perdita rispetto a quanto avevamo realizzato, di una Babele priva di senso.

E questo è un dato di fatto!

 

Riposizionarsi

Alla luce delle difficoltà da più parti denunciate, difficoltà dovute principalmente all’impianto e difficoltà organizzative, avverto la necessità di provare a cercare una prospettiva che accolga tutte le diversità ma insieme le componga in un quadro teorico condivisibile.

Ritorno a Morin e in particolare a Le vie della complessità (1987) là dove parla del principio ologrammatico, un principio della fisica quantistica che viene applicato all’educazione e ripreso anche da Bateson, Gardner, Goleman, secondo il quale “ anche la cellula più modesta come può essere la cellula dell’epidermide, contiene l’informazione generale di tutto il nostro essere nel suo insieme. (…) In questo senso possiamo dire non soltanto che la parte è nel tutto, ma anche il tutto è nella parte. (…) E così, in certo qual modo la società nel suo complesso è presente nella parte – nell’individuo – anche in società come le nostre che soffrono di una iperspecializzazione nel lavoro”. Il principio ologrammatico è stato ripreso anche nel dibattito educativo in Italia da più di dieci anni ed è stato anche criticato non tanto in sé, ma in quanto poi nella pratica nulla è cambiato rispetto al tradizionale approccio ai saperi di tipo lineare, ripetitivo, ecc, ecc.1

Non qui il caso di riprendere tutto il dibattito perché il vuoto che si è determinato dalla Riforma Moratti in poi rende ogni argomentazione del tutto asfittica. Tuttavia occorre cercare qualche appiglio per riposizionarsi in un quadro senza cornice e senza sfondo.

Voglio quindi riprendere quel principio per capire se può essere utile a una ricollocazione delle nostre pratiche e della nostra quotidianità.

 

Frammenti a legame debole

I termini di questo titoletto sono stati più volte adoperati per definire i sistemi complessi. Nel nostro caso potremmo ragionare nel modo seguente: alcune delle nostre scuole, a seconda dei docenti che vi si trovano, a seconda dei dirigenti, e delle condizioni al contorno, sviluppano percorsi che ritengono significativi per il profilo del liceo delle scienze umane (e dell’opzione). Si tratta di percorsi parziali, spesso organizzati in forma modulare2 che articolano aspetti rilevanti della condizione umana e della vita in società con particolare attenzione al mondo contemporaneo. Più che a un curricolo strutturato e prefigurato si richiamano quindi all’idea generale che sta alla base del liceo delle scienze umane secondo un procedere ricorsivo, a spirale, ecc. per cui solo nel procedere si costruisce un possibile curricolo. E’ quindi possibile che le diverse scuole sviluppino approfondimenti diversi, tuttavia deve rimanere ferma ed esplicita l’intenzione di articolare il tema di fondo e l’impianto metodologico caratterizzato, appunto, dalla modularità, cioè da una chiara impostazione epistemologica dei saperi, dal fuoco sulle competenze, dal protagonismo degli studenti, dal rapporto tra sapere e fare, insomma da tutte le caratteristiche delle nostre buone pratiche sperimentate da molti anni.
Ho l’impressione che potrebbe essere questo un modo per ‘stare’ con qualche consapevolezza in questa fase critica della nostra scuola: mettiamo in comune le pratiche che ci sembrano rispondere ai criteri che ho detto sopra, si tratta di frammenti a legame debole, tuttavia con qualche rete di contenimento che li valorizzi.

Non mi dilungo perché di parole ne abbiamo dette tante e a volte mi sembrano prive di valore. Se vi pare che questa prospettiva possa ‘tenere’ potete ampliare l’analisi, so che molte critiche si possono scatenare perché è una proposta che appare fragile, ma mi pare che all’orizzonte non ci sia molto di meglio.

Per non dimenticare quanto abbiamo già detto e ridetto vi accludo uno scritto di Luigi Mantuano su indicatori che potrebbero aiutare ad individuare i ‘frammenti’. Lì si parlava del liceo delle scienze sociali, ora si dovrebbe forse aggiornare. Allo stesso scopo potrebbero funzionare gli Otto spazi per un meta-laboratorio di Giacomo Camuri che trovate ne La prova del labirinto nel testo a cura di C. Pontecorvo e L.Marchetti, Nuovi saperi per la scuola. Le scienze sociali trent’anni dopo, Marsilio 2007.
 


 

Per il liceo delle scienze sociali: 7 indicatori procedurali di decodificazione della contemporaneità

Luigi Mantuano
 

La chiave storico-antropologica che nel documento del febbraio 2000 era solo enunciata, è diventata per molte delle nostre esperienze una lente attraverso la quale abbiamo cominciato a progettare e a leggere il curricolo e le pratiche, superando nei fatti una certa predominanza dell’asse sociologico-psicologico che aveva caratterizzato la declinazione del curricolo nelle varie programmazioni. Ne abbiamo ricavato 7 indicatori procedurali di decodificazione della contemporaneità.

Il Prof. Giuseppe Mantovani ha suggerito che dobbiamo costruirci – come gruppo di ricerca di docenti del liceo delle scienze sociali - una teoria, un nocciolo teorico molto preciso, da intendersi però come progetto, e non come omologazione dal punto di vista cognitivo, e forse questo può essere un primo tassello. Siamo convinti che questi nodi concettuali, opportunamente tradotti in situazione di stage, possano gettare nuova luce sul ripensamento di tutto il curricolo.

Le seguenti riflessioni si pongono come segnavia di una comunità di interroganti, provocati dalla molteplicità delle voci e dei rumori di fondo degli scenari della quotidianità.

Una particolare attenzione la dedico alla categoria della RELAZIONE oggetto del prossimo seminario dell’Associazione Passaggi. Auspico che la riflessione a partire da queste poche idee possa ispirare pratiche didattiche e percorsi tematici sulla relazione in modo da arrivare a marzo 2005 con un minimo di bagaglio di pensiero e materiale sul tema.
 

1 - Comunicazione:

come modificazione dello spazio e del tempo. Costruzione di mondi immaginari; costruzione della memoria. La comunicazione non è semplice trasmissione di un contenuto tra un emittente ed un ricevente: l’interiorizzazione dei mezzi di comunicazione, come le lettere dell’alfabeto, altera il rapporto tra i sensi e muta i processi mentali (Marshall McLuhan, La galassia Gutenberg e Dall’occhio all’orecchio , Armando, 2001), ridefinisce il nostro sistema nervoso e la nostra relazione con l’ambiente. Dal cinema alla rete Web, il ruolo dell’immagine e della facoltà dell’immaginazione si è sempre più ampliato: dalle mappe della mnemotecnica lulliana, all’utilizzo dell’immagine nella teologia medievale, la contemporaneità continua l’esplorazione del rapporto tra formazione della razionalità, con la quale organizziamo il mondo, e l’immaginazione. D’altra parte la comunicazione è un’organizzazione di pratiche: i modelli educativi, le forme della politica, sono i campi che la caratterizzano maggiormente. Parlare della comunicazione vuol dire ripensare la forma delle relazioni nella classe e nella città. E dunque l’organizzazione dei saperi.
 

2 - Glocale:

articolazione dei micro-macro mondi; modi di rapportarsi al locale e al mondo. Questa categoria non va riferita semplicisticamente al dibattito sulla globalizzazione. Voglio qui piuttosto indicare la dialettica di assenza e presenza, luogo e non luogo, sedentarietà e nomadismo, colti più nell’accezione psichica e antropologica, in quanto propria di tutte le culture. Compagno di strada in questa direzione è Michel Maffesoli. La fondazione metafisica dell’identità sull’alterità trova nella sociologia contemporanea di Michel Maffesoli una sua corrispondenza nelle pratiche della vita quotidiana. In modo particolare Del nomadismo. Per una sociologia dell’erranza3 e La contemplazione del mondo.4 Figure dello stile comunitario delineano la fenomenologia della socialità abitata dal desiderio d’altrove e dalle forme dell’alterità. Il pluriverso epistemologico si traduce nella decostruzione delle categorie classiche delle scienze sociali, da Marx a Weber. Una circolazione di molteplici forme di meticciaggio culturale, tecnologico e affettivo lascerebbe spazio ad una sorta di bricolage dove l’unica legge sembra essere quella del “farsi altro”. La pulsione d’erranza caratterizza la modernità, sia essa l’erranza dei movimenti migratori o quella delle pratiche quotidiane dell’erranza, osservabili nell’organizzazione del lavoro, del tempo libero, dei consumi. La modernità spezza il principio della reductio ad unum che da Comte in poi ha caratterizzato ogni forma di fisica sociale e, quindi, di progettualità politica; come un fiume carsico che ha attraversato sempre l’occidente (dal cosmopolitismo greco all’erranza ebraico-cristiana), riaffiora in superficie il desiderio dell’avventura e del viaggio, in definitiva dell’altrove: “Il viaggiatore è il testimone di un “mondo parallelo” dove l’affettività, nelle sue diverse forme, è vagabonda, e dove l’anomia ha la forza di legge”.5Il nomadismo non può essere spiegato soltanto dal bisogno economico o dalla pura funzionalità, storicamente è sempre esistito in innumerevoli forme e la sua causa per Maffesoli risiede nel desiderio di evasione, così lo strano e lo straniero strutturano il gruppo sociale in quanto tale e anzi ne sono le chiavi di lettura. La nostalgia dell’altrove genera l’erranza ma nello stesso tempo favorisce la fondazione di un corpo sociale: un corpo sociale, qualunque esso sia, serba la memoria della sua erranza originaria, ed è necessario che trovi i modi di ravvivarla. Così facendo dona nuovo dinamismo alla forza del suo stare insieme e gli assicura, sul lungo periodo, una specifica energia motrice.”.6 Il nomadismo sociale in tutte le su espressioni è un esercizio di integrazione di quella che C. G. Jung chiama la “zona d’ombra”: l’uomo moderno continuamente immerso nel vivere situazioni di impermanenza ritualizza e addomestica l’impermanenza per eccellenza che è la morte. La dimensione più evidente di questo esercizio è quella affettiva che denota un vero e proprio ritorno del dionisiaco, oltre tutti i tentativi di razionalizzazione sociale, che si salda ad una nuova forma di solidarietà sociale:

 

Vi è un’erranza erotica che il razionalismo prometeico era riuscito a nascondere, e che ritorna in primo piano. Così, sull’esempio della sfrenatezza dei baccanali antichi, il sesso non è più associato alla riproduzione, non è più limitato soltanto all’economia della famiglia nucleare. Egli torna a essere errante…vi è un misterioso legame tra l’erranza e la comunità…Il nomadismo infatti implica forme di solidarietà concreta. Dal momento in cui ciò che si vive è la tragicità del quotidiano, (cosa che ben esprime il “presentismo”, o l’istante eterno, vissuto in quanto tale e non rapportato a una drammatica Storia in cammino), da quel momento, senza che diventi oggetto di una teorizzazione astratta o di un progetto rivolto lontano, diviene assolutamente necessario, giorno per giorno, praticare l’aiuto reciproco, scambiarsi affetti ed esprimere solidarietà di base. All’estensione di un progetto astratto risponde l’intensità delle relazioni quotidiane.7

 

Il nomadismo, sia quello espresso nelle situazioni di rivolta e di spostamenti geografici sia quello della vita quotidiana delle relazioni affettive amplificate dalle nuove tecnologie (internet, videotel), esprimono un potente scambio simbolico in cui prevale il pensiero dell’altro, il che salda un nuovo senso comunitario basato sulle pratiche quotidiane e quasi ignorando la megamacchina economico-politico istituzionale. Riprendendo le analisi di Georg Simmel, occorre riconoscere che il legame sociale si fonda sulla dialettica di legare e slegarsi, fondazione e fuga, luogo e non-luogo, sedentarietà e nomadismo: ciò non si riferisce soltanto ai luoghi intesi come spazi fisici ma anche alle identità individuali. In tal senso il soggetto moderno, sostenuto dall’ideologia individualistica, è il luogo chiuso per eccellenza della modernità. Il restringimento dell’identità all’io empirico, rassicurato dagli stabili legami affettivi e istituzionali, ha permesso il raggiungimento della sicurezza al prezzo della rinuncia ad una più ampia realizzazione del Sé, come hanno dimostrato psicoanalisi e psichiatria.

La pulsione d’erranza è una pulsione dell’identità personale e determina socialmente una evanescenza dei confini, un territorio fluttuante. L’individuo che vive nella megalopoli affascinato dal desiderio di perdersi e di vagabondare può essere se stesso e un altro, è il nuovo tipo di nomade. I non-luoghi (Marc Augé) costituiti dai centri commerciali – come da tutti i grandi spazi di passaggio – sono l’incarnazione di questa nuova identità individuale e sociale in cui lo spazio non delimita una chiusura ma un’identità molteplice. Forse si tratta di riprendere quella che Durkheim chiamava “sete di infinito”:

 

All’individuo prometeico per il quale la natura, la propria e quella che lo circonda, è un semplice oggetto da dominare, la problematica dionisiaca oppone la figura del nomade sovrastato da un destino tragico da adempiere. Destino in parte delimitato. Destino che porta con sé il sentimento tragico dell’esistenza. E’ questo che fa della vita qualcosa di perfettamente quotidiano e strano a un tempo. Vita banale e intensa. Vita fatta di abitudini e di avventure. Rimmel aveva ben visto quando precisava che “pur essendo un corpo estraneo alla nostra esistenza, ciononostante l’avventura è, in un modo o nell’altro, legata alcentro”…L’erranza mistica lo ha più volte sottolineato, il nomadismo esistenziale lo vive a modo suo: senza tanti complimenti, senza fronzoli, a volte persino senza una reale consapevolezza. E ciò fa dell’abbandono e dell’’esultanza le specifiche caratteristiche del nostro tempo, tanto nell’arte striato sensu, quanto nell’esuberanza vitale, nella produzione musicale o nella banalità del quotidiano. In ciascuno di questi casi si esprime la perdita di sé nell’alterità, nell’altro di un incontro occasionale o nell’incontro con il Grande Altro (naturale o divino) a cui si aspira. La vita errante è tutto meno che individuale…La vita errante è una vita dalle molteplici identità, a volte contraddittorie. Identità plurime che possono essere vissute sia contemporaneamente sia, al contrario, una dopo l’altra.8
 

 

In questo contesto vivere il presente diventa una forma di eternità e il concetto di identità si trasforma:

Al di là e al di qua della storia e della politica esiste un “un non essere nessuno originale”, in parte tragico, ma non di meno gioioso, che non si assegna più uno scopo da raggiungere o un progetto da realizzare, ma si impegna, in modo diversi in cui il piacere consiste nell’accettazione di ciò che è, a vivere una forma di eternità, quella di un presente continuamente rinnovato e rinnovabile.9
 

3 - Relazione:

tra i due. Primato della relazione come strutturale al senso: identità, interculturalità, genere, relazione al sé, relazione intergenerazionale. Il primato della relazione va inteso sia come metodo nella didattica ordinaria, sia come riflessione metacognitiva, di significato e riflessione sulla relazione tra due, dalla religione alla politica, dall’affettività allo sviluppo delle rappresentazioni logiche della mente. Riflettere sulle relazione vuol dire ripensare le arti del vivere, rimanda alla riflessione sulla saggezza greca e alla tradizione degli esercizi spirituali (si pensi al testo di Pierre Hadot Esercizi spirituali e filosofia antica), concentrandosi sulla relazione per eccellenza: quella tra identità e alterità. Tutto ciò mediato da una domanda: c’è un corrispondente immanente della saggezza trascendente, ovvero, esiste la possibilità di relazionarsi a qualcosa-qualcuno di veramente altro da me all’infuori del totalmente- altro di biblica memoria? Si tratta della questione affrontata da Michel Foucault a partire dalla cura del sé e la sua articolazione nelle arti del vivere quotidiano, si tratta cioè della ricerca delle condizioni e delle possibilità , ancora indeterminate, di una trasformazione del soggetto.

Michel de Certeau riprende questa prospettiva ne L’invenzione del quotidiano, dedicando esplicitamente capitoli a Foucault e a Bourdieu. La sua vita da gesuita l’aveva del resto familiarizzato con la pratica degli esercizi spirituali, matrice di tutte le pratiche del sé intese come pratiche e sapere “etopoietico”, termine con cui Foucault indica la maniera di essere e di trasformare l’individuo. L’ethos come cura e trasformazione del sé. Pur senza approfondire il tema non si può tralasciare il fatto che per Certeau le pratiche sono quelle degli esercizi e del cammino mistico, con l’a priori della volontà, articolata in una miriade di esercizi giocati sulla banalità del quotidiano (questo niente che è il nostro tutto).

La relazione, il nicht ohne, diventa così l’ethos del mistico, e nello stesso tempo dello storico, del ricercatore, delle scienze sociali e dell’uomo: mai senza l’altro è la categoria del sapere storico e sociale così come dell’esperienza spirituale e filosofica, FEDELI AL MOTTO CHE PENSARE è PASSARE.

Certeau elabora dunque un ethos della relazione, articolato in pratiche quotidiane che esprimono un sapere emopoietico nel senso di Foucault. Sono espressione di questo ethos la pratica della storia, dell’antropologia della modernità, della spiritualità, della politica e della pratica dell’insegnamento.

Va subito chiarito che la relazione è legata all’assenza e dunque non relazione con il totalmente altro, ma come articolazione “tra due”: non a caso il colloquio più stretto è con Ricoeur piuttosto che con Levinas. E soprattutto Freud, e quello che Freud fa della storia. Ancora di più, con Lacan: il desiderio dell’uomo è desiderio dell’Altro.

L’articolazione del senso avviene nella costruzione delle pratiche della banalità del quotidiano (L’invention du quotidien , t.II , Habiter, Cuciner, Gallimard) . In Certeau c’è il superamento dell’ethos legato alla trascendenza (saggezza greca ed esercizi spirituali) a favore di un’immanentizzazione dell’Altro. Impossibilitato a dire l’Altro se non con le azioni storicamente determinate, la storia e la società diventano il suo oggetto privilegiato di indagine, dopo la filologia dei testi mistici: impossibilitati ad esprimere le nostra relazione con l’Altro, è tuttavia ancora con le parole, invischiate in un determinato tempo e spazio particolari, che noi possiamo balbettare il nostro relazionarci all’Altro. Le scienze dell’alterità, anch’esse necessariamente molteplici, declinano il senso della modernità, piuttosto che la reductio ad unum metafisico-teologica, permanente tentazione del sapere filosofico a cui non sembra proprio che possa rinunciare ancora tanta parte della cultura italiana, con le sue inevitabili ricadute sulla ricerca didattica.

 

4 - Pensare/fare:

articolazione del pensare-fare come pratiche della quotidianità e articolazione del senso (Certeau); le ragioni pratiche; mente-mano; la tecnica ed il lavoro: la cultura materiale; dall’homo abilis al lavoro. Troppo spesso dimentichiamo, anche nella funzione docente, che ogni sapere codificato nasce da relazioni: un “pensiero sensibile” è forse oggi più opportuno di un pensiero inteso esclusivamente come sforzo del concetto. Le cose e la gente sono quel che sono. Avanzano e si organizzano sulla base di una disposizione che gli è propria. Pertanto, piuttosto che volerle "cogliere" all'interno del concetto, è forse meglio accompagnarle. propongo quindi – insieme a Michel Maffesoli ( Elogio della ragione sensibile) - l'attuazione di un pensiero dell'accompagnamento, una "metanoia" (che pensa accanto), opposta alla "paranoia" (che pensa in modo iperblindante) tipica della modernità. Quasi una epistemologia della carezza del tutto estranea al graffio concettuale.
Tale ripensamento è imprescindibile dalle articolazioni del fare: mente e mano, lavoro e contemplazione, organizzazione tecnica e spazio interiore si richiamano reciprocamente. Il ripensare la “testa ben fatta” resta una pedagogia deteriore e disincarnata – dunque retorica – se non investe la trasformazione dell’organizzazione economica e lavorativa. Articolare fare e pensare vuol dire ricollegare felicità e produzione (A. Sen e, in Italia, Stefano Zamagni, Luigino Bruni).

 

5 - Quotidiano:

una scienza delle opere. Tempi, spazi, struttura. La fascinazione che opera nella cultura popolare la fiction televisiva ed il talk show, oltre che essere denigrata dalla cultura ufficiale, richiede un’altra chiave di lettura. Umberto Eco in Apocalittici ed integrati aveva già criticato gli steccati tra cultura alta e bassa, facendo di personaggi televisivi e dei fumetti oggetto di analisi semiologica. Una possibile chiave di lettura di questi fenomeni, tanto incidenti sui giovani - come sugli adulti, che ne usufruiscono in modo più raffinato, magari a scopo di “indagine antropologica”potrebbe essere la seguente: il bisogno di vedere rappresentata la propria quotidianità, questo niente, fatto di file al supermercato, di passaggi nelle strade, di incontri interrotti, che tuttavia si pone come il nostro tutto. Dalla Psicopatologia della vita quotidiana di Freud a Sorvegliare e punire di Foucault, la contemporaneità ha fatto del quotidiano il teatro del senso. I riflettori hanno abbandonato gli attori che possiedono nomi propri e prestigio sociale per volgersi verso il coro di figuranti ammassati sui due lati, e fissarsi infine sulla folla degli spettatori. Sociologizzazione e antropologizzazione della ricerca privilegiano l’anonimo ed il quotidiano puntando l’obiettivo su dettagli metonimici – parti prese per il tutto. Lentamente, i rappresentanti che simbolizzavano ieri famiglie, gruppi e ordini escono dalla scena in cui regnavano al tempo del nome. È l’avvento del numero, quello della democrazia, della grande città, delle amministrazioni, della cibernetica. È il flusso continuo della folla, tessuto fitto come una stoffa senza strappi né rammendi, composto da una moltitudine di eroi quantificati che perdono nome e volto divenendo il linguaggio mobile di calcoli e di razionalità che non appartengono a nessuno. Fiumi di numeri lungo le strade.

 

6 - Rappresentazione:

come nascono le visioni del mondo. La produzione simbolica. La “rappresentazione” è sempre una produzione culturale, che richiede competenze specifiche, capacità ed abilità intellettuali, manuali, gestionali, ideative e creative. La pratica didattica insieme alla produzione delle “rappresentazioni” è tesa a smontare il meccanismo della produzione delle rappresentazioni. Le neuroscienze da una parte e l’antropologia culturale dall’altra saranno i canali privilegiati di questo percorso.

 

7 - Modello di stage:

come pratica del coniugare pensare e fare; un’azione che fonda l’elaborazione degli strumenti di interpretazione della realtà e gli strumenti come decodificatori dell’azione. Per guardare-raccontare e per incidere-agire sulla realtà: un rapporto col locale che è la politica, convinti che i significati si costruiscono localmente (Mantovani). a) analisi del quotidiano – analisi delle emergenze; b) declinazione dell’ambito antropologico con l’azione pratica, interpretando l’essere nella città non soltanto come prendere ma anche come dare; c) cambiamento: capacità di cogliere le trasformazioni. Radicamento (la scuola nel territorio) e trasformazione.

Non esistono principi che calano sul locale. In primo luogo c’è la realtà locale e le teorie di riferimento che io posseggo e che mi consentono di percepire il locale che è qualcosa che va oltre i libri, che non c’è nei libri, magari che vi sarà registrato tra un po’ di anni. La questione centrale è: siamo sicuri che il sapere locale sia il nostro modo di camminare nella verità? Né etnocentrismo, né relativismo nell’educazione: ma partire dal presupposto che il locale è il modo in cui i valori vivono, far vedere le storie per far capire. Tuttavia il locale senza lo sconfinamento e l’inquietudine prodotto dalla ricerca, dallo studio e dall’incessante attraversare storie, confini, territori, può anche essere mortale.

In tal senso lo stage potrebbe essere l’elaborazione e sperimentazione di una pedagogia narrativa, centrata sul “fare storia”, in grado quindi di far cogliere all’alunno il meccanismo di creazione di un processo culturale, finanche della “propria” storia particolare. Le modalità di rappresentazione antropologica per loro natura sono tese a valorizzare la cultura osservata nelle sue diverse pratiche locali, mostrandone le inedite ed interne legalità cognitive, affettive e simboliche per favorire una lettura più critica e meno scontata degli oggetti materiali, dei modi di fare, sentire e pensare della cultura locale.

Il tutto nella logica dell’incompiuto.
 

 


1 Tiriticco M. “ Il richiamo all’ologramma è corretto; ciò che è carente in tutte le Indicazioni nazionali è una chiara esplicitazione di questo concetto. E non solo! Nelle Indicazioni non troviamo mai suggerimenti culturali e didattici che comportino modalità di insegnamento che inducano ad un apprendimento decisamente modulare” Relazione al Convegno CISL-scuola, La riforma della scuola. Fattori critici/propositivi: continuità, valutazione, portfolio, Bagni di Tivoli (RM) 29 Marzo 2004

2 Villani D., “Il modulo consente di organizzare le conoscenze in un contesto unitario, omogeneo e strutturato e di utilizzare le competenze acquisite in un modo nuovo ed integrato, di trasferirle cioè da una situazione consueta ad una nuova, a dimostrazione che si è venuto costituendo quel reticolo di conoscenze capace di permanere nel tempo e che è il fondamento di nuovi saperi. Gli obiettivi di un modulo non corrispondono quindi alla somma o a un sottoinsieme degli obiettivi definiti per le unità didattiche che lo costituiscono.
In particolare, è opportuno verificare la capacità degli allievi di:

  • applicare in contesti diversi le conoscenze, abilità, competenze acquisite;
  • prendere decisioni in situazioni operative, reali o simulate; “

in Lineamenti di didattica modulare
 

3 M. Maffesoli, Du nomadisme. Vagabondages initiatiques, Paris 1997, tr.it. Fraco Angeli, Milano 2000.

4 Id., La contemplation du monde, 1993, tr.it., Costa e Nolan, Genova 1996.

5 Id, Du nomadisme. Vagabondages initiatiques, op. cit., p.55.

6 Ivi,p.63.

7 Ivi, p.72-73.

8 Ivi, p.111-112.

9 Ivi, p.114.