Clotilde Pontecorvo, Maestra di Scuola e di Vita

Per Clotilde* 

di Lucia Marchetti

È difficile esprimere il sentimento di perdita e lo smottamento emotivo che provoca la mancanza di Clotilde in me e in tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di lavorare con lei e di condividere per un lungo tempo il modo di intendere e di stare nella scuola.

Nel mio caso devo risalire ai primi Anni Novanta quando, con una collega, cercavamo di costruire un curricolo verticale di insegnamento della filosofia che coniugasse l’imparare con il piacere della scoperta e di tenere insieme i due aspetti (filosofia e storia della filosofia) individuando possibilità concrete di traduzione didattica nella prospettiva implicita della centralità dello studente. Era un campo minato, soprattutto per due donne, perché la filosofia era ancora un settore molto maschile - e forse lo è ancora - e abbiamo pubblicato due articoli sulla rivista delle scuole sperimentali Sensate Esperienze (1).
Qualcuno si irritò perché stavamo mettendo mano a un sapere che poco si lascia tentare, almeno quello istituzionalizzato dai manuali e dagli accademici. Proponevamo per esempio di cominciare da subito con la lettura di un dialogo di Platone, di trovare modi per mettere lo studente al centro del processo, e ci furono alcuni rilievi critici, qualcuno polemico.
Tra i riferimenti teorici di psicologia dell’apprendimento citavamo Bruner, Vygotskij e Clotilde Pontecorvo.
Così pensai di mandare l’articolo alla professoressa Pontecorvo perchè ho sempre ritenuto che la scuola militante dovesse mantenere il confronto con l’università, o meglio, con chi stava portando avanti la ricerca in campo educativo.
Leggevamo i suoi libri e ci sembrava di essere in forte sintonia con il suo pensiero.
 
Inaspettatamente dopo un po’di tempo arrivò una risposta, una lunga lettera scritta a mano, in cui mi si consigliava di andare avanti e di scrivere; diceva Clotilde in quella lettera che gli insegnanti non amano scrivere sulle cose che fanno e quindi tanta esperienza va buttata e si deve ricominciare sempre daccapo.
Avere questo rinforzo da una persona che per me era il punto più alto nel campo della psicologia dell’apprendimento, fu uno stimolo fortissimo, non solo per me, ma anche per la mia collega di scuola e per il mio gruppo di Sensate Esperienze.
 
La rivista Sensate Esperienze ha rappresentato un riferimento importante per la scuola italiana dal 1987 al 2003; era stata pensata da docenti che la scrivevano e pubblicavano in proprio, sui temi dell’innovazione sia relativa ai saperi, sia relativa all’organizzazione del lavoro, all’orientamento e all’apprendimento. Era un’idea di scuola di alto profilo, che cercava di tenere insieme qualità e quantità, ricerca didattica e approfondimento teorico, riflessione sull’organizzazione e attenzione alla relazione educativa. Non consideravamo tutto ciò elitario, perché lavoravamo per un ideale di uguaglianza delle opportunità, sancito dalla Costituzione e perseguito con pratiche e principi tenacemente ancorati alla ricerca. Abbiamo sempre pensato che fuori da questo riferimento l’idea stessa di formazione diventa incerta e opinabile. Abbiamo sempre pensato che "per migliorare la scuola occorre che le e gli insegnanti assumano in prima persona la responsabilità del progetto e si sentano autorizzati a farlo, non come individui, ma come parte di una comunità, scientifica e civile al tempo stesso, nella quale esercitare e misurare la libertà di insegnamento" (2). Siamo stati quasi sempre minoritari, ma abbiamo trovato eco in alcune voci che nella comunità scientifica si occupavano di scuola, e tra queste, appunto, quella di Clotilde Pontecorvo.
 
Per tutti gli Anni ’90 Clotilde ha aiutato e sorretto la ricerca sperimentale nel costruire curricoli e nel pensare a una scuola buona per tutti e per tutte da parte del gruppo di docenti della scuola secondaria che si riconoscevano nella rivista Sensate Esperienze.
E’ stata una bella avventura, un possibile modello di lavoro tra docenti, che imparano facendo e discutendo insieme.
Appunto discutendo si impara.
 
Siamo arrivati così al Convegno di Palermo del 1998 (3)  in cui si continuava a discutere di riforma della scuola e Clotilde, nella bella relazione introduttiva, sottolineava la necessità di coniugare nella pratica quotidiana il sapere e l’identità del soggetto, la necessità di trovare assieme - adulti e giovani - il senso dello stare in classe, indicava 8 punti fondamentali da considerare nelle competenze di base e, a proposito di scuola secondaria e metodologia, diceva che occorre ridurre le occasioni in cui l’insegnante parla a un grande gruppo:
“Bisogna ridurre al minimo queste situazioni, il grande gruppo funziona solo in certi momenti, per fare certe cose, ma molto raramente. La pratica didattica ci ha insegnato da anni la funzione del gruppo: occorre creare una comunità di apprendimento in cui le pratiche didattiche che si realizzano devono essere le pratiche specifiche di ciascuna disciplina di studio. Si tratta di una sfida: io devo “fare” con i miei studenti quello che è rilevante della mia disciplina. Le discipline di studio vanno pensate come campi di significato che debbono acquistare un senso personale e tradursi in operatività, non solo verifiche scolastiche. Il mio compito è dare un quadro teorico essenziale dei testi, degli strumenti di analisi, e porre questioni utili e rilevanti. Poi è necessario che il lavoro, l’attività relativa al campo la facciano gli studenti, non lo posso fare io per loro…si tratta di fare delle scoperte personali, non di fare ciò che l’insegnante impone. (…) I contenuti offrono i materiali per imparare, ma solo le metodologie garantiscono un apprendimento specifico. Noi non trasmettiamo dicendo, ma facendo, costruendo procedure di partecipazione. Ovviamente all’inizio abbiamo bisogno di dare segnali, indizi, suggerimenti, ma poi i ragazzi diventano sempre più autonomi. (…) Se si dovesse dire qual è la cosa più importante da insegnare a scuola, direi che è la responsabilità, il farsi carico (…) il contrario del fregarsene e dell’indifferenza”
 
E a proposito dei materiali di studio:
Io penso che, con tutto il rispetto per i libri, anche fatti molto bene, bisognerebbe togliere l’idea agli studenti e anche ad alcuni insegnanti, che in un libro c’è tutta la storia di un’epoca, tutta la biologia, la filosofia, la fisica. In realtà a scuola, soprattutto nella secondaria, in gran parte si apprende dal testo, si pratica prevalentemente un apprendimento mediato dal testo. In realtà penso che si apprende da vari testi, da molti altri pre-testi, da ipertesti, da qualunque altro testo, non dal testo scolastico in senso stretto. Mi sembra fondamentale, secondo questo principio metodologico, integrare i testi con la disponibilità di molti altri strumenti di studio
 
E sull’apprendimento:
“ L’apprendimento è molte cose, ma è anche qualcosa a cui si partecipa. Come si impara a collaborare? Si impara lavorando con gli altri, partecipando ad una attività di lavoro…anche ad insegnare si impara partecipando, si impara facendo con gli altri, insegnanti e studenti” (4)
 
Durante i lavori di preparazione del convegno mi suggerì di invitare Marco Rossi-Doria che allora non conoscevo e che poi è diventato un amico e un compagno di lavoro. Perché questo era un tratto forte di Clotilde: essere un ponte di comunicazione tra persone che lei riteneva si potessero capire e trasmettere buone esperienze. Non lo diceva solamente, ma lo praticava. E così poi ho conosciuto Annamaria Ajello e Marina Pascucci che sono un po’ alla volta diventate care amiche. Questo tratto di costruire relazioni e costituire gruppi si ricava dai suoi libri, quasi sempre scritti con le sue collaboratrici e collaboratori, con insegnanti di diversi ordini di scuola, in una relazione che vuole riconoscere il lavoro quotidiano di chi sta nelle situazioni di apprendimento e, insieme, vuole dare valore a un pensiero che altrimenti rischierebbe di andare perduto.
 
Parallelamente la mia attività di insegnamento si spostava sulle scienze sociali e mi impegnavo assiduamente nella costruzione di in indirizzo di studi che fino dal 1974 la sperimentazione aveva delineato, ma che in Italia stentava a decollare per un’arretratezza storica del nostro paese nei confronti di questi saperi.
Era uscito da Einaudi nel 1977, Scienze sociali e riforma della scuola secondaria, frutto delle riflessioni di un gruppo di lavoro del Consiglio italiano per le scienze sociali, fra cui Clotilde. Le ipotesi contenute nel libro erano quanto mai ottimistiche. Nella quarta di copertina si diceva “il volume arriva a toccare i nodi più scottanti della riforma, oggi finalmente pervenuta al dibattito parlamentare…”.
L’idea di fondo era che la scuola italiana, tra le molte carenze della formazione, presentasse quella di “una conoscenza sistematica della realtà sociale”. E si proponeva una presenza autonoma delle scienze sociali nella secondaria, accanto alle altre aree di saperi, “le uniche in grado di offrire una base adeguata per l’analisi e la comprensione del mondo contemporaneo” (p. 18). Le scienze sociali venivano proposte per blocchi tematico-problematici costruiti dall’integrazione fra i diversi saperi disciplinari.
 
Negli ultimi Anni Novanta Clotilde si è impegnata in prima persona per sostenere attivamente il nuovo liceo delle scienze sociali sia nel sostenere gruppi di insegnanti che nelle diverse parti del paese venivano aggiornati dal Ministero attraverso le scuole-polo, sia nel costruire collegamenti tra Ministero, scuole e università, sia nel ritessere i fili tra il testo del ’77 e le nuove pratiche maturate dalle scuole, svolgendo un ruolo decisivo nel gruppo di lavoro che produsse un documento assunto a livello centrale come riferimento per tutti i licei delle scienze sociali del Paese.
 
E’ stata sostegno e stimolo in tutti i convegni che ha promosso la Rete dei licei delle scienze sociali, Passaggi, fino all’ultimo convegno di Sezze [Latina, 2013]  (5) in cui ha valorizzato la nostra esperienza e riflessione non solo come una buona pratica ma come un possibile, e desiderabile, modello generale di scuola.
E quando la Rete si è trasformata in un’associazione, SISUS (Società Italiana di scienze umane e sociali) ha accettato con generosità di essere la nostra presidente onoraria e ha continuato ad essere stimolo e sostegno per le nostre attività.
Le migliori esperienze e riflessioni prodotte dai licei delle scienze sociali sono confluite in un testo voluto da Clotilde che ne ha curato l’introduzione (6).
 
Su un piano più generale Clotilde è stata un riferimento e motore organizzativo di un gruppo di persone che a diversi livelli si occupavano di scuola e alcune di loro oggi si trovano sui banchi parlamentari e in importanti sedi istituzionali. Altri venivano dalla scuola ‘militante’, dalla scuola di base alla secondaria.
Per circa due anni ci siamo incontrati alla Sapienza o a casa sua, liberamente, senza un fine preciso, per discutere di scuola, degli aspetti nodali, delle questioni più urgenti e spinose. Ne è uscito un piccolo libro che è ancora molto attuale e valido per i problemi che dovremmo affrontare nella scuola di oggi e di domani (7).
 
Dicevo sopra che gli insegnamenti di Clotilde andrebbero ripresi e rilanciati, io penso non solo al livello degli insegnanti, ma anche a un livello più generale e politico. Per vie diverse Clotilde ha sempre lavorato, fino agli ultimi giorni, a un’idea di scuola che deve rivedere abbastanza radicalmente i suoi fini, i suoi mezzi e i suoi contenuti, ma che non rinuncia a misurarsi con l’agire nel quotidiano e con i problemi concreti. Su questo modello molti insegnanti hanno cercato di costruire una nuova identità professionale che tiene insieme teoria, pratica, organizzazione, relazione educativa e interazione tra interno ed esterno alla scuola.
 
Per me in tutte queste relazioni Clotilde ha rappresentato la possibilità di confronto autorevole, di legittimazione di un pensare e fare nella scuola, ma anche spinta a crescere. E soprattutto misura e rispetto, amicizia e accoglienza, ingredienti senza i quali è difficile crescere, ma anche fare un mestiere e – forse - fare politica nel senso più vero del termine.
 
In questi ultimi tempi di pandemia tengo un diario e in occasione dell’8 Marzo avevo pensato alle donne, esclusa mia madre, importanti per la mia storia. Me ne erano venute in mente quattro e Clotilde era una di queste, così le avevo mandato la pagina che la riguardava.
Ne riporto uno stralcio. “ E’stato un incontro della maturità, quando la personalità era ormai formata, ma conoscerla e poterla frequentare non solo per studio mi ha fatto intravedere un modo di essere che mi sarebbe piaciuto imitare. Non parlo della intelligenza, a tratti fulminante, né dei livelli di elaborazione a cui era arrivata, certo quelli mi affascinavano ma restano unici, parlo del suo modo di essere sempre positiva nell’accogliere l’altro, nell’essere sempre a disposizione nel sostenere gruppi di lavoro e nel condividere il suo sapere e la sua casa per chi volesse incontrarsi e produrre per la scuola”. Le era piaciuta e aveva voluto sapere chi erano le altre tre.
 
Ora che non c’è più penso anche alla leggerezza, al senso dell’umorismo e al divertimento che ha sempre condito i nostri incontri.
 
Note

Per Clotilde*  :  Gran parte di questo scritto è tratta da L.Marchetti, "Lavorare nella scuola secondaria" in A.M.Ajello e V.Ghione (a cura di) Comunicazione e apprendimento tra scuola e società. Scritti in onore di Clotilde Pontecorvo, Edizioni Infantiae.org. 2011

!1) L.Bolognini, L.Marchetti, Insegnare filosofia, Rivista Sensate Esperienze, Febbraio 1990, n°8

(2) Lucia Marchetti, Editoriale Cattaneo e Dewey, "Sensate Esperienze", Gennaio 2003, n°56

(3) Convegno nazionale, “Sensate esperienze per una nuova e diversa cultura della scuola”, Riforme strutturali, saperi, professionalità e forme di organizzazione, Palermo 28-29-30 Settembre 1998

(4) Clotilde Pontecorvo, La scuola tra sapere e pensare: contenuti essenziali, pratiche discorsive e costruzione dell’identità, Sensate Esperienze, Giugno-Settembre 1999, n°43/44

(5) Seminario nazionale di formazione per i licei delle scienze sociali, La categoria della complessità. Questioni di confine tra scienze sociali e riforma della scuola, Sezze (Lt) 27-28-29 Marzo 2006

(6) C.Pontecorvo, L.Marchetti, Nuovi saperi per la scuola. Le scienze sociali trent’anni dopo, Consiglio Italiano per le Scienze Sociali, Marsilio 2007

(7) Ajello, Di Cori, Marchetti, Pontecorvo, Rossi-Doria, La scuola deve cambiare, L’àncora del mediterraneo, Napoli 2002

Commenti

Ciao CLOTILDE Cara Clotilde, ogni qualvolta c’era bisogno di un tuo intervento saggio ed esperto era sufficiente un colpo di telefono o, più recentemente, una mail. Non dicevi mai di no. Sei stata una fonte inesauribile di conoscenze esperte sulle forme e le condizioni dell’apprendimento, i processi individuali e i processi di gruppo. Le tue indicazioni non erano mai asserzioni dogmatiche ma saggia pratica dell’indagine e del dubbio euristico. Hai raccolto attorno a te una comunità di pratiche e di ricerca. Non si può che esprimere tutta la nostra riconoscenza e il rimpianto. Una grande perdita per la cultura dell’educazione in un paese che oggi scopre il ‘merito’ senza sapere quanta fatica e documentazione richieda la scoperta e la valorizzazione dei presupposti per il successo formativo di tutti e tutte. Chissà che conversazioni potrai organizzare, come i webinar che hai messo in piedi negli ultimi anni, con Bruner, con Vygotskij, e chissà con quanti altri che come te hanno dedicato la vita all’educazione e all’inclusione. Giancarlo Cavinato MCE Venezia Treviso