Il "Vassoio di Ventotene"

 

Ernesto Rossi, nato nel 1897 e morto nel 1967, fu, come sappiamo, con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni, tra i principali promotori, in Italia, del federalismo europeo, grazie alla stesura condivisa del Manifesto di Ventotene, sicuramente il loro testamento morale.

Arrestato il 30 ottobre 1930, mentre teneva lezione ai suoi studenti, pagò la sua intransigente attività antifascista con venti anni di carcere, inflittigli dal Tribunale Speciale, dei quali nove furono scontati nelle "patrie galere" e  quattro al confino nell'isola di Ventotene.

Economista, giornalista, politico e uomo di vasta cultura, Ernesto Rossi era anche pupazzettista e vivace autore di caricature, di cui spesso arricchiva anche i suoi scritti (se ne può trovare qualche esempio nel volume a cura della Banca d'Italia L’eredità di Ernesto Rossi Il fondo della Biblioteca Paolo Baffi a cura di Simonetta Schioppa e Silvia Mastrantonio). 

Realizzò il vassoio per farne un dono di nozze a suo nipote, Maurizio Ferreri. Lo firmò e datò 1940. In seguito venne donato a Nello Traquandi, la cui vedova Linda lo lasciò all'Istituto fiorentino

Il vassoio è diviso in una scena centrale, con la rappresentazione simbolica del mare e del vento, e quattro riquadri laterali, con scene di vita quotidiana ambientate a Ventotene e contenenti numerosi ritratti. Costituisce dunque un documento unico della vita dei confinati di quegli anni

Nei riquadri minori si vedono a destra la via degli Ulivi con la campagna verso punta Eolo,

 

                                                                                   mentre a sinistra c'è una veduta  lungo via Roma.

Le scene principali sono dedicate alla Passeggiata e al Brindisi.

La Passeggiata, ambientata in piazza Castello, mostra i confinati che ammazzano il tempo, ammirando una "biondona" che passa, finita forzatamente sull'isola per qualche guaio imprecisato con le autorità. Da sinistra si vedono due testimoni di Jeovah, Dino Roberto, Sandro Pertini, Menghestù (studente d'ingegneria abissino), la "biondona", Giuseppe Pianezza, Umberto Terracini su una sdraio, Paolo Schicchi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Mauro Scoccimarro con la consorte Maria Bertoncini.

Il Brindisi invece mostra i confinati alla mensa di Giustizia e Libertà, che festeggiano l'ennesima scadenza del periodo di confino di Nino Woditzka, che però veniva poi puntualmente rinnovato prima della vera e propria scarcerazione. Vi si vedono, da sinistra, il capomensa Nello Traquandi, Angelo Bonizzoli e vari anarchici e cuochi della mensa, seguiti da Francesco Fancello, Ernesto Rossi, Nino Woditzka, Riccardo Bauer, Marco Maovaz (fucilato poi dai nazifascisti a Trieste), Vincenzo Calace, due albanesi non meglio identificati, Giovanni Gervasoni, Giobatta Domaschi (poi morto nel campo di concentramento di Mauthausen), e lo stipettaio Gigino.

Le scene sono pervase da una certa ironia e un vitale ottimismo, che documenta come gli intellettuali confinanti reagivano alla dura segregazione imposta dal regime.